“Tra” questa immensità
A. Cusin, L. Fattori, M. Stanzione Modafferi, G. Vandi (a cura di)
(Guaraldi, 2020)
Recensione a cura di Gemma Zontini
Tra. La parola con cui si apre il titolo e con cui si è aperto un mio interrogativo. Quando leggere il libro? Tra sera e notte, alla fine di una giornata di lavoro? Tra il weekend e l’inizio della settimana? E, anche, dove leggerlo? Tra la poltrona e la scrivania dello studio o tra il divano e la scala del soggiorno? Insomma tra quando e quando? Tra dove e dove? Un interrogativo ozioso, forse. Eppure non indifferente. Perché mi ha introdotto da subito al problema del limite: limite temporale che scansiona in modo finito il tempo di una giornata, limite spaziale nel senso dello spazio da dare ad una parola che non è quella analitica e non è quella del linguaggio comune, ma è la parola scritta di un’opera che parte dalla riflessione su una poesia: L’Infinito di Leopardi. Ed è proprio dal concetto di limite che parte il volume.
Ravasi, infatti, riprendendo uno scritto di E.A. Poe, collega il concetto di infinito allo sforzo di raggiungere l’idea stessa di infinito. Questo sforzo implica per prima cosa di immaginare l’assenza di limiti che l’infinito, come il nulla, implica: il suo non finire, come non finiscono gli anni di Dio e l’amore cristiano. Un altro modo di compiere lo sforzo di avvicinamento all’idea di infinito è l’innumerevole, inteso come l’innumerevole combinatoria dei simboli e l’innumerabilità dei numeri. Un’altra via ancora di approssimazione ad un afferramento dell’infinito è la possibilità di concepire l’onnicomprensivo (onnipotenza, onniscienza, onnipresenza), il massimamente grande, il massimamente piccolo.
L’aspetto di infinitamente piccolo, ma anche di infinitamente numeroso, viene ripreso da Akkad e Cusin. Questi autori pongono al centro della loro riflessione sull’infinito la dimostrazione di Cantor: l’impossibilità di numerare l’insieme dei punti di un segmento genera numeri transfiniti, numeri naturali che possono essere sottoposti a tutte le operazioni cui sono sottoposti i numeri finiti ma si applicano ad un ambito diverso, quello dell’infinito. Il loro simbolo è Alef, “la prima lettera della lingua sacra”, la stessa lettera che Matte Blanco usa per affrontare la logica dell’inconscio, logica che egli definisce simmetrica poiché rende conto di quegli aspetti di indivisibilità e paradossalità del funzionamento psichico. Ma Alef in lingua araba è rappresentato da un segno che rimanda al numero uno. Ed è la lettera con cui comincia il nome di Allah. Alef e 1 dunque consentono la manifestazione di Allah nella vita umana, dell’infinito divino nella vita limitata e finita dell’uomo.
Baldassarro affronta la questione dell’infinito a partire dal sentimento oceanico. La riflessione freudiana sul sentimento oceanico sembrerebbe ricondurre tale sentimento all’esperienza di fusione con il tutto e, contemporaneamente, di scioglimento nel tutto. Esso, quindi, sarebbe connesso ad un desiderio di ritorno al legame fusionale con la madre, ma sarebbe anche segno di dissoluzione dei legami individuali cioè segno del lavoro della pulsione di morte. Il sorgere del sentimento oceanico avrebbe quindi due esiti possibili: la fusione con il tutto, simile all’esperienza mistica, che rimanderebbe al negativo materno, all’inclusione in uno spazio sconfinato, al ritorno ad uno stato indifferenziato, all’annullamento dei confini, al ritorno al grembo materno inteso come ricomparsa di un fantasma originario. Questo primo esito del sentimento oceanico, quindi, sarebbe connesso all’oltrepassamento dei confini, all’illusione di fare di due uno. L’altro esito del sentimento oceanico può condurre ad un’esperienza di perdita intollerabile, perdita della propria esistenza soggettiva, sensazione perturbante di non essere sé. Il sentimento oceanico, dunque, sembra rappresentare la dimensione illusoria del raggiungimento di un tempo mitico originario in cui il soggetto singolare non esiste poiché è fuso/disperso nel tutto. Un tempo in cui non esistono differenze, organizzazioni, confini. Il tempo in cui si compie il lavoro della pulsione di morte. Eros e Thanatos si intrecciano dunque nel materno, al cuore della generazione della vita stessa. E si inseguono nel sentimento oceanico, come nell’esperienza mistica, come nella psicoanalisi intenta anch’essa a superare il limite della coscienza per accedere all’inconscio.
