Cultura e Società

“Yoga”di E. Carrére. Recensione di P. Ferri

7/01/22
Bozza automatica 16

YOGA

di Emmanuel Carrére (Adelphi, 2021)

a cura di Paola Ferri

parole chiave: meditazione, pensiero onirico, sospensione del giudizio

L’ultimo libro di Emmanuel Carrère, uscito nel maggio del 2021, è subito considerato una delle sue migliori opere. Semplicemente intitolato Yoga, non è in realtà un libro specificamente su questa antica disciplina, ma direi piuttosto un libro su di una ricerca incessante di spiritualità, di senso e di equilibrio.

La prima parte lo è, sullo yoga. Ma la vita scombina sempre i piani di Carrère e i nostri. Carrère è immerso in un seminario Vipassana in cui fa già fatica a rispettare le regole prescritte, quando viene richiamato nel mondo reale dall’attentato a Charlie Hebdo. Improvvisamente la realtà sensibile e traumatica lo costringe a staccarsi dal seminario (cosa che non bisognerebbe fare mai), perché un suo amico, il vignettista Bernard Verlhac, è rimasto ucciso nell’attentato; e tutto ridiventa incerto, angosciante, effimero.

Si riscopre a essere un praticante “parziale”, incapace di servirsi delle regole della meditazione e della disciplina praticata da anni quando la vita preme troppo e diventa troppo angosciante, sia sul piano dei traumi effettivi sia sul piano delle difficoltà a vivere la propria lacerante condizione umana. Sia sul piano dei fantasmi interni quindi, che di quelli esterni.

La situazione interna di Carrère precipita. Piomba in una gravissima crisi depressiva (già peraltro sperimentata dall’autore a cui è stata fatta diagnosi di bipolarità, e che ha passato 20 anni sui lettini di vari analisti parigini), e viene ricoverato in Psichiatria, dove rimarrà alcuni mesi, accettando anche di sottoporsi a elettroshock e di prendere una dose notevolissima di psicofarmaci. Cosa che lo accompagnerà, dice, tutta la vita.

La rinascita sembra verificarsi quando decide di andare in Grecia ad assistere alcuni ragazzini migranti sull’isola di Leros grazie alla compagnia (probabilmente frutto di libertà narrativa) di una donna che viene da lontano, e lontano ritornerà. Il tipo di rapporto che instaura con i ragazzi e le meditazioni esistenziali che ne derivano, la relazione intensa e disperata con la donna, gli fanno tornare la voglia di ricominciare a vivere, chiudendo credo anche nella realtà il rapporto con la seconda moglie, e ritrovando forse, una nuova possibilità affettiva.

Al di là della trama, che mischia fantasia e autobiografia, io sono rimasta colpita dall’intensità delle riflessioni dello scrittore, e in parte mi ci sono ritrovata. Come credo molti di noi, che si occupano di malattie della mente, di ricerca di senso, di scopo e di limite dell’esistenza, molto presuntuosamente, ma anche molto appassionatamente. Mi riferisco agli intellettuali, se ancora possiamo usare questo termine, caduto molto in disuso e spesso frainteso, come se dovesse essere per forza fonte di privilegio e di senso di superiorità.

Carrère dà prova paradossalmente (ma chi ha già letto i suoi libri lo sa bene) di avere in realtà, contraddittoriamente, un Ego smisurato, niente affatto modesto, niente affatto disposto a essere trasceso, come vorrebbero le discipline orientali. Si confessa sinceramente come inadempiente, come “meditante e praticante a modo suo” avendo anche tentato di affrontare i suoi demoni attraverso lo strumento più occidentale che esista, ossia la Psicoanalisi. Disastrosamente fallimentare per lui, pare. E qui, mi viene da fare qualche considerazione. In quanto psicoanalista, ma anche in quanto ammiratrice dello scrittore.

Forse qualcosa non ha funzionato in queste analisi, perché davanti a un personaggio del genere l’approccio è sicuramente assai complesso. Sembra un paziente grave, con diagnosi psichiatrica molto pesante, ma è anche una persona geniale, molto narcisista e molto empatica: sensibile e raffinato, ottimo scrittore, conoscitore del mondo orientale e vincitore di premi illustri. E’ anche conoscitore della letteratura russa: figlio di Hélène Carrère d’Encausse, una storica molto nota, esperta di Russia e stalinismo, in precedenti opere  ha descritto il suo rapporto complesso con la figura materna. Le sue opere hanno avuto per protagonisti figure complesse ed estreme, come il serial killer Romand in: Lavversario (2000) o lo scrittore dissidente russo Limonov (2011), per finire con le biografie dell’evangelista Luca e di Paolo di Tarso ne: Il Regno (2014), in cui indaga il rapporto con la religiosità, a cui sembra aderire in maniera totale, pur conservando come già detto un Io molto sviluppato e ansioso di riconoscimento. Potremmo parlare di psicosi narcisistica? Se proprio vogliamo fare una diagnosi su di una persona conosciuta solo attraverso i suoi libri, e solo per dire che averci a che fare sul piano clinico non deve essere stato semplice per i colleghi francesi.

