Studio R. Goisis: foto di T. Goisis
La Repubblica 13/3/2021
“Sogni, dolori e speranze nella mia stanza ricca di parole”
La Repubbblica,13 marzo 2021
Intervista a Roberto Goisis di Valeria Cerabolini
Introduzione: In questa intervista Roberto Goisis racconta del suo ultimo libro “La stanza dei sogni. Un analista e i suoi pazienti” e di come, in quest’ultimo anno, si è trasformata la stanza d’analisi e la sofferenza dei pazienti .( Maria Antoncecchi)
Roberto Goisis psichiatra, psicoanalista, membro ordinario della SPI e full member dell’International Psychoanalytical Association
La Repubbblica,13 marzo 2021
“Sogni, dolori e speranze nella mia stanza ricca di parole”
Intervista a Roberto Goisis di Valeria Cerabolini
La “stanza” è un luogo arioso che profuma di buono e di pulito. E trasmette benessere. È piena di libri, quadri, oggetti evocativi. Ci sono anche le caramelle per concedersi un po’ di dolcezza. Anche il lettino, non è di quelli tradizionali, ospedalieri, ma è una chaise longue di Le Corbusier («La stessa che aveva il mio analista»).
La “stanza” è quella dove Pietro Roberto Goisis, psichiatra e psicanalista milanese, docente alla Cattolica, 67 anni, riceve i suoi pazienti. E La stanza dei sogni. Un Analista e i suoi pazienti (Damiani Editore) è il titolo del suo ultimo libro, un lungo racconto in prima persona che rifugge da ogni “accademicità”, scandito dai tanti resoconti delle sedute, annunciati semplicemente da un nome e da un orario, come se uscissero e prendessero corpo dalla sua agenda: Anita, lunedì, ore7,45; Alessandra, lunedì, ore 8,45; Greta, martedì, ore 13,45…Nomi legati a storie e vissuti: c’è Matteo che in un attacco di rabbia devasta lo studio, c’è Carlotta che ha un rapporto molto difficile con il fidanzato violento (è la Giovane donna trovata impiccata in Piazza Po ndr ), e c’è Adele che chiede solo di essere ascoltata.
Goisis, come sono cambiate la “stanza” e la relazione in questo anno di pandemia?
«Il mio è un libro pre Covid. Certo, la Stanza ha perso un po’ della sua empaticità a favore dell’ asetticità. È cambiata l’accoglienza, non c’è più la sala d’aspetto, non stringo più la mano ai pazienti. Ma chi vuole continuare a venire in presenza può farlo. La pandemia ha modificato lo scambio, ma cerchiamo di rimanere umani, di salvare il possibile.
L’incontro e la relazione terapeutica sono ridimensionati, ma abbiamo fortunatamente le parole. E, anche se indossiamo le mascherine, abbiamo gli occhi».
Nella sua stanza, così come lei la racconta, pagina dopo pagina, non ci sono solo sogni. Ci sono anche tanto dolore, disperazione, patologia, disagio, rabbia.
«È un titolo di speranza possibile. Indica una via di guarigione. Il sogno è la speranza di stare meglio, il desiderio che perdite e mancanze possano essere risanate. È la voglia di trovare sollievo e lievità. Non può essere tutto lacrime e sangue».
Nei suoi 40 anni di vita professionale ha dedicato molta attenzione agli adolescenti. E sono tanti anche quelli raccontati nel libro. Sono loro che soffrono di più in questa reclusione forzata?
«Molti hanno avuto grandi difficoltà nel continuare i percorsi terapeutici. Impegnati nel virtuale a scuola, non se la sono sentita di relazionarsi online con il terapeuta. La tendenza è stata la clausura, il blindarsi in casa.
Dall’ altro lato assistiamo a fenomeni estremi come le risse, a un allontanamento dal mondo delle regole, a esplosioni di aggressività. In entrambi i casi si è accentuato il gap generazionale Quando si è tutti chiusi in una casa da cui non si può uscire lo scontro in famiglia è inevitabile. Si sono persi gli spazi intermedi, i cuscinetti, quelli che consentivano l’inganno, la bugia. Il controllo è totale».
E gli adulti come li vede?
«Gli adulti hanno molta paura. E anche molta stanchezza. Hanno paura del futuro. Hanno esaurito le batterie. Sono in un tunnel dove vedono l’inizio, ma non la fine. Certo, ora c’è il vaccino, ma non è ancora una certezza. Le persone sono stanche, siamo tutti stanchi. Per fortuna ci sono i terapeuti. Le richieste di aiuto sono aumentate del 30 per cento. E sono molti i centri che hanno adeguato i tariffari offrendo terapie agevolate»
A un suo giovane paziente suggerisce la mindfulness. E anche lei racconta di farne ricorso. Può essere d’aiuto?
«Sì, certo la suggerisco ad Antonio. Non è la panacea. Può sembrare una moda, ma anche la psicanalisi ha attraversato periodi di gran moda. Non può aiutare una persona depressa, ma aiuta a capire come siamo e come stiamo».
Una domanda personale. In apertura del suo libro cita Agassi, e racconta le partite con suo padre. Gioca ancora a tennis?
«Certo! Con mio padre una volta alla settimana ci prendevamo a pallate. Il campo da tennis è una bella metafora del confronto e dello scambio. Osservando delle regole».
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