Cultura e Società

Via Katalin

3/03/10

Einaudi, pag. 198

Magda Szabó (2008)

 

Questo romanzo di Magda Szabó, considerata la più importante scrittrice ungherese del XX secolo, viene pubblicato nel 1969, ma giunge in Italia solo nel 2008.

Secondo il traduttore dell’edizione italiana, Bruno Ventavoli, quest’opera è il “figlio più amato” dalla scrittrice.

Via Katalin è un romanzo intenso, dalla scrittura elegante, profonda e perfetta nel descrivere gli intimi moti dell’animo dei protagonisti.

Come scrive Cristina Campo: «Alcuni libri operano su questa nostra esistenza – che per aggirarsi in qualche modo intorno alla poesia così spesso e così a torto vuole apparirci verità – il più salutare dei miracoli. La pongono in relazione con altre zone: di una verità indiscutibile quanto semplice, radiosa quanto spoglia, e che è per questo due volte poesia. Sono i soli libri che possano aiutarci, nei giorni dell’angoscia, a reggere il peso del tempo. I soli che […] rimangano a mostrarci l’eterna forza di gesti bene orientati, di pensieri unicamente volti alla giustizia, di un senso della vita, in una parola, classico: se farsi classico è – secondo il detto di Barrès – raggiungere una delicatezza dell’anima che respingendo le menzogne, per quanto amabili si mostrino, non possa gustare che il vero.» (1998, 31).

 

Torniamo al romanzo di Magda Szabó ambientato a Budapest. Vi si narrano le vicende di tre famiglie, nell’arco di un periodo che va dal 1934 alla fine degli anni Sessanta. L’approccio non è facile poiché si presenta, almeno inizialmente, come un romanzo corale e il lettore si trova immerso in una dimensione teatrale affascinante, ma nella quale deve calarsi poco a poco per potersi orientare.

Ci sono tre case, in Via Katalin, in cui vivono le famiglie degli Held, degli Helekes, dei Biró; tre giardini in cui i bambini, la piccola Henriett, Irén e sua sorella Blanka, Bálint, giocano tra loro e intrecciano legami d’amore e di amicizia che dureranno per sempre, seppure travolti dalle vicende della guerra, dalle persecuzioni antisemitiche, dai lutti che sconvolgeranno le loro esistenze.

“Dopo” nulla sarà più come prima.

Come recita la quarta pagina di copertina «Con grazia e semplicità conturbanti, Magda Szabó ci dice che di tutto ciò che costituisce un’esistenza, solo alcuni luoghi ed episodi contano veramente […] Ad affascinare è la sua profonda riflessione su quanto conserviamo e su quanto abbandoniamo».

Il libro, infatti, dopo il bellissimo prologo si divide in due capitoli: Luoghi e Date ed episodi.

La struttura del romanzo è polifonica: ogni personaggio racconta il proprio punto di vista.

La tenerezza e profondità dell’amicizia, che ci avvolgono come in un cerchio magico, non cancellano, tuttavia, l’amarezza per la crudeltà delle vicende storiche e umane.

Privato e pubblico si mescolano e si confondono rivelando le personali contraddizioni. Chi nasconde la famiglia ebrea è proprio il Maggiore Biró, ufficiale di Horthy, rappresentate di quella democrazia popolare non certo esente da spietatezza. Magda Szabó non fa sconti sulla verità mentre ci parla della verità emotiva con profonda limpidezza.

Anche la morte e la vita sembrano non avere più un netto confine: a Henriett, la piccola ebrea, uccisa da un giovane soldato, viene concessa, talvolta, la possibilità di assumere una dimensione terrena, di rivedere i luoghi e le persone amate seppure da una prospettiva dai toni surreali che potremmo definire onirica.

D’altronde già nel prologo, fortemente suggestivo, si annuncia: «[…] Ormai sapevamo che la differenza tra i morti e i vivi è solo qualitativa, non conta granché, e sapevamo anche che a ciascuno tocca un solo essere umano da invocare nell’istante della morte.» (6).

Ogni personaggio, scavando dentro di sé, arriva alla dolorosa comprensione che oltre ai pensieri razionali ce ne sono altri «talmente profondi che non ero mai riuscita ad individuarli, pensieri che sapevano da soli di dover restare inespressi, di non poter mai affiorare al livello della coscienza. Ma laggiù essi vivevano, sempre vigili e in attesa.» (105), come dice Irén.

Nello scoprire se stessa e il proprio mondo affettivo la lucida e razionale Irén acquisisce una nuova consapevolezza: «Allora non sapevo ancora che anch’io amavo Blanka più di qualunque altra cosa al mondo, più di qualunque altro essere umano che avesse fatto o facesse parte della mia vita, la amavo persino più di Bálint.». (164).

Blanka, la più istintiva, la meno ragionevole, “sapeva” di un sapere suo.

L’ultimo grido, nel romanzo, è per lei.

Magda Szabó, nell’esplorare con grande finezza i sentimenti umani e le molteplici emozioni, sa metterci in contatto ed intimità col nostro mondo interno e sicuramente, mentre leggiamo le pagine del suo romanzo, ci fa sentire in ottima compagnia.

Anna Scansani

 

Bibliografia

 

Campo C. (1998), Sotto falso nome, Adelphi, Milano.

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