Cultura e Società

“Zona” di M. Enard. Recensione di D. Federici

1/04/22
"Zona" di M. Enard. Recensione di D. Federici

Parole chiave: #guerra, #violenza, #Mediterraneo

ZONA

di Mathias Enard (e/o Ed., 2022)

a cura di Daniela Federici

Va da sé che il vivere e il morire

possono significare il bene e il male

solo in quanto siano assunti dal nostro Io,

perché solo l’Io umano può dare

un significato di bene e di male alle cose.

È l’Io umano infatti un alambicco misterioso

il cui compito principale è quello di indurre,

in ogni moto biologico su cui è sospeso,

una speciale fermentazione adatta a ricavare i valori.

F. Fornari Thanatos e la guerra assoluta, 1958

“La violenza è sovrana. Ovunque, fuori, visibile, esposta alla luce del sole. Ovunque, dentro, nascosta, rintanata nell’ombra da dove è pronta a emergere”  (Pontalis Un giorno, il crimine, Borla 2011). Quello di Enard è un libro che scuote e ipnotizza, un viaggio allucinato che porta il lettore nel cuore di tenebra dell’Europa, da sempre dilaniata da guerre, colpi di stato, massacri. 

Francis Servain Mirković, spia franco-croata, è in treno verso Roma per consegnare a un messo del Vaticano una valigetta che contiene documenti segreti, il frutto della sua lunga ricerca, degli interrogatori, delle testimonianze raccolte in anni di attività.

Ho avuto pietà di me su questo treno il cui ritmo ti apre l’anima meglio di un bisturi…

Il racconto è un flusso ininterrotto di schegge di coscienza visionarie, inserti onirici, reminiscenze della sua vita da soldato, agente segreto, amante. Combattente o testimone, Francis è un entomologo dell’umanità brulicante di assassini e traditori, torturati, oppressori e vinti, negli eccidi che hanno insanguinato il bacino del Mediterraneo, il cimitero azzurro.

Per formarmi sulla mia Zona, ci penetravo senza rendermene conto, adesso sono diventato un esperto, uno specialista della follia politico-religiosa che è una patologia sempre più diffusa, che dilaga…

Una concatenazione vertiginosa di salti temporali, spesso senza punteggiatura, attraverso decenni di storia, dagli orrori nazisti allo sterminio degli armeni, ex-Jugoslavia, Algeria, Egitto, Spagna, Beirut, Gaza, Damasco, Istanbul, dal ghetto veneziano a Trieste, lungo le città dello stivale, una mappa di tumuli, fosse comuni e nefandezze.

La storia è un racconto di bestie feroci, un libro con lupi in ogni pagina… la nostra dimensione collettiva scaturisce dal racconto del dolore individuale, dall’ubicazione dei morti… il nostro Paese è dove sono le sue tombe.

La cartografia macabra dei territori sfigurati dalle atrocità umane, come un’altra rete di tracce di strade di ferrovie di fiumi che continuano a trascinare cadaveri resti frammenti grida ossa dimenticati onorati anonimi o spinti sulla ribalta dalla Storia misera pergamena che invano imita il marmo…

L’oscena volontà distruttiva e i suoi scempi, le lacerazioni e la carica dirompente delle ferite, la paura, i rancori, le vendette, le infinite rivendicazioni e l’impossibile oblio, incubi e fantasmi, le mancate elaborazioni dei destini travolti di vittime e carnefici.

tutto è più difficile nell’età adulta vivere richiuso in sé sballottato… misero pieno di ricordi non faccio questo viaggio per niente… salverò me stesso nonostante il mondo che si ostina ad avanzare faticosamente…

Francis ha scambiato il kalašnikov con strumenti di morte più raffinati, vuole giocare allo storico dell’ombra, consegnare quel patrimonio di rivelazioni e denunce capaci di trascinare persone nel fango, poi si lascerà quella vita feroce alle spalle.

non capivo che la marea si alzava, che ci avrebbe raggiunti, che più riempivo la valigia di nomi e di immagini, più cercavo di evitare i ricordi immergendomi nella zona, più la crepa di allargava…

Sogna le braccia di una donna come un approdo di pace: se quella donna l’avesse voluto non avrebbe rinnovato la ferma, lei l’avrebbe salvato…

Il legame come unica alternativa allo slegamento.