Anche Nicoli cerca l’esperienza dell’infinito nel sentimento oceanico, identificando tuttavia dei gradi intermedi di comunione con il tutto. Uno di questi gradi che l’autore pone in relazione con le esperienze di non integrazione è l’esperienza immersiva: situata tra l’ordinario-consapevole e il “fuori dall’ordinario”, l’esperienza immersiva ha una qualità vitale, promossa dal desiderio e da una sufficiente integrazione dell’Io. Un altro grado di avvicinamento all’infinito è un’esperienza più attiva di quella immersiva: il gioco. In esso è presente anche l’esperienza di “mettersi in gioco”, “giocarsi”, di andare oltre il già noto per poter esistere autenticamente, andare verso il noi dal quale proveniamo, da cui siamo abitati.
Fattori trova nei versi di Leopardi il riferimento a due diversi tipi di esperienza dell’infinito: l’in-definito e l’in-finito, intesi rispettivamente come mancanza di confini e oltrepassamento del confine. Il limite diviene dunque l’elemento necessario all’esperienza dell’infinito poiché è ciò che si presta ad essere oltrepassato, fa da schermo per immaginare l’”oltre”, laddove l’assenza del limite nell’esperienza di in-definito rimanda più alla mancanza di confini dell’Io corpo, a stati corporei grezzi di tipo affettivo-sensoriale, pre-rappresentativi. Ad una sensazione oceanica piuttosto che ad un sentimento oceanico, che sembra implicare una sensorialità tattile simile a quella della vita intrauterina in cui la pelle non funziona ancora da discrimine tra dentro e fuori. Qui il “tra” che Leopardi antepone all’immensità rimanda proprio a quell’assenza di confini che consente di far parte: far parte dell’altro, del mondo, di una massa di simili. L’esperienza dell’in-finito, come oltrepassamento del confine, invece, si colloca su un registro rappresentativo e consiste in uno stato caratterizzato non solo da benessere ma anche da una qualche forma di sgradevolezza. Qualcosa di simile al timor sacro dove il turbamento è legato all’angoscia di oltrepassare l’interdetto edipico. O alla nostalgia di un ritorno alla fusione con il genitore arcaico e al vissuto di illimitatezza ad esso connessa.
Vandi situa la questione del limite e del suo valicamento all’interno di una riflessione teorico-clinica sulla perversione narcisistica. Il narcisista perverso realizzerebbe uno sconfinamento nell’oggetto, privandolo del suo statuto di soggetto, per affermare l’illimitatezza del principio di piacere libero dalle costrizioni del principio di realtà allo scopo di salvaguardare una rassicurante fusionalità primaria. Il dominio sull’altro diviene, così, centrale per il narcisista perverso, ma ciò rende impossibili i legami paritari poiché il soggetto si relaziona ad oggetti non soggettivizzati, trattati alla stregua di oggetti inanimati, oggetti-non-oggetti. Lo sconfinamento narcisistico all’interno dell’oggetto costituisce per il narcisista perverso il punto di partenza per ottenere l’immunità oggettuale, mentre lo sconfinamento sistematico dall’ordine paterno, dalla castrazione, tenta il ripristino del narcisismo assoluto primitivo in cui l’oggetto, e i turbamenti che da esso possono derivare, è denegato, abolito e con esso il senso e l’ordine della realtà.
Stanzione Modafferi ritorna alla parola. Tra è una parola con il suo peso di antico e di storia, con la sua tendenza a combinarsi e a tra-sformarsi, a sgusciare via e a ritornare. Con il suo suono e il suo ritmo, come una filastrocca o un rapido respiro. Con il suo bisogno di tradursi e comporsi. Tra in particolare ha il senso del muoversi, delimita uno spazio, ritaglia un luogo dallo spazio infinito. Ma non appena ha circoscritto e delimitato giunge ad un limite in cui incontra l’altro, un limite in cui il soggetto incontrando l’altro si altera, si tra-sforma. Il tra è dunque un ponte tra due territori diversi, sé-altro, interno-esterno, soggetto-oggetto. Ma è anche l’espressione della tendenza perennemente eccentrica di ogni individualità. È l’eccedenza di sé a sé che trascina fuori di sé per farsi strada verso l’altro. È il senso inteso come verso, direzione, che la parola, il linguaggio, la pulsione prende per raggiungere l’altro, l’ulteriore che si può solo vedere con gli occhi della mente, in-tra-vedere. È la strada del transfert dove l’uscita da sé di quell’eccedenza di sé che è l’inconscio si fa strada verso l’altro, l’analista, e la parola si fa tra-mite per l’atto conoscitivo, con le sue mille transumanze tra difesa, atto mancato, lapsus, desiderio, sintomo. Come la poesia, torna al passato, al rimpianto di ciò che non torna e non (si) cambia, alla ripetizione di ciò cui non si riesce a dire addio.
