Parole chiave: Donne, Corpo, Psicoanalisi, Violenza, Trauma, Freud
Tutta la vita che resta
di R. Recchia
Rizzoli 2024
Recensione di N. Muscialini
Il libro di Roberta Recchia, edito da Rizzoli vince l’edizione 2024 del premio letterario iOdonna “Eroine d’oggi”. Le eroine sono le protagoniste del libro Marisa Ansaldo e Miriam Bassevi, personaggi femminili che sembrano meglio rappresentare donne “precipitate in una tragedia che al tempo stesso le unisce e le separa ma che riescono a uscire dal buio e a ritrovare le ali per volare” (Io donna, 2024).
L’autrice, ex insegnante di lettere, racconta di avere scritto già una trentina di romanzi ma che quest’ultimo inviato alla redazione di Rizzoli ha ricevuto un riscontro positivo e una proposta di pubblicazione immediata. Ciò, credo, possa essere un segnale della sensibilità e l’insofferenza sviluppata dalla collettività verso i temi concernenti la violenza di genere e i femminicidi. Intolleranza che, forse, indica un importante punto di svolta nella rappresentazione sociale di questi crimini che sono diventati, anche grazie alla letteratura, parlanti e rappresentabili.
Roberta Recchia racconta come il libro sia frutto della sintesi di tante storie che ha ascoltato durante i suoi anni d’insegnamento ma anche di una sua personale esperienza poiché, afferma, “ho sofferto di disturbi alimentari e ho avuto necessità di farmi aiutare”. La storia che si snoda in Italia tra il 1956 e il 1980 è di una violenza di gruppo e di un femminicidio e delle conseguenze che esperienze così tragiche lasciano nella vita dei sopravvissuti.
La trama più che mai attuale rompe il silenzio in cui per secoli sono state racchiuse le storie delle discriminazioni e abusi; è una denuncia, un disvelamento che diventa cura, non solo per i singoli individui ma per la collettività intera. Sappiamo infatti che le violenze che non hanno voce, giustizia e risarcimento deflagrano anche nella collettività. Nei miti greci gli stupri che non ricevevano giustizia, anche quando agiti dagli dei, provocavano guerre, epidemie e flagelli, motivo per il quale vi era una mobilitazione collettiva per la celebrazione della vittima, tramutata in pianta o animale da onorare, e la punizione del reo. Questo libro diventa, quindi, una possibilità di rappresentare l’indicibile.
Il trauma subito tenuto segreto si ripropone a Miriam senza sosta, viene manifestato nel corpo e in comportamenti autolesivi; la sofferenza deve essere stordita, distratta, raggirata. L’adolescente mortifica il corpo affamandolo, obnubila e stordisce la mente assumendo sostanze stupefacenti o farmaci che possano neutralizzare i ricordi.
Di un corpo che parla al posto delle parole aveva argomentato Freud già durante la sua frequenza alla Salpètriere ponendo così le basi per la nascente e rivoluzionaria psicoanalisi. Osservare la messa in scena isterica di un dramma attraverso il corpo lo convinse della necessità di “ indagare un motivo, un trauma, un nesso tra ricordi e impressioni e la trasformazione di questi in fenomeni corporei senza che l’insieme dei processi psichici, l’Io, ne sappia o ne possa intervenire per impedirlo. ” (Freud, 1886). Ipotizzò che alla base di questi meccanismi vi fosse una seduzione, teoria che seppur ritrattata e modificata nel corso del tempo verrà da lui riproposta nelle sue concettualizzazioni “Ai fini dell’eziologia, la seduzione conserva una certa importanza.” (Freud, 1924).
L’altra protagonista del romanzo, Marisa, dopo l’uccisione della figlia sprofonda nella depressione e “smette di vivere”. Si seppellisce in vita, non esce più dalla stanza della figlia e smette di provare qualsiasi interesse fino a quando non riuscirà ad avere giustizia.
A dare aiuto a Miriam e agli altri sopravvissuti sarà Leo, adolescente che impersona una figura maschile positiva ma rappresenta anche quella parte di Miriam che legittima il perdono e la possibilità di ricominciare a vivere e ricevere una cura dell’anima. E’ l’incontro con Leo a dare “la possibilità di aprire il soggetto a nuove occasioni relazionali che possano consolidarsi e coesistere con quelle traumatiche” (Monniello, 2014).
Il libro rappresenta una storia di “guarigione” ma anche una simbolizzazione del trauma e un’assunzione di responsabilità collettiva.
Marcel Vinar (2005) rammenta quanto sia indispensabile l’impegno di tutti in situazioni di violenza estrema e non lasciare le vittime sole nella ricerca di riparazione e giustizia poiché il danno subito è un trauma per tutti. “Accettare di segregare ed alienare in altri ciò che appartiene a tutti, operazione denegatoria che Lacan (1955-56) recupera nella sua nota formula, secondo la quale ciò che viene espulso dall’ordine simbolico ritornerà nel reale. Lo scandalo della negazione, la falsificazione non è solo profanazione di memorie ma anche minaccia del nostro presente e del nostro futuro come comunità umana. L’inesistenza dell’orrore per negazione o banalizzazione, non è solo una falsità ma un’affermazione di un non senso. Non si tratta solo di silenzio, ma l’affermazione di un occultamento, dell’iscrizione attiva di un buco. L’abolizione di un reale accaduto sopprime l’argomentazione quindi la possibilità di iscriverne il significato”.
Il libro di Roberta Recchia va quindi nella direzione di svelare ciò che è stato occultato e rimosso e dare voce alla denuncia di tante donne.
Bibliografia
Amati Sas S. “Ambiguità, conformismo e adattamento alla violenza sociale” 2020, Franco Angeli.
Freud S. “Relazione sul mio viaggio a Parigi e Berlino. Intrapreso grazie a una borsa di studio concessa in occasione del giubileo dell’Università”. Ottobre 1885-fine marzo 1886”, Vienna 1886.
Freud S. Charcot” No. 37quarantatresesima annata. Settimanale di medicina di Vienna, 9 settembre 1893.
Freud S. “Charcot”, (1885-1893), in “Il notes magico”, 2012, La biblioteca di psiche.
iodonnapremioletterario@rcs.it, novembre 2024.
Monniello G. “Una ferita all’origine. Il trattamento psicoanalitico del bambino traumatizzato”, a cura di Cancrini T., Biondo D. (2012) Borla; recensione in Rivista psicoanalisi 2014, LX, I, Raffaello Cortina.
Vinar M. “Specificità della tortura come trauma”, Rivista di Psicoanalisi, 2005, 51(2), Raffaello Cortina.