Dossier
Le indifferenti
24/02/11
Silvia Vessella
La difficile costruzione della dignità di una propria storia
Se parliamo di etica, parliamo prima di tutto di amore e di amore per sé.
Il tema etico è centrale per la psicoanalisi, poiché
essa si occupa di elaborare e trasformare conflitti interni di valori e
significati nell’intento di stabilire la possibilità per la persona di scelte
etiche, cioè utili alla comprensione di sé e
alla comprensione delle proprie dinamiche emozionali.
Eugenio Gaburri ne “La vergogna, l’indifferenziato e
il trauma”si occupa del tema, individuando nella
vergogna un profondo desiderio di solidarietà con se
stessi e situandola al crocevia dinamico tra la spinta pulsionale ad
individuarsi e la tentazione di
rimanere invischiati nella relazione
parassitica con l’altro.
Ne delinea poi
alcuni possibili esiti: il primo, quello della “vergogna incontinente”, visto
come un tentativo fallito di costruire una difesa a protezione della nascente
differenziazione, che produce un’azione disgregativa dell’apparato per pensare, e una regressione verso uno stato
indifferenziato;
poi quello della “vergogna segnale” al bivio tra l’opportunità di evadere da una identità
convenzionale e la temuta perdita del senso di appartenenza per l’abbandono del gruppo.
In ultimo segnala “la non vergogna patologica ” come un consegnarsi a un altro che
personifica il potere della mentalità di gruppo indifferenziato, che tende
alla demolizione di valori e pensieri
simbolici e alla liquidazione del
conflitto etico.
In questo caso l’esplosione anche somatica del
nucleo vergognoso obbliga a conformarsi fino a sparire dalla faccia della terra. Gaburri descrive questo
vissuto, in analogia con le situazioni rubricate sotto il concetto di
“identificazione con l’aggressore”, come
una sorta di ” identificazione con l’esibizionista”, nel tentativo di
evacuare l’esperienza di vergogna.
Se seguiamo il percorso teorico proposto, ci
rendiamo conto come i contenitori etici sociali e a volte familiari, quando
perdono la loro capacità di dinamizzare l’incontro del soggetto con l’altro,
orientando nella direzione dell’unico, del tutto subito, e del tutto lecito,
svuotano di forza il parametro etico
che è fondamentalmente dialogo fra diversi, possibilità di confronto e di
scelte .
Distinguersi dall’ambiente, discriminare fra i
diversi valori, scegliere e decidere un
proprio comportamento diviene allora spesso difficile, mentre risulta agevolata
dai modelli sociali la spinta ad aderire
al modello generalizzato pervertito.
Penso all’oggi, all’atteggiamento spavaldo e
sfacciato di tante adolescenti e giovani, non tutti certo, ma che appaiono molto e perciò sono veicoli di
un forte messaggio sociale; si muovono
sbandierando la libertà da ogni vincolo( mi torna in mente un cartellone
pubblicitario di qualche tempo fa a New York che riportava senza immagini “Io
mangio quando mi pare”), mentre
appaiono anche visivamente tutti
uguali, come un’ammassarsi, sparendo, diremo con Gaburri, dalla faccia della propria individualità.
Così si presentano le ragazze, sfrontate e insieme
inconsistenti, nei nostri studi, quando incominciano a spaventarsi o spaventare
i genitori con le problematiche, che ci riportano note sofferenze
generazionali.
Ma questi, pur essendo contesti sociali
potenzialmente traumatici, rimangono dinamizzabili, soprattutto in un contesto
analitico, se non dilagano trasformandosi in una monocultura.
L’atteggiamento etico – Silvia Amati-Sas in “Etica e
vergogna nel controtransfert”- promuove un dibattito interno con i costumi familiari e
la morale sociale, germogliando su una parte meno differenziata di
sé, la meno elaborata e la meno
espressa simbolicamente, ma che fa da tessuto affettivo comune di base sempre
esistente, che chiama trans- soggettività,.