In cerca di un amore, di uno sguardo di un incontro, qualunque cosa pur di sfuggire a se stessi, al commercio della vita, al ricordo dei turbamenti, dei crimini…

Educato alla violenza, Francis si racconta con l’indole grezza di una belva primitiva: scoprivo dentro di me il vuoto silenzioso del richiamo della patria in pericolo, la guerra come elemento in un mondo in cui diventare uomo non significava crescere ma affilarsi, ridursi, potarsi come una vigna o un albero cui poco alla volta si sfrondano i rami, la parte femminile, o la parte umana, và a sapere

La seduzione del lato oscuro, il piacere per la violenza, il godimento degli orrori.

Mi ero aperto in due nella guerra ed ero precipitato come un minuscolo meteorite, di quelli che in cielo non brillano neppure… 

Quando un compagno colpito da una granata ti esplode accanto, schegge d’ossa ti si incidono nel corpo come cisti… 

A volte crollava tutto, lo scudo di Achille trafitto, le belle gambiere strappate, la lancia spezzata e allora restava solo un bambino nudo raggomitolato che chiamava la madre o i fratelli gemendo…

Il tempo di vendicare le proprie lacrime, di cauterizzare il proprio pianto nelle fiamme, di devastare a sua volta corpi nemici…

Dall’esaltata barbarie con le sue crudezze al disincanto, Francis è l’emblema di una parabola che deraglia fino alla spossatezza.

Per quanto lungo possa sembrare il crepuscolo, alla fine la notte giunge sempre…

Perché se l’inutile affanno è di sconfiggere la morte affilando la sua lama attraverso la ferocia della guerra, ci si destina solo alla rovina.

Dapprima fisica, come un crampo fa zoppicare, la sconfitta è una sorpresa fiacca, cominci a inciampare, barcolli nella guerra su piedi fragili… soccombono alla sconfitta che si insinua ovunque e si sostituisce bruscamente alla giustezza della causa, ai canti, agli inni, … i feriti diventano specchi insopportabili e i morti estranei di cui, giorno dopo giorno, sconfitta dopo sconfitta, ci si domanda che ne sarà giacché non sono più eroi, fratelli, ma vittime, vinti che la storia occulterà dalla sua parte sbagliata in questa terra ora percorsa dai piedi pesanti della diserzione, dagli scarponi dell’abbandono e della paura. Tutto poi succede in fretta: dopo aver camminato lentamente al fronte ci si ritrova a camminare in silenzio in città, sotto gli occhi traditi dei civili che ti accusano con la loro tristezza scontrosa, quelle donne davanti alle case vuote, quegli uomini, poco tempo, davvero poco tempo fa ti incoraggiavano, ora tutti si apprestano ad acclamare i nuovi vincitori guardando per terra l’ombra feroce degli aerei celebrare il lutto a completare la sconfitta. … La sconfitta è tanto più evidente perché nessuno vuole riconoscerla.

Al tribunale internazionale, Francis si chiede come spiegare l’inspiegabile, forse anch’io sarei dovuto risalire alla notte dei tempi, all’uomo preistorico impaurito che dipinge nella sua caverna per tranquillizzarsi…

Descrive i personaggi della Grande Procedura, i giudici immersi nella giurisprudenza dell’orrore, incaricati di mettere ordine nel diritto dell’omicidio, gli uomini accusati di crimini di guerra, corpi in un sedile con una cuffia sulle orecchie, una tale sfilza di criminali che era un rompicapo organizzare le comparizioni senza farli incontrare sugli aerei, sui treni, nelle celle detentive o nelle anticamere delle udienze. Mentre le vittime venute a testimoniare, i profughi, i torturati, le violentate, piangevano il più delle volte a porte chiuse in un’aula dalle persiane abbassate e i loro resoconti non uscivano dalle cabine a vetri degli interpreti, consegnate in inglese o in francese nei verbali di udienza per la posterità, senza che i giudici sentissero gli accenti i dialetti le espressioni delle loro voci che tracciavano una vera mappa del dolore…

Il tempo della giustizia è come quello della Chiesa, si lavora per l’eternità

Nel ’32 Einstein scriveva a Freud sul perché della guerra, auspicando “un’autorità legislativa e giudiziaria col mandato di comporre tutti i conflitti”. Freud rispose con pessimismo sulle sorti di una tale istituzione e sulla possibilità di dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino più capaci di resistere alla psicosi dell’odio e della distruzione. “L’epoca in cui viviamo è davvero singolare. Ci rendiamo conto con sorpresa che il progresso ha stretto alleanza con la barbarie”, scriverà nel ’39.

