UN ALGORITMO SUI NUOVI ” LAVORI 4.0″
STRISCIAROSSA.IT, 30 ottobre 2017
INTRODUZIONE: una convergenza inusuale tra studiosi delle questioni del lavoro e della mente, il dossier “Umani e Robot”, www.spiweb.it, insieme al tema “Lavori 4.0”, commentati da Bruno Ugolini per Strisciarossa, www.strisciarossa.it. (Silvia Vessella)
STRISCIAROSSA 30 OTT 2017
BRUNO UGOLINI
C’era una volta uno strano personaggio che si aggirava tra gli operai delle grandi fabbriche. Misurava i tempi del lavoro manuale. Era l’epoca dello MTM (Method Time Measurement) e del TMC (Tempi dei Movimenti Collegati) e TMC2. Finché si è arrivati (vedi la FCA di Melfi) al WCM (World Class Manufacturing). Ora sta scendendo in campo un diverso soggetto. Non ha più i panni dell’umano. E’ un freddo, anonimo calcolatore. E’ l’algoritmo. Lo conoscono bene le ragazze e i ragazzi di Foodora, quelli che distribuiscono i cibi di importanti ristoranti nelle nostre abitazioni. Altri hanno le stesse incombenze, per altri prodotti. Come gli autisti di Uber. Tutto il loro lavoro è governato da applicazioni e da algoritmi. Che decidono tempi, orari, ritmi. Ti controlla, lo senti addosso mentre corri per eseguire le mansioni affidate. E se ti fermi ti segnala ai “superiori”. E’ solo l’inizio, perché l’algoritmo sembra dover diventare il “deus ex machina del futuro”.
E’ quella che chiamano industria 4.0 e che la Cgil ha preferito rinominare “Lavoro 4.0”. E’ l’apertura di una fase nuova che avrebbe bisogno di una politica e di governi capaci, come ha auspicato Susanna Camusso, di “guidare i processi e non essere solo i notai impotenti”. La Cgil ha deciso di approfondire queste tematiche, dando vita con la coordinatrice Chiara Mancini, alla piattaforma “Idea Diffusa”. Uno strumento per ospitare, appunto, l’elaborazione sui temi della digitalizzazione dell’economia. Un Forum nazionale si è poi svolto a Torino.
Qui è emerso, tra l’altro, come il Jobs Act si sia dimostrato uno strumento non coerente con un progetto innovativo. Spiega Alessio Gramolati, responsabile del Coordinamento politiche industriali e dell’Ufficio progetto lavoro 4.0: “Il Jobs act è stato pensato per un lavoro da seconda rivoluzione industriale… In futuro ci sarà meno gerarchia. Tutto si baserà sulla collaborazione, sulla creatività e l’autonomia”. La digitalizzazione, secondo questa analisi, chiederebbe infatti maggiore responsabilità al lavoro, nei termini di creatività, autonomia, collaborazione. Una presa di distanza dalla disumanità imposta dal fordismo, “con il suo corredo di autoritarismo gerarchico”. E nasce l’esigenza, annota Gramolati, di un nuovo compromesso sociale “basato non solo su una logica risarcitoria, che agisce esclusivamente sul welfare e sulla redistribuzione, ma anche su un coinvolgimento ex ante nella definizione, ad esempio, del modello di sviluppo e dei metodi produttivi”. Una meta, quel nuovo compromesso, da raggiungere soprattutto (come insegnava Bruno Trentin) attraverso lo strumento della “formazione permanente”.
E’ importante, dunque, un rinnovamento delle politiche sindacali. Come? Hanno risposto Tania Scacchetti’e Lorenzo Fassina (Segretaria Cgil e Consulta giuridica), affermando “diritti nuovi come quello alla disconnessione e alla contrattazione dell’algoritmo”. Conquistando “il diritto all’inclusione nei processi di digitalizzazione e di specializzazione”. Un modo per costruire così, via via, una documentazione, una certificazione delle competenze acquisite e la loro spendibilità, la loro utilizzazione nel mercato del lavoro. Torna il tema della formazione continua, basata però più che su “modelli sperimentati e standardizzati, su, invece, “la costruzione di moduli formativi adatti alle esigenze specifiche delle imprese”. E poiché sarà richiesto “ai lavoratori di essere sempre più polivalenti, cooperanti e partecipativi” risulterà decisiva la “valorizzazione delle pratiche partecipative, “puntando sulla libertà e sulla responsabilità dei lavoratori”.
