Toccare la “America”. Il viaggio incestuoso di Ulisse dentro il corpo di sua madre
Di Guelfo Margherita (Luigi Guerriero Editore, 2022)
A cura di Ambra Cusin
Parole chiave: #Odisseo, #pulsione epistemofilica, #trasformazioni, #correnti di coscienza
Ho trascorso molti pomeriggi di questo passato inverno a giocare con il mio nipotino di tre anni e mezzo.
Jacopo amava molto fare, del resto come tanti bambini, sempre lo stesso gioco. Voleva che lo aiutassi, con cuscini di varie dimensioni, a costruire una casetta sul divano di casa. In realtà la casetta era un lungo cunicolo, in cui l’equilibrio dei cuscini era del tutto precario. Jacopo vi entrava, per accoccolarsi al suo interno, ripetendo “Casetta mia… mia casetta. Mia mamma… mamma tutta mia”. Poi finiva per muoversi più del tollerabile per la struttura architettonica e ingegneristica da me creata, e il tutto veniva distrutto. Come ogni nonna che si rispetti non mi sono mai chiesta cosa significasse questo gioco – scegliendo piuttosto di divertirmi – se non quando, a primavera inoltrata, mi arrivò tra le mani il libro di Guelfo Margherita sul viaggio incestuoso di Ulisse all’interno del corpo della madre, esageratamente ed epistemofilicamente curioso e avido di conoscenza.
Ho potuto così vedere e apprezzare come il piccolo Jacopo si stesse palesando con me come un novello Odisseo alla ricerca della conoscenza contenuta segretamente nel corpo della madre amata, mia figlia, fatta essere umano da me (e dal padre), ma fatta “mamma dal mio papà”, come ebbe modo di dire Jacopo qualche giorno fa. E così ho potuto apprezzare come Jacopo aneli ad una conoscenza scientifica mentre studia il funzionamento, osservando silenziosamente e con attenzione, ogni piccolo oggetto che gli passa per le mani.
Guelfo Margherita è uno psicoanalista SPI, didatta dell’Istituto Italiano di Psicoanalisi di Gruppo, e da Primario Psichiatra, negli anni settanta apre il suo reparto manicomiale utilizzando pratiche psicoanaliticamente orientate di psichiatria territoriale e psicoterapia gruppale delle psicosi. Ha trascorso lunghi periodi di studio in California e in India.
Jacopo, Odisseo… Guelfo ricercano qualcosa contemporaneamente, qualcosa che forse ancora non sanno cosa sia, ma che vogliono conoscere e quando dico “conoscere” penso a mangiare, ingurgitare, sbranare, divorare, introiettare, incorporare perché diventi proprio patrimonio, perché divenga parte di sé come Eliza, una mia lontana paziente anoressica che non poteva assumere cibo in quanto ogni piccolo boccone era, concretamente nella sua realtà interna, il latte materno, anzi il seno della madre, di più… il corpo della madre che lei assaggiando – attraverso ogni piccolo boccone di qualsiasi cibo – sbranava facendola propria, ma anche perdendola, la madre, per sempre. Un dilemma insopportabile.
Jacopo ed Eliza attori protagonisti, assieme a molti di noi, di quel fantastico gioco dove non si capisce bene chi è che fa l’azione – anche la fantasia può essere una sorta di azione interiore, psichica – del “ti mangio”! (p. 27). “Come corpi di donna dentro cui si svolgono i viaggi di tutti i bambini incestuosi che conquistavano la fantasia della loro isola del tesoro issandovi l’eccitazione possessiva delle mutandine di pizzo nero della mamma” iniziano poi “[…] sul fasciatoio, dopo il bagnetto e l’infarinatura di borotalco, il gioco terrifico ed estatico del ‘ti mangio’” (ibidem).
Ma forse potremmo essere anche neo Amazzoni che, come Margherita narra a pag. 108, per avere il sapere di Odisseo devono sbranarlo. Odisseo si illude di donare il sapere all’Amazzone Pentasilea versando “nel tuo corpo, in cui io ho ucciso la tua creatività recettiva, il mio sapere in modo che tu non possa avere alcuna possibilità di elaborazione personale: eseguirai ordini in uno stato ipnotico come uno zombie e userai questo sapere solo come ti dico io” ma Pentasilea (e se fosse Pensa-silea?) invece di soggiacere passivamente alla trasmissione del sapere risponde con un deciso “No! Visto che non vuoi darmelo come lo voglio io il tuo sapere di cui sei geloso, te lo strapperò a morsi per divorarlo assieme al tuo corpo nutriente e crescere come voglio io!”. Eliza/Pentasilea divora l’analista/madre e fugge più serena, meno anoressica, con un peso forma /presunto sapere in un paese lontano dove oggi è qualcosa che non so.