L’autrice si occupa più nello specifico del contesto
in cui viene stravolto il vertice etico e nasce la violenza di Stato. In tali casi l’onnipotente fantasia di holding e
sicurezza implicita nel legame simbiotico può sviluppare nel soggetto una capacità adattativa e la spinta a familiarizzare con il contesto traumatico attraverso la rottura di posizioni psicologiche interne più
integrate, a favore di una collusione non conflittuale con la realtà
traumatica. Quando il contesto violento verrà rimosso, la consapevolezza della
propria capacità mimetica di diventare “adattato a qualsiasi cosa” genererà
allora affetti di “vergogna segnale”
che testimoniano la ricomparsa del
conflitto intrasoggettivo e quindi la riproposizione del conflitto etico. Ed è
questo il delicato momento di passaggio che, ci dice Eugenio Gaburri a
proposito dei “salvati” dai lager nazisti,
può produrre idee suicidarie.
Ramona Lofton, Sapphire (Zaffiro)
ha lavorato presso un centro di assistenza ai bambini e per dieci anni ha
insegnato a leggere e a scrivere nelle scuole di Harlem e del Bronx. Da questa
sua esperienza e dal suo primo romanzo scaturisce un film. Precious è l’eroina del film
omonimo uscito nel 2010.
La ragazza vive in un luogo di deterioramento sociale, Harlem, e in un
ambiente familiare di estremo degrado e sembra soffrire di quella che Eugenio Gaburri chiama
“la non vergogna patologica” .
Infatti non sembra avere vergogna né consapevolezza. Racconta nel suo diario:
“Mi anno bocciata a dodici anni
perche o fatto una bambina con mio papa.”
Con il suo linguaggio illetterato e sconnesso, Claireece Precious Jones si
racconta.
Ha sedici anni ma ne dimostra almeno 30, è nera, povera e grassa. A scuola,
dove si reca testardamente ogni giorno, è oggetto degli scherzi cattivi dei
compagni per la sua mole e perché è stata bocciata. L’elemento della scuola e
dell’educazione è centrale in questa storia; la spinta , direi, verso
l’istruzione sta nella testa della ragazza, senza che ne sappia il perché o se
ne chieda le ragioni. C’è e basta!
Passa tra i compagni come una massa compatta come se non vedesse nessuno e
nello stesso tempo non si differenziasse dall’ambiente circostante.
Sembra di gomma, assomiglia a un lottatore di Sumo, dal peso sconfinato e
dalla sagoma un po’ fasulla.
Tutti la credono ritardata e si disinteressano a lei. Come se proprio nel
suo essere cosi enorme si rendesse invisibile, una rappresentazione concreta di
quello che Gaburri definisce come “l’elefante nella stanza”, un oggetto così
ingombrante e onnipresente da non essere più visto, come dice del resto di se
stessa Precious: “una macchia dunto
nera schifida che bisogna lavare via”.
Precious è incinta, per la seconda volta, di suo padre: a dodici anni ha
messo al mondo una bambina Down frutto dell’incesto. Non sembra avere scampo.
Sua madre non è da meno: gelosa, la schiavizza abusando a sua volta
sessualmente di lei.”
E’ semianalfabeta, intelligente,
curiosa, percettiva. Frequenta con ostinazione la scuola, non sembra sapere
bene il perché. Sta nella classe come a perdersi nel gruppo, Precious sembra
vivere appiattita sul proprio esistere concreto.
Quando si accorgono che è incinta
la puniscono con l’espulsione. Dirà nel suo diario “Mi anno sospeso di scuola perché ero in cinta ma non e mica giusto. Io
non avevo fatto niente!”
Precious si iscriverà ad una scuola sperimentale per ragazzi difficili. Ora, i
suoi compagni sono ragazzi come lei, reietti, vittime di abusi, problematici.
Con essi ci sono scontri continui, si esiste solo attraverso l’urlare le proprie ragioni quando qualcuno
o qualcosa sembra entrare a viva forza in un intimo corazzato dalla sofferenza.
E’ questo un linguaggio comune al
gruppo, e attraverso questo si incontrano e si denunciano le sofferenze di
tutti.
