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“Umanizzazione della cura, il compito della psicoanalisi” di D. D’Alessandro. Huffpost, 23/09/2024

23/09/24
"Umanizzazione della cura, il compito della psicoanalisi" di D. D’Alessandro. Huffpost, 23/09/2024

“Umanizzazione della cura, il compito della psicoanalisi” di D. D’Alessandro

Parole chiave: Psicoanalisi, Salute mentale, Psichiatria

Lacan avrebbe preferito, come titolo, la (Dis)Umanizzazione della Cura; invece è giusto che i freudiani ortodossi facciano un Convegno sulla Umanizzazione della Cura. Già, perché con gli eventi disumani e tragici che ci investono, se persino nella cura non mettessimo umanità, dove andremmo a finire?
Di questo e di altro si è discusso a Lecce sabato scorso, nella splendida cornice del Convitto Palmieri, con il presidente della Società Psicoanalitica Italiana, Sarantis Thanopulos, che è intervenuto sul tema “Prendersi cura delle relazioni”. Presentati da Ludovica Grassi, insieme al presidente hanno partecipato, con argomentazioni di rilievo, Domenico Fazio, professore ordinario di Storia della Filosofia dell’Università del Salento e Roberto Musella, psicoanalista e segretario nazionale della SPI.
Per Thanopulos, “l’isolamento sociale segue fedelmente l’avanzare della società performante, poiché la cultura della prestazione e dell’efficienza si affida alle procedure di calcolo, alla misurazione dell’esistente, privilegia la prevedibilità e la riproducibilità degli eventi e teme l’inconscio, la sorpresa e la scoperta. Di conseguenza, distrugge le basi di uno sviluppo libero e profondo dei desideri, delle emozioni, dei sentimenti e dei pensieri. E quindi le relazioni personali e sociali. Si è creato un circuito perverso, che sempre più emargina la vita vera, in cui l’azione performante, distruggendo le relazioni affettive, produce isolamento e l’isolamento esita in una ulteriore desertificazione dei sentimenti che, da una parte, crea depressione e, dall’altra, altera profondamente la percezione degli altri vissuti come entità indifferenti od ostili (in quanto manca un loro investimento affettivo che li renda conoscibili e interessanti)”.
Il professore Fazio, temendo di essere fuori posto, come storico della filosofia in un contesto di impianto psicoanalitico, ha in realtà dimostrato, chiamando in causa Arthur Schopenhauer, uno dei suoi autori di riferimento, come dalla sua disciplina sia emersa la psicoanalisi freudiana. Sull’indifferenza che domina il nostro tempo, la filosofia ha parole di vita eterna e, insieme alla psicoanalisi, pur con le dovute e irrinunciabili differenze, può dare un contributo decisivo al dibattito su una cura più umana.
Lo stesso Musella ha ricordato come “sin dai suoi esordi, la psicoanalisi si è presa cura delle sofferenze dell’animo umano attraverso una peculiare forma di relazione. A differenza di altre discipline psicologiche e psichiatriche orientate alla descrizione fenomenologica e alla terapia sintomatica del disagio psichico, la psicoanalisi si è interrogata, a partire dal suo fondatore, sul significato dei sintomi, della sofferenza psichica e, più in generale, sul significato della vita psichica profonda che si manifesta anche attraverso quella che Freud definisce ‘psicopatologia della vita quotidiana’. Al di là del riconoscimento e del significato del sintomo come veicolo di messaggio intrapsichico e relazionale, Freud riconosce infatti che ognuno di noi è attraversato da fenomeni che portano con loro messaggi che dal profondo di noi stessi cercano una via espressiva, comunicando contenuti che definiamo inconsci”, per poi aggiungere come “la psicoanalisi ci insegna che per prendersi cura dell’altra persona, bisogna innanzitutto prendersi cura di sé. Solo se il mio apparato psichico funzionerà in modo corretto, e sarà attraversato da un flusso libidico creativo, capace di formare e investire rappresentazioni degli oggetti, potrò umanamente amare il prossimo che comunque sarà sempre un po’ anche me stesso. Solo se sarò in grado di incontrare l’oggetto nello spazio intermedio, che è lo spazio del sogno, potrò altresì godere realmente della vita. La conseguenza di questo passaggio è che, diversamente da quanto dice Freud, potrebbe non esserci contraddizione tra investimento narcisistico (amore di sé) e investimento oggettuale (amore per l’altro), purché l’investimento di sé passi per la rappresentazione del mondo e non ricada specularmente sull’immagine di sé, questa sì malattia sempre più diffusa dei nostri tempi che sottrae Eros alle relazioni umane”.