La lettura del libro mi ha tra-sportato, condotto a riconsiderare il piacere della poesia, di come essa sia generativa di idee, produttrice di affetti.
Come mi sarei posta io di fronte a questo “tra”, mi sono chiesta? Avrei pensato al sogno, credo. In fondo il sogno si estende tra veglia e sonno proponendoci frammenti di immagini, scene e discorsi che sembrano accadere con la stessa certezza, con la stessa vividezza, che avrebbero se noi fossimo svegli mentre, allo stesso tempo, custodisce il sonno, quella momentanea e quotidiana morte della coscienza necessaria alla vita tanto quanto la veglia. Il sogno delinea le sue immagini tra percezione (i residui diurni percepiti delimitati dal pensiero cosciente) e allucinazione (creatura dell’infinita capacità psichica di costruire connessioni). E si estende tra il desiderio pulsionale con la sua carica di vitalità che consente l’investimento dell’oggetto e la tendenza estintiva della scarica pulsionale. E giace tra soggetto e oggetto poiché un oggetto del sogno è anche sempre un’identificazione, consentendo quell’incontro dell’altro, con l’altro che è in noi, è noi, consentendo la scoperta di quell’estimità (Lacan 1959-1960), di quell’estraneità del nostro più intimo a noi stessi. Il sogno è tra le zone erogene del corpo, luoghi della radice corporea della pulsione, e il margine, il limite, in cui esse si inabissano nell’oscurità del corpo organico, un’immensità inconoscibile perché infinitamente ripiegata in un interno precluso allo sguardo e al desiderio. Ed è tra la memoria e l’oblio, tra il suo lavoro secondario, il racconto del sogno ricordato, e la sua scomparsa nel nulla del sonno di cui non è necessario conservare il ricordo. Ma anche la parola che racconta il sogno sembra giacere tra il suo valore di simbolo e il suo statuto di metafora concettuale di base (Lakoff 1986), basata sul corpo, i suoi sensi e le sue azioni attraverso cui conosciamo il mondo, tra la lingua e la linguisteria del corpo (Lacan 1972-1973), tra l’immensità delle rappresentazioni di cosa e il modesto quadrilatero della rappresentazione di parola (Freud 1891).
E il sogno ha un ombelico, un punto oscuro, un groviglio di pensieri onirici che non si lascia sbrogliare, un ombelico (Freud 1899) che è margine, limite, tra l’immensità e l’infinitezza della vita psichica e la finitezza del pensiero della ragione e della coscienza. Il sogno, in fondo, è l’ombelico tra vita e morte, psiche e corpo, Io-Altro.
Con una poesia si aprono i contributi del volume, con qualche riga di una poesia concludo il mio commento, poche righe che sembrano definire limiti precisi e persino angusti di un andare per aprirsi poi all’infinito della visita al mondo che è la vita dell’uomo.
Allora andiamo, tu ed io,
Quando la sera si stende contro il cielo
Come un paziente eterizzato disteso su una tavola;
Andiamo, per certe strade semideserte,
Mormoranti ricoveri
Di notti senza riposo in alberghi di passo a poco prezzo
E ristoranti pieni di segatura e gusci d’ostriche;
Strade che si succedono come un tedioso argomento
Con l’insidioso proposito
Di condurti a domande che opprimono…
Oh, non chiedere « Cosa? »
Andiamo a fare la nostra visita.
Eliot T.S. (1910-1911).
Bibliografia
Cusin A., Fattori L., Stanzione Modafferi M., Vandi G. (2020) “Tra” questa immensità. Rimini, Guaraldi.
Eliot T.S. (1910-1911). Canzone d’amore di J. Alfred Prufrock). Trad. it Bruno Osimo. Milano, Osimo, 2020.
Freud S. (1891). L’interpretazione delle afasie. Uno studio critico. Napolitano F. (a cura di) Quodlibet, Macerata, 2010.
Freud S. (1899). L’interpretazione dei sogni. O.S.F., 3.
Lacan J. (1959-1960). L’etica della psicanalisi. Il Seminario. Libro VII. Torino. Einaurdi. 2008.
Lacan J. (1972-1973). Ancora. Il Seminario. Libro XX. Torino. Einaudi. 2011
Lakoff G. (1986). Women, fire, and dangerous things: what categories reveal about the mind. University of Chicago Press, Chicago.