E la sua insegnante, Miss Rain (bel nome, che segnala una possibilità di
lavacro), finalmente la tratta come un essere umano, le insegna a leggere e a
scrivere incitandola a tenere il diario.
Ad un certo punto del film quando Precious sembra voler deporre le armi, in
un momento topico del film di presa di coscienza ed insieme di sconforto
profondo, si vergogna e vorrebbe morire,
Miss Rain le segnalerà che non è sola perché suo figlio le vuole bene,
perché il gruppo le vuole bene, perche lei stessa, l’insegnante, le vuole bene.
Per Precious la scuola speciale, che è stata l’inizio di un inferno, ora
diviene un’occasione di redenzione.
Dirà nel suo diario di scrivere “perché non so dove arrivo con la storia;
perché si può fare quello che vuoi quando parli o scrivi non come la vita che
puoi fare solamente quello che fai……sono una tele senza le figure , sono rotta
senza il cervello”. Le prime, incerte parole che Precious faticosamente
mette insieme via via compongono un quadro di indicibile violenza e povertà, ma
nello stesso tempo materializzano sogni, sentimenti e desideri.
Precious spinge fuori la sua voce come quando ha urlato per far nascere i
suoi figli: vomita fuori urlando il suo vero io, per riprendere il controllo della propria vita. Nel suo diario annota
come nei momenti più bui di abuso sprofondi
nel sonno oppure mentre sente la voce del padre che le dice “io ti sposo” chiuda gli occhi e si veda, fasciata in abiti da sera
luccicanti,lei cosi enorme fisicamente, mentre “balla nel video, nei film, fa la breakdance, vola, …..è lassù sul palco
dell’Apollo , che scalda l’ambiente….la adorano, è una delle migliori ballerine”.
Fantasie grandiose che la soccorrono e ci
mostrano sia l’identificazione con l’aggressore sia la sua onnipotente via di fuga.
Carol Beebe Tarantelli ha condotto per dieci anni un gruppo con giovani donne
che nell’infanzia avevano subito violenze sessuali. Racconta questa sua esperienza ne “La paura di diventare polvere: appunti su un gruppo per donne vittime
di incesto”..
Il gruppo è organizzato da “Differenza Donna”, un’associazione in difesa delle
donne maltrattate.
Pur non essendo strutturato come un gruppo analitico nel senso
tradizionale del termine, l’autrice può dire, con Laplanche, che la
psicoanalisi “fuori-le-mura” (1989, p. 17) si è rivelata terapeutica,
permettendo loro alla fine del percorso di affrontare i problemi dell’esistenza
senza essere eccessivamente intralciate dal loro passato traumatico.
L’autrice con Ferenczi
suggerisce che il bambino/a , che subisce esperienze traumatiche si
trova ad essere inconsciamente in uno stato di agonia cronica, e che quindi
l’identificazione con l’aggressore appare come difesa estrema di reazione
all’abuso nel tentativo illusorio di affermare il predominio sul senso di
disgregazione che l’afferra. Ogni qualvolta
si ripete l’abuso, si corre il rischio di rottura di una personale
continuità dell’esistenza, si rasenta l’esperienza della follia, il rischio
della disintegrazione(Winnicott): “l’esplosione” appunto.
Una delle partecipanti racconta al gruppo come , quando aveva
finalmente ceduto al padre, che insisteva a dire che lei era l’amore della sua
vita, e lo aveva seguito in camera da letto, ” si è verificata una esplosione
atomica….so cosa vuol dire aver paura di diventare polvere”. E’ quindi sul
versante di un onnipotente diniego della realtà che le bambine sono attratte a
combinarsi in un’alleanza con un
adulto, strutturato secondo un organizzazione perversa,
“Io ti sposo” in Precious, “tu sei la donna
della mia vita” nella partecipante al gruppo di C.B. Tarantelli. E’ la base emozionale
di una forma particolare di alleanza inconscia, un “patto narcisistico” (Kaes).