Certo è una prospettiva ricca di incognite. Non interessa solo economisti, politici, sindacalisti. E’ stato reso noto nei giorni scorsi un accurato dossier “Umani-Robot: una relazione pericolosa?” curato da Silvia Vessella e apparso nel sito della Società psicanalitica italiana (https://www.spiweb.it/dossier/umani-robot-una-relazione-pericolosa-ottobre-2017/).
Alcuni dei numerosi saggi analizzano tra l’altro l’uso delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro. Così Alexandra Przegalinska, ricercatrice presso il centro per l’intelligenza collettiva presso il MIT (Massachusetts Institute of Technology di Boston), segnala, nel campo delle neuro-tecnologie, l’ingresso dei neuro-marcatori di tracciato, dispositivi predisposti, “non solo a misurare, ma anche a migliorare le prestazioni cognitive dell’utente”. Insomma una strumentazione capace di controllare e ottenere informazioni non solo sull’attività corporea di un essere umano, ma anche sulle sue emozioni, i suoi pensieri, le sue attitudini. Secondo la studiosa polacca “si potrebbe affermare che se i risultati ottenuti vengono utilizzati per le valutazioni dei dipendenti, il tracciato potrebbe essere utilizzato per migliorare la gestione delle risorse umane”. Insomma potrebbe far trovare “un equilibrio tra lavoro e vita personale”. Col rischio, aggiungiamo noi, anche di peggiorarlo, rendendo “il dipendente”, ancora più dipendente, al limite della schiavitù. Mentre il lavoro 4.0 avrebbe bisogno del contrario ovvero di lavoratori più attivi, più partecipi, più responsabili, più autonomi.
Restano comunque esperienze, quelle in atto, tutte da studiare. Scrive, sempre nel Dossier della Spi, Gianmarco Veruggio, uno scienziato robotico sperimentale: “Ci si chiede, per esempio come potrà cambiare il mercato del lavoro a seguito della sostituzione del personale umano con robot. In molti settori industriali questo ha già creato problemi di disoccupazione, problemi che potranno solo aumentare, man mano che i robot diventeranno sempre più autonomi, ma ha anche creato nuovi settori produttivi e nuove professioni. Lo stesso avverrà nel settore dei servizi, dove l’intelligenza artificiale renderà superfluo l’intervento umano e obsolete la maggior parte delle professionalità di livello medio-basso”.
Lo scienziato robotico avverte che vi saranno “cambiamenti sociali profondi. Cambieranno le nostre abitudini, il nostro modo di interagire col mondo fisico e di gestire le relazioni sociali. Sorgeranno nuovi problemi e occorrerà trovare nuove soluzioni eticamente accettabili, sperando che le forze sane della società riescano ad imporle prima che le corporation e le lobby finanziarie e militari intraprendano sconsideratamente strade irreversibili”.
Un futuro da dominare, dunque. C’è anche chi non nutre alcun timore e nega che ci possa essere una perdita di occasioni di lavoro. Come Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl e molto attento ai problemi della Industria 4.0. “La quarta rivoluzione industriale è una grandissima opportunità”, sottolinea, perché la “tecnologia sarà uno straordinario alleato per liberarsi nel lavoro e non dal lavoro”. E propone che accanto ai “lavoratori intelligenti” e alle “smart factory” ci sia anche un “sindacato intelligente, ‘la smart union’”. Una specie di sindacato agile capace, ribadisce ancora Bentivogli, di sostenere, l’importanza della formazione, come “un diritto fondamentale”. Purché sia una “formazione di qualità”.