Il libro di Guelfo Margherita va quindi “mangiato”, gustandolo pezzettino dopo pezzettino, sopportando di sentirsi un po’ cannibali perché ogni riga è un assaggio della sua mente originale. Così come per il Tantra, questo libro, “come ogni illimitata liberalizzazione non assunta all’interno di un’adeguata disciplina mentale, può essere pericolosa” (p. 90). Anche questo libro va gustato a dosi moderate “perlopiù a digiuno” come consiglia Margherita a pagina 90… conservandolo “in luogo fresco e ventilato” e “tenendolo lontano dai bambini di tutte le età”. I più pericolosi e mai innocenti mangiatori/divoratori di sapere. Potrà la nostra parte infantile sopportare il contenuto estremamente scabroso del libro che ci dice quelle verità su noi stessi che in molta parte delle nostre analisi abbiamo evitato?
E’ solo Margherita ad essere un Odisseo, “gran figlio di Troia” (p. 91) o il libro parla di noi, sì proprio di noi esseri umani che per di più abbiamo avuto l’originale e appassionante idea di diventare, professare ed infine essere psicoanalisti ovvero aver trascorso molte ore distesi su un lettino (e ora guardare e prendersi cura di chi si distende sui nostri lettini) non per “ricordare e raccontare la propria infanzia, ma imparare a rielaborare nel qui e ora le ripetizioni del proprio transfert: magari macrogruppale, magari transpersonale” (p. 83)?
Leggere, anzi vivere, questo libro significa forse – o perlomeno così è stato per me – soggiornare in un tempo impossibile in cui a nulla valgono le leggi asimmetriche della coscienza per, assieme a Guelfo Margherita, far dialogare figure mitiche esterne, ma anche nostre interiori, dei nostri personali miti, con immagini di ieri e di oggi – da Melanie Klein a Carola Rakete, da Shiva a Nureyev, da Achab a Simbad realizzando racconti che solo una mentalità allenata alla simmetria e alla multidimensionalità dell’inconscio riesce ad apprezzare? Magari approdando in una Capri, più petrosa della natìa Itaca, dove potrebbe accadervi di incontrare proprio Odisseo che cammina “solo con gli zoccoli o quantomeno gli infradito” (p. 46).
Siamo in un tempo compresso, in un agglomerato temporale fatto di infinitezze che si incontrano perché il libro mi appare come il sogno in diretta della vita di Margherita, il racconto della sua mente nel quale noi percorriamo con lui un viaggio tra personaggi reali dell’oggi intrecciati a protagonisti che hanno attraversato i tempi, anche i nostri tempi mentali e storici, godendoci il lusso di fare come Tiresia che riesce a comprendere – proprio in quanto sa abbandonare memoria e desiderio – come “solo accecando tutta questa accademia dentro i suoi occhi ed entrando nella nebbiolina onirica di una stupita purezza” si possono veramente raccontare le rotte ed i viaggi delle esplorazioni reali o virtuali della vita (p. 19). Nostra e dei nostri pazienti.
Leggendo viviamo in diretta l’esperienza disorientante del Multistrato Complesso, in esso vengono inquadrate diverse unità. Da Odisseo al Leopold Bloom di Joyce a Guelfo Margherita che pur avendo vissuto in tempi, ambienti e dentro e con menti differenti, fanno emergere frammenti di vite “così simili tra loro da risultare come addirittura un’invariante all’occhio del poeta che li racconti” (p. 21). Come appunto in un sogno, Margherita mette in atto uno sforzo notevole per trovare un linguaggio adeguato, altrettanto scientifico a quello di paralleli saggi psicoanalitici, in cui, attraverso la forma letteraria del linguaggio sincretico si esprimono concetti che hanno la forza di tenere assieme scienza e letteratura dove la realtà – sia del mondo psichico interno che di quello esterno contemporaneamente – può essere detta.
Penso, leggendo, ai disegni sulle pareti delle caverne di Lascaux, dove 17.000 anni fa qualcuno raccontò storie di caccia. C’era una scientificità in quei racconti che riescono ancora oggi a portarci l’emozione di uno stato d’animo gruppale. Un gruppo che con quei disegni ci mostra come si stava costruendo quella comunità grazie ad un proprio fare, esplicitato dal racconto per immagini che oggi potrebbero essere quelle postate su facebook: “Noi andiamo a caccia e così possiamo mangiare e vivere e generare esseri umani che un domani lontano genereranno voi”. Come dice Mago Merlino a Semola nel film disneyano “La spada nella roccia”: “questo è un aereo, cioè uno speciale uccello meccanico che gli uomini inventeranno in un futuro lontano!”