Eppure… io sento molte similitudini col pensiero di Wilfred Bion (ma anche di Winnicott e degli analisti del Sé). Sarà la vicinanza con l’influenza dell’Oriente, ma la sua ricerca di senso, di scopo e di trascendenza assomiglia molto alla trasformazione in O (Bion, 2001), alla necessità di arrivare a una verità meno soggettiva e limitata, meno banale e oggettivabile, se pure coltivata all’interno delle uniche relazioni possibili, ossia quelle umane. Ovviamente Bion parla prevalentemente della relazione analitica ma le similitudini, il senso della ricerca spirituale di Carrère e la non illusione sui limiti del pensiero umano e sulla inconoscibilità del mistero dell’esistenza, mi sembrano simili. Appartengono cioè allo stesso sforzo di andare al di là delle apparenze, al di là di quanto possiamo conoscere e trattare, sul piano empirico, al di là, forse, della piccolezza umana. Ricordo poi l’importanza del silenzio all’interno anche del contesto gruppale o duale dell’analisi (e altrettanto della pratica meditativa), della necessità di far circolare idee selvagge e libere associazioni, della necessità di sospendere il giudizio e dell’attenzione fluttuante, oltre che degli stati onirici della veglia, concetto rintracciabile in tutto il pensiero bioniano.

L’incontro con l’altro è traumatico per lo scrittore praticante yoga e meditazione, ma anche per l’assetto analitico (Bion, 1977): il campo relazionale si crea e dà origine a una possibilità “terza” di intervento; non sono tanto il transfert e il controtransfert quanto il legame relazionale, la sua stessa funzione, che producono suoni, significati e protopensieri; come già accadeva con Winnicott e la sua area transizionale, da cui derivava per l’autore l’importanza del gioco e della creazione insieme del senso da dare alle cose (Winnicott,1971).

Già il concetto di Sè ha qualcosa di mistico e di non riducibile, e la ricerca dell’unità che Carrère attribuisce alla pratica yoga rimanda al bisogno di integrazione e di coerenza dell’apparato per pensare e della mente analitica al lavoro. Le preconcezioni di Bion (1963), sono dei pensieri che non sapevamo di avere, esattamente come accade nel procedere meditativo dell’autore alla ricerca di un’unitarietà che non trova, che non è riuscito a trovare finora, se non forse, e questo è l’anelito speranzoso della fine del libro, nell’innamoramento per una nuova donna.

Certo il rischio di ripetere gli stessi errori, se non sono stati elaborati, pensati e rivissuti, è forte, ma non lo diremo a Carrère, perché tutti speriamo nel lieto fine, e di non essere condannati a un eterno ripetere, e speriamo di ritrovare, sempre, la possibilità di ricominciare.

Non voglio con ciò dire che i colleghi francesi non abbiano saputo leggere questi nessi non ne so nulla e non mi permetterei mai, ma lancio delle associazioni possibili, dei pensieri in libertà tra quanto l’autore ha considerato inadatto alla cura per sé, e la sua ricerca comunque profonda e sincera, se pure contraddittoria, spezzettata e insatura.

La meditazione è essere al corrente dell’esistenza degli altri, sembra concludere Carrère, è tenere lo sguardo verso il cielo, se pure affascinati dalla prosaicità degli affetti, perché alla fine le relazioni umane sono interessanti. Tenere insieme spirito e materia, osservare il proprio respiro ma anche partecipare e impegnarsi per salvare quel che resta del mondo:  il buono e il cattivo o meglio, il semplice e il complesso, il concreto e l’astratto, in una inesauribile dialettica.

Un libro che consiglio vivamente, perché foriero di molti pensieri.

Note bibliografiche:

Bion W.R.(1962a). Una teoria del pensiero. In: Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Roma, Armando, 1970.

Bion W.R. (1962b). Apprendere dall’esperienza. Roma, Armando, 1972

Bion W.R. (1963) Gli elementi della psicoanalisi. Roma, Armando, 1973

Bion W.R.(1965). Trasformazioni. Roma, Armando, 2001

Bion W.R. (1966) Il cambiamento catastrofico. Bologna, Loescher, 1981

Bion W.R. (1976/77/78/79) Seminari Tavistock. Roma, Borla, 2007

Carrère E. (2000) L’avversario. Torino, Einaudi

Carrère E. (2011) Limonov. Milano, Adelphi 2012

Carrère E. (2014) Il regno. Milano,Adelphi 2015

Winnicott D.W. (1958), Dalla pediatria alla psicoanalisi, Firenze, Martinelli 1975

Winnicott D.W. (1963) Sviluppo affettivo e ambiente, Roma, Armando 1970

Winnicott D.W. (1971) Gioco e realtà, Roma, Armando 1974

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

Graziani G. (2014). Intervista sulla 'Mindfulness': pratica di meditazione e studi empirici.

Leggi tutto

Reverie

Leggi tutto