La Nuova Sardegna – 3 febbraio 2017
TRAGICA VENDETTA
“Vasto, scocca l’ora delle polemiche”
L’arcivescovo: “Giustizia lenta”. L’esperto: “Era un grido d’aiuto”
INTRODUZIONE: Adelia Lucattini, Società psicoanalitica italiana, risponde alla giornalista Sara Ficoncelli a proposito dell’omicidio di Vasto. L’esperta rintraccia nella mente e nell’ideazione persecutoria dell’omicida i segnali di un lutto non elaborabile. (Silvia Vessella)
La Nuova Sardegna – 3 febbraio 2017
Sara Ficocelli
Ha chiesto giustizia, poi Fabio Di Lello ha deciso di agire da solo e ha sparato a Italo D’Elisa, il ventenne che l’estate scorsa aveva investito e ucciso la moglie, Roberta Smargiassi, per costituirsi subito dopo.
La videocamera di un locale ha ripreso tutta la scena: i due si sono parlati, poi è spuntata la pistola e gli spari. Tre colpi calibro nove che hanno centrato D’Elisa: addome, gamba e collo.
Molto probabilmente quest’ultimo è stato quello mortale.
Per questa mattina è stata disposta l’autopsia sul cadavere della vittima nell’obitorio dell’ospedale di Vasto.
“Quello di Vasto – spiega Adelia Lucattini, psichiatra e psicoanalista, CTU del Tribunale di Roma – è la tragedia del lutto nella sua prima fase, quella non elaborabile poiché non è accettabile la perdita dell’altro.
Il dolore troppo forte da sopportare fa sì che la mente cerchi fuori da sé le spiegazioni di qualche cosa che di per sé non è spiegabile”.
“Tragedie come quella di Vasto, continua l’esperta, si possono prevedere quando il soggetto interessato dalla perdita, a seguito di una depressione acuta, sviluppa un’ideazione persecutoria fortissima.
Talmente forte da identificare la persona o le circostanze che hanno prodotto il danno come la causa di tutti i propri mali. In un lutto non elaborabile – precisa Lucattini – non si riscontrano le tre fasi che si osservano quando si sviluppa una paranoia, ovvero aggressione verbale, danneggiamento di cose, aggressione della persona considerata causa del proprio star male”.
L’occhio esperto però può intercettare alcuni segnali: “Nel caso di Vasto – prosegue la psichiatra – l’uomo rimasto vedovo pare vivesse come una provocazione e umiliazione il fatto che il giovane girasse per il paese con la moto. Questo è un sintomo depressivo indiretto, un possibile “segnale” che non andava trascurato, nelle due direzioni: sia in quella di parlare con il giovane per avere dei chiarimenti, sia nella direzione di accompagnare l’uomo attraverso un percorso di assistenza psichiatrica o psicoterapeutica. Sia chi aveva causato incidente che il marito che aveva perduto la moglie avrebbero avuto bisogno di confrontarsi con la tragedia, benché vissuta dal lati opposti, quello di chi l’ha provocata e di chi l’ha subita. Non necessariamente in questi casi ci si trova di fronte ad una vendetta sic et simpliciter, ma ad un grido disperato di aiuto, di soccorso, che ha bisogno di un gesto estremo e altrettanto atroce per appagare lacerazione interna, vissuto talvolta, anche fisicamente, con somatizzazioni anche importanti”.
L’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, ha invece sottolineato di essere addolorato per il fatto “che questo giovane esasperato dalle lentezze di una giustizia che non dava segni, nei confronti di colui che aveva investito la moglie, abbia reagito facendosi, secondo lui, giustizia da sé. La vendetta non è mai giustizia, produce solo ulteriori sofferenze ulteriori mali”.
Pronta la replica del capo della Procura vastese, Giampiero Di Florio: “Non c’è stata alcuna lentezza: le indagini sono durate 110 giorni dalla data dell’incidente, l’udienza era prevista il 21 febbraio: direi che ci sono tutti i tempi rapidi per arrivare ad una sentenza, in meno di 8 mesi”.