E’ nello scambiarsi pensieri, anche disegnando sulle pareti di una caverna, che si diviene comunità scientifica. Il libro di Margherita usa un linguaggio letterario complesso, a volte poetico, che forse a tratti può confonderci o farci sentire disorientati, ma che è pur sempre un linguaggio scientifico in quanto tiene assieme simultaneamente, proprio come avviene nell’inconscio, tempi e spazi lontanissimi tra loro, ma collegati da associazioni che attivano nuove associazioni e connessioni germinative per il lettore.
E questo racconto è per me proprio quell’urlo “della nascita, in cui impari a respirare e quindi a vivere,” in cui “l’amore è solo vitalità di un gene egoista che vuole conquistare l’infinito; e la morte diventa attrazione passionale fusiva per lo status quo di benessere statico indifferenziato che non vuole essere perso (l’età dell’oro e della dipendenza infinita)” (p. 19).
Il libro rappresenta per me la massima rappresentazione, messa in scena, di quello che accade nella stanza di analisi, dove, se effettivamente siamo ciò che diciamo di essere cioè psicoanalisti, incontriamo questo magma vulcanico e incandescente – non a caso Margherita è napoletano, cresciuto alle falde del Vesuvio – senza tempo e libero dagli spazi geometricamente definiti, un magma che abita nel paziente e in noi, che possiamo avvicinare solo se ci liberiamo dall’obbligo dato dal pensiero lineare e teorico di ‘curare’ per lasciarci piuttosto invadere e abitare come fossimo il corpo di quella madre a cui il bambino ambisce, facendoci mangiare e sbranare, mangiando anche noi e sbranando, diventando noi parte del paziente e divenendo il paziente parte di noi in un tutt’uno, liberi dalla logica dei linguaggi lineari così che l’esperienza dell’analisi, ma anche dell’analizzare, “scolpisca i mattoni” dei corpi e della mente “con i bassorilievi erotici del tempio di Khajuraho” (p. 89). E non chiedetemi dove sia Khajuraho perché non lo so ed è proprio perché non lo so che lo posso immaginare scolpendo in me le forme che preferisco.
Ma con il dolore e la sofferenza del paziente come la mettiamo? In fin dei conti il paziente è venuto a chiederci aiuto.
La teoria, anni di esperienza non devono andare perduti. Nel libro li incontriamo. Il libro non è solo un trattato poetico, non è solo un racconto, ma è una teoria vivente che si inscrive, nascosta tra le righe, in una contemporaneità e simultaneità dove possiamo fermarci ad “attendere lo spuntare dentro la nebbia” di un silenzio interiore, proprio, nostro e del paziente, dove incontrare quel senso senza parole della vita grazie al quale “apprendere inesprimibili verità” (p. 75). Il dolore psichico è anche incapacità di mettere parole ad un inesprimibile che non ha parole. Ed è proprio soggiornando con il paziente in questa simultaneità spazio/temporale che le parole della sofferenza possono essere scomposte e ricomposte per aprire a sempre nuovi paesaggi psichici dove lentamente trovare, o forse ri-trovare, le proprie parti vitali.
Gu-elfo (gli Elfi sono esseri mitologici dai poteri magici, un po’ ambivalenti nei confronti di noi umani… capaci di ostacolarci o di aiutarci…) Marghe–Vita insegna e trasmette vita psichica, cioè è disponibile ad essere sbranato: “Basta libri e lezioni frontali, era venuto il momento per apprendere dall’esperienza quello che volevano imparare, di tuffare cioè ambo le mani e sporcarsele nella passione” (p. 107) . “Margherita”… un Mare della vita in cui possiamo fare l’esperienza del far nascere e rinascere sempre nuovi pensieri.
“Zanzare e afa, pensa Odisseo/Guelfo, sono i principali nemici dei viaggi mistici, molto più delle tentazioni del sesso e potere che varie forme di demoni possono presentarti nei deserti” (p. 74).
Credo che questo libro/esperienza da cui apprendere aiuti tutti noi a stare con zanzare e afa senza schiattare. Del resto la teoria psicoanalitica è un ottimo Autan!
Il libro si conclude con dei ringraziamenti, quasi una eredità che il buon Guelfo ci trasmette, di cui riporto l’ultimo, non senza una qualche emozione: “Grazie allora infine per il mondo che studiate, esperite e create in cui anche noi, come antenati, continueremo ad essere, dentro l’informazione del vostro ricordo, contenuti per sempre” (p. 210)