Ma le donne
del gruppo, chiarisce C.B.Tarantelli, non sono psicotiche, perché hanno un
punto di forza personale, piccolo, protetto,
nascosto. Dice infatti una partecipante al gruppo”..per quanto quello
che provavo era orribile, ho sempre saputo che dentro di me, da qualche parte
nel profondo, io c’ero.”
E Precious :
” non esisto…nessuno mi vuole…nessuno ha bisogno di me….. Se mi vedesse
capirebbe che io dentro di me ero come una bambina bianca , una persona vera”
Anna Maria Niccolò in “Esordi: come sopravvivere ad un funzionamento
traumatico ” chiarisce come la
soluzione della perversione appare meno onerosa della psicosi rispetto
all’insostenibilità della realtà….. in quanto solo le difese si sono
perversificate. Con la sessualizzazione
si trasforma l’angoscia di frammentazione e di perdita dell’identità in angoscia di castrazione…….. sono
situazioni di difficile valutazione per l’analista che lavora con l’adolescente,
dato che talora si sovrappongono e si confondono con i comportamenti
polimorfo-perversi che caratterizzano lo sviluppo verso la genitalità in alcuni adolescenti che, pur essendo problematici, non hanno
tuttavia un’organizzazione psicotica della personalità. E ancora –
prosegue- una soluzione possibile è la
creazione di un’identità segreta….presupponendo un certo uso utile della
dissociazione…..
Le fantasie
megalomaniche di Precious dei momenti
di bui testimoniano di un funzionamento psichico primitivo, in identificazione con una figura
indifferenziata onnipotente. Come potrà essere in grado di usare le proprie
poche forze sul versante della
costruzione della coesione del senso di sé e dunque della costruzione della
dignità della propria storia ?
C.B.Tarantelli descrive come il gruppo possa essere utile per il
necessario processo di disidentificazione e
attraverso quali processi possa divenire contenitore di un delicato
gioco di rispecchiamento e di differenziazione, in cui il pensiero dell’una vicaria
quello impensabile all’altra, come una mente sola.
Anche nel
caso di Precious, la scuola speciale
permetterà la condivisione delle
esperienze, l’avvicinamento alla realtà degli eventi, l’attribuzione di
responsabilità. La ragazza, fondando la propria forza sul vincolo emozionale
nel gruppo, riuscirà a sostituire l’identificazione megalomanica con
l’abusatore e sceglierà di prendere le distanze dalla famiglia abusante
In altri termini diremo
(con C.B. Tarantelli ) che in questi casi il processo di gruppo,
beninteso a vertice materno, ha
stimolato in molte delle donne maltrattate la disidentificazione con
l’aggressore e di conseguenza la differenziazione intrapsichica. Ne consegue
che – citando Baranger et altri (1988, p. 128)- il trauma si storicizza
retroattivamente e si integra nel sé attraverso il lavoro di gruppo, ….. all’interno del quale-diremo con Amati
Sas- viene sperimentata una diversa forma di holding, e un rinnovato legame
simbiotico .
All’interno di questo diverso contenitore affettivo Precious potrà
procedere nel suo cammino “..e allora mi butto tutto quanto alle spalle …non
gli do la colpa a nessuno….voglio solo dire che quando avevo dodici anni
qualcuno mi doveva aiutare…..e dentro pensavo che ero bellissima come ragazza
nera….E allora vado”.
Silvia Vessella
Febbraio 2011
NOTA
I lavori di Eugenio Gaburri e C.B.Tarantelli
sono tratti da un libro collettaneo, curato dal Centro
Psicoanalitico di Roma, dal titolo “L’impronta del trauma. Sui limiti della
simbolizzazione” edito dalla casa editrice Franco Angeli nel 2009.
La conferenza
di Silvia Amati-Sas è stata tenuta nel Centro Romano di
Psicoanalisi
Il lavoro di Anna Maria Nicolò è stato letto al convegno “Il soggetto nei
contesti traumatici:affetti e difese dal trauma” del 29/30 novembre 2008 organizzato dal Centro Romano di
Psicoanalisi.