Dossier

L’immagine sacra e quella umanizzata di Dio

9/12/15

PIER LUCA ZUPPI
è membro associato SPI e IPA, Dirigente I Livello Direzione del Dipartimento di Salute Mentale, ASL RMA, Roma

Ho letto la “Lettera Enciclica Laudato sii’ del Santo Padre Francesco Sulla cura della Casa Comune” del maggio 2015 come un invito a riflettere sul rapporto Creatore e Creato.

L’Enciclica enfatizza l’amore del Creatore nel dare vita all’universo e all’uomo, e considera il Creato, affidato all’uomo e di cui l’uomo fa parte, come qualcosa che unisce l’uomo a Dio. L’uomo è figlio di Dio e prosegue la sua opera. La terra deve garantire la vita di tutti, oggi e nel futuro: è l’uomo il garante del progetto di Dio e il progetto di Dio non può che essere anche l’interesse dell’uomo. Da qui l’evidenziazione che i reati contro l’uomo e contro la terra, sono anche atti fatti contro Dio.

Il tono pastorale dell’Enciclica e l’accorato appello al rispetto di tutte le forme di vita, vengono riferite ad un Dio Creatore, presentato più volte con l’aggettivo “paterno”. Un padre che è anche normativo, ma soprattutto appassionato, innamorato della sua creatura, motivato a difenderla e a farla arrivare pienamente vitale alle generazioni future.

Il tono e i contenuti dell’enciclica, l’uso di conoscenze scientifiche, di argomenti presenti in altri contesti sociali e culturali non religiosi, quali sono gli ambiti nei quali gli uomini si occupano e si preoccupano di ecologia, di giustizia, di pace, fanno risaltare l’alleanza tra il Creatore e i figli. Dio non sta “nell’alto dei Cieli”, lontano da ogni passione, interesse, bisogno, non è rappresentato per la sua “Onnipotenza, Onniscienza, Onnipresenza”. Non sembra trascendere; partecipa, è presente, appassionato. Non è solo il grandioso Dio della Creazione di Michelangelo, ma insieme assume le sembianze del misericordioso padre di Rembrandt (Il ritorno del figliol Prodigo, Hermitage, San Pietroburgo) che accoglie il figlio pentito al ritorno a casa dopo avere sperimentato la sua distruttività

Normalmente Dio, nella sua trascendenza sacra è rappresentato con il volto di un vecchio perennemente anziano, oltre il limite di età che gli uomini possono raggiungere, l’Eterno fuori dal tempo. Oppure viene simbolizzato da un occhio, l’Onnisciente, l’Onnipresente. Infine viene rappresentato come uno dei vertici della Trinità nella quale l’umanizzazione viene affidata al Figlio, molto ben rappresentato in tutti i passaggi della vita e in tutti gli stati d’animo che la segnano (nel dolore, nella fragilità, nella morte, nel trionfo, nella vita familiare, ecc).

In questa umanizzazione di Dio Padre trascendente, è possibile riconoscere in primo luogo aspetti “paterni” propri di chi si mette accanto ad un figlio per proteggerlo, per sostenerlo, per trasmettergli beni e valori. Un padre che spinge al rispetto per il Creato e a dare valore all’Amore che lo anima, che arriva a piangere (omelia di Papa Francesco del 19 novembre 2015) di fronte alle tragedie del mondo attuale. Le azioni inumane compiute in nome di Dio, le “bestemmie”, sono attacchi a Dio, prima ancora che agli uomini. Un padre che introduce e sostiene il principio di realtà, rappresentato dalla vita che continua oltre il tempo attuale: il vantaggio di oggi può essere un danno per il domani. Accanto a questi aspetti emergono quegli aspetti “materni”, dare vita, generare, accudire, alimentare e fare crescere i figli, che sembrano rimandare alla considerazione di Papa Giovanni Paolo I che “Dio è madre” (10 settembre 1978).
Il padre e la madre coesistono in questo Dio che si relaziona con il Creato, si integrano tra loro. Le mani del padre misericordioso e accogliente di Rembrandt sono una maschile e una femminile: l’Amore di Dio per i figli ha tutte e due le qualità. Un Dio genitore che integra in sé le figure della coppia genitoriale e trasmette l’amore che da questa proviene. L’Onnipotenza, l’essenza del Sacro, sembra sparire, spiazzata da questa presenza umanamente comprensibile, intima, partecipe.