Cosa deposita la guerra nello psichico degli uomini? Quali i suoi rigurgiti e i fardelli trasmessi fra le generazioni?

Tutto è più difficile nell’età adulta, tutto suona più falso, ma a volte gli dei ti regalano lampi di lucidità, istanti in cui contempli tutto l’universo, la ruota infinita dei mondi, ti vedi, dall’alto, per pochi attimi prima di ripartire scagliato verso il seguito, verso la fine…

In una vana fuga da se stesso, non cerca redenzione Francis, anche se quel portarsi in seno alla madre Chiesa e sperare di lasciarsi i crimini alle spalle, sembra la ricerca di un luogo e forse di un senso per emendare…

Ovunque incontro me stesso.

La guerra interna che infuria nella sua mente durante quel viaggio è intervallata dalle immagini dei suoi vicini di scompartimento, presi dalla lettura di rotocalchi sugli scandali locali

essere un frammento della spola che la dea tesse avanzando lungo un rettilineo fra viaggiatori ciascuno nel proprio corpo spinti verso la stessa destinazione finale

passeggeri di esistenze tranquille, ignari di come paura e furore possono irrompere d’un tratto.

Un libro “disturbante” quello di Enard, che pennella memorie collettive spesso vittime di un generale ottundimento psichico, perché c’è differenza fra conoscenza e quel che fa della conoscenza un riconoscimento, divenendo versione pubblica, entrando nel dibattito come problema sociale, una verità confermata e la sua relazione con la giustizia, l’attribuzione delle colpe, delle punizioni, del biasimo, la sua valenza morale, simbolica, curativa.

Oggi che una guerra è tornata alle porte, che svanisce di nuovo la flebile illusione di un “mai più”, rifacciamo i conti con il laconico lascito freudiano che tanto la scarica distruttiva della pulsione aggressiva quanto la sua possibilità di addomesticamento pertengono all’umano. Ci spetta di interrogarci su che testimoni possiamo essere perché alla catastrofe umanitaria ed economica, non si aggiunga – come sempre – anche quella epistemica.

Conosciamo bene gli effetti patologici dei traumi scissi trasformati in fantasmi persecutori, il bisogno di evacuazione e contenimento, la resistenza a rivivere un dolore attutito dalla scissione. L’incapacità di concepire l’impensabile, la desensibilizzazione che normalizza la barbarie, la passività fra paura e indifferenza morale, l’emigrazione interiore come la definiva Hannah Arendt, sono molte le forme di esilio nell’invisibilità del pensare e del sentire. Come i lotofagi dell’Odissea, perduti in un mondo immobile, incapaci di volere altro che l’incanto vischioso dell’oblio.

Lo stile di Enard, con quel precipitare di parole e immagini, è rappresentativo del collasso degli spazi di pensiero, fa comprendere in modo quasi fisico il peso di ciò che si desidera non sapere per non averne la responsabilità, l’impostura e la manipolazione della verità per l’intimidazione della colpa morale, del divario fra ciò che si sa e ciò che si fa.

Fantasmi siate comprensivi è la fine dei tempi Francis è stato, il suo fardello pesante…

Oggi, di fronte a questa ennesima insensatezza, di una guerra rimpallata nella virtualizzazione del reale di strategie di comunicazione che operano in base a principi di spettacolarità e di mercificazione della sofferenza, siamo ancora in cerca della formula di una “banalità del bene”, una virtù incapace di indifferenza.

“Di fronte alle sofferenze del mondo tu puoi tirarti indietro,

si, questo è qualcosa che sei libero di fare

e che si accorda con la tua natura,

ma precisamente questo tirarsi indietro

è l’unica sofferenza che forse potresti evitare.”

Kafka

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