Nel pomeriggio, guidati da Maria Nacci, Direttore sanitario della Asl di Lecce, Paolo Cesano, Nicolino Rossi e Gemma Trapanese, tutti psicoanalisti SPI sono intervenuti sul tema “Il paradigma psicoanalitico nella cura dell’infanzia, della coppia e della famiglia”.
Se Cesano e Rossi sono entrati, con brillanti intuizioni, nelle complicate relazioni tra ragazzi, genitori e nuclei familiari sempre più “stressati”, molto interessanti e toccanti sono stati gli spunti clinici offerti da Trapanese sulle difficoltà adolescenziali soprattutto in relazione alle famiglie di appartenenza.
Pensate a Raimondo, quindici anni, che chiede all’analista: “Che ne sa lei cosa significa avere un padre omosessuale?”. Spiega Trapanese: “Raimondo è figlio di due genitori separati, con un padre che ha mollato la famiglia ed è andato a convivere con un uomo, di cui si è follemente innamorato. Raimondo non ha più amici. Se esce è per ubriacarsi in piazza, da solo, in mezzo a sconosciuti, davanti a qualche bar. Si anima solo quando parla dei suoi robot, di cui fa collezione. Alcuni dei suoi preferiti, di cui mi parla animato, hanno la forma di veicoli, idonei a ‘passare inosservati’, che all’occorrenza si trasformano in robot antropomorfi. Raimondo frequenta un sito, dove virtualmente ‘incontra’ altri che come lui comprano direttamente in Giappone vecchi modelli di robot, proprio quelli che erano stati suoi giocattoli, da piccolo. Trascorre lunghi pomeriggi e serate a trasformare e ritrasformare tra le sue mani i suoi eroi, come Daltanius, il suo preferito. Sembra che per Raimondo sia proprio difficile rimanere nell’orizzonte dell’umano”.
Quanto è ancora possibile rimanere nell’orizzonte dell’umano? Domanda cruciale per l’analista, che conclude: “Tutto ciò ci induce a chiederci se la famiglia svolga ancora il suo ruolo di contenitore identitario, se sia ancora il luogo privilegiato della trasmissione, capace di legare il soggetto alle proprie origini, di fungere da ‘soglia della vita psichica’. Ci si domanda, ancora, se le nuove forme familiari (genitorialità omosessuali, omogenitorialità, multigenitorialità) non rischino di fissare il soggetto nell’indifferenziazione e nella confusione, di ostacolare il realizzarsi di un sano riconoscimento della differenza dei sessi e delle generazioni, delle identità individuali e dei legami. Il modello psicoanalitico, che invita a rendere udibile l’affetto soffocato, a integrare gli affetti, a coltivare le separazioni come segno di vita e di desiderio, allargato ormai da tempo il proprio campo di applicazione, per così dire ‘fuori divano’, alla dimensione del legame e alle dimensioni fantasmatiche della coppia e della famiglia, sembra interrogarsi sui travestimenti che operano sui fantasmi di sempre. In particolare la clinica con le famiglie, e quindi con bambini e adolescenti, si pone come straordinario e privilegiato “osservatorio”, dal quale è possibile intercettare i disagi più generali della moderna civiltà, soprattutto in quei punti di passaggio generazionale, che finiscono col risentire di più, citando Kaes, degli ‘effetti metapsichici dell’intersoggettività’, in quanto implicano processi di trasformazione e di mediazione”.
Avrete compreso che l’umanizzazione della cura non è soltanto il titolo di un convegno tenuto a Lecce in una giornata mite di settembre. È, da sempre, il compito della psicoanalisi.

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