Nella pratica di psichiatra e di psicoanalista è facile imbattersi in pazienti che raccontano il loro contatto con Dio: la presenza di Dio nella vita dei pazienti si colloca tra l’immanenza e l’umanizzazione. Dio può essere raccontato come una presenza costruita attraverso proiezioni di parti di sé, o interpretato in funzione dei propri bisogni, o ancora ispiratore di scelte ed azioni personali. Un Dio molto personale che non sempre si muove in linea con l’Amore che dovrebbe caratterizzarlo. L’umanizzazione di Dio avviene così nella direzione opposta: Dio viene fantasticato, immaginato, creato.
Nel lavoro clinico, occorre leggerlo non più, o non solo, come il Dio Creatore della Fede, ma come un aspetto della visione del mondo e del modo di collocarsi nel Creato.

Vengono attribuite a Dio caratteristiche compensative e consolatorie uniche, personalizzate, come avviene quando una persona sola, svuotata dai lutti dei familiari, disinserito dal contesto lavorativo, racconta il suo intimo contatto con Dio. Quando si sveglia di notte, dialoga con Dio, gli racconta la sua giornata, gli chiede consiglio. Di giorno va in chiesa a pregarlo: in parrocchia lo sente accanto, riesce a sentire le sue parole, torna ad essere il Dio di tutti.

In altre occasioni Dio compare come il termine di confronto della propria onnipotenza maniacale, senza limiti. C’è Dio dietro le proprie scelte, è Dio che manda a salvare il mondo, che attiva cambiamenti impensabili, a volte così incomprensibili che vengono vissuti dai familiari come disperanti.

Si può diventare Dio, convincersi di avere poteri sovrannaturali. Un Dio che può coesistere con la fragilità e la paura. Una volta un ragazzo che si sentiva Dio, corse dalla madre angosciato perché sulla sua chiesa c’era una scritta “Aprite il cuore a Dio”: temeva un’azione terroristica sul suo corpo.
A volte, all’opposto, la presenza di Dio permette di misurare la carica demoniaca che devasta, una carica di odio e di rabbia che può trovare un confronto solo nella onnipotenza opposta dell’amore divino che si può attivare in una pericolosa spirale di grandiosa sfida Luciferina: Io posso tutto, conosco tutto, il mondo sarà finalmente giusto, sicuro.
Accade anche che qualcuno possa ritrovarsi a vivere la dissociazione tra l’Amore riparativo di un Dio che spinge ad una scelta di vita altruista e generosa, che mal convive, in una persona cresciuta in un mondo depresso e incurante dei suoi bisogni, destinata a non nascere perché non desiderata, con un Dio che l’ha fatta nascere inutilmente, contro natura.

Il ricorso a Dio come interlocutore del proprio mondo interno richiede al terapeuta la capacità di muoversi su due piani: riconoscere il sacro, il rapporto con la religione, e sintonizzarsi con l’umano sotteso a qualcosa ritenuto non umano, come sofferenze “disumane”, o forze “sovrumane”. Di fronte a questo, occorre mantenere una posizione rispettosa di attesa, di ascolto e di ricerca. Al di là della propria formazione religiosa bisogna saper riconoscere le radici intimamente personali ed umane del Dio che viene presentato e separarlo da quello sacro, condiviso, intorno al quale si coagulano gli investimenti personali. In questo modo si evita il rischio di svalutare la dimensione sovrumana e di ridimensionare la vastità e la profondità della costruzione del dolore. Si può esprimere la propria umana e confortevole vicinanza alla mente che ricrea Dio creatore: si rispetta il valore sacro di Dio, e si aiuta a riconoscere il piano umano della sofferenza. Così si può proporre un riconoscimento, un senso a tematiche umanamente condivisibili: l’incolmabilità del vuoto lasciato dalla madre, l’angoscia del trovarsi senza limiti, la fragilità dell’onnipotente, il timore del crollo depressivo, l’incapacità di aspettare amore se pieno di rabbia.
Il terapeuta che integra bene dentro di sé funzioni diverse, approccia con tempistica e distanza tollerabile un materiale non rapportato ad esperienze umane. Può sviluppare una capacità interpretativa ed elaborativa, costruire un clima accogliente e confortante, non essere intrusivo, evitante, giudicante. Non invade il mondo di Dio e organizza pensieri umani su contenuti sovrumani.
L’auspicio è di attivare, come proposto da H. Rosenfeld, un analista “coppia genitoriale” (“I seminari italiani di Herbert Rosenfeld”, Quaderni del Centro Milanese di Psicoanalisi “Cesare Musatti”).