GIORGIO ORTONA – PORTO MARGHERA 2022
Parole chiave: Venezia, sogno, futuro, cultura, Semi
Alberto Semi: “Salviamo Venezia prima che sia troppo tardi”. Huffpost 28 /7/2022. Intevista ad A.Semi
di Davide D’Alessandro
Huffpost 28 luglio 2022
Introduzione: E’ possibile immaginare un futuro per Venezia che conservi la sua memoria e la sua unicità oppure bisogna arrendersi a un turismo di massa e al dominio di una logica economica che ha causato lo svuotamento demografico determinando la morte del tessuto vitale della città? Il dottor Albero Semi, psicoanalista veneziano, ne parla con amarezza e speranza in questa intervista di Davide D’Alessandro. ( Maria Antoncecchi)
Davide D’Alessandro, saggista
Huffpost 28 luglio 2022
Alberto Semi: “Salviamo Venezia prima che sia troppo tardi”
A colloquio con il noto psicoanalista, veneziano doc, tra la caduta verticale dei residenti, sotto 50 mila, il turismo mordi e fuggi, la città che si spegne lentamente e un sogno: ricondurla al suo antico splendore
di Davide D’Alessandro
Andar per calli e campi, con le gambe e con la mente, vuol dire vedere Venezia com’è e sognare come vorremmo che fosse. Mi accompagna Alberto Semi, noto analista freudiano, curatore del “Trattato di psicoanalisi”, edito da Cortina, autore di impegnativi libri di settore, ma anche di un “Venezia in fumo (1797-1997)” in cui ha ripercorso e anticipato le crisi di ieri, di oggi e di sempre di un’icona mondiale da pochi giorni scesa sotto i 50 mila residenti. I manifesti allarmati con il numero 49.999 sono stati affissi a maggio scorso in alcuni luoghi strategici della città. Semi, 74 anni, da veneziano doc, sorride amaro. Abita nel quartiere Castello, alle spalle della basilica di San Marco. I turisti li ha davanti, dietro, intorno e addosso.
Hai mai pensato di andartene anche tu?
“Tempo fa ho provato a vivere due giorni a Mestre. Mi ha preso una depressione e sono rientrato immediatamente a Venezia. Direi di corsa”.
“Com’è triste Venezia” è solo una canzone di Aznavour o è anche l’immagine della Venezia di oggi?
“Oggi Venezia quasi non è più. Non c’è da porsi il problema della tristezza o meno. Una volta, tra l’altro, com’è storicamente documentato, Venezia era allegrissima e i veneziani molto spiritosi. Adesso siamo rimasti in pochi. La città si sta spegnendo”.
Vedi che si spegne, ma come sogneresti di vederla?
“Sognerei di vederla viva e in grado di tramandare ancora la propria cultura. È questo l’aspetto negativo degli ultimi quaranta/cinquant’anni. Si è cercato di eliminare la sua essenza, la sua radice. Si è guardato solo all’aspetto economico-turistico, anche per cancellare il fatto che a Venezia esistevano una cultura e un modo di vivere molto particolari. Essendo una città che non si può allargare, contempla una vicinanza umana costante, i rapporti umani erano rispettosi l’uno dell’altro, anche su una base nobile di sano umorismo. L’ironia è sempre stata tollerata e condivisa”.
Molti denunciano che stia diventando un enorme bed and breakfast all’aperto…
“Non lo sta diventando, lo è già. Il movimento demografico del flusso in uscita dall’isola alla terra ferma è inarrestabile. Molti residenti hanno deciso di utilizzare le proprietà per realizzarne un grande utile. La città è un concentrato di alberghi e di tante microstrutture. Alcune sono palesi, altre sommerse. Abbiamo finito per sostituire la popolazione con i turisti. C’è da dire che molte case sono impegnate anche dagli studenti universitari”.
Da quale follia è abitato chi ha permesso tutto questo?
“La follia principale è aver lavorato per consentire ai visitatori, che scendono dalle navi ed entrano in città, di stare dieci ore, consumare velocemente, comprare il souvenir e andare via. Manca una seria riflessione sul turismo. Se uno decide di vedere Venezia, questo desiderio dev’essere accompagnato e guidato verso un pensare a qualcosa di diverso, oltre all’acquisto della maglietta o della gondoletta di vetro. Occorre ripensare una politica per Venezia. Invece, a dicembre, scatterà una tassa di accesso, tra l’altro di dubbia costituzionalità, poiché non solo limita la libertà di movimento, ma lo fa anche sulla base di censo. Nei giorni di magra tre euro, in quelli di punta dieci. Una famiglia con due figli spende 40 euro. Ti pare possibile? Piuttosto che sviluppare il pensiero, si incentiva solo chi ha abbastanza denaro. Il desiderio socialista e ottocentesco di elevare il livello culturale è stato completamente dimenticato. Si è creato una sorte di monoteismo, il profitto a breve termine e a tutti i costi. Non è un omicidio compiuto da estranei, ma un suicidio da parte della stessa Venezia”.
Che cosa ti senti di dire ai residenti che se ne vanno?
“Dal punto di vista economico possono anche avere ragione, ma vivere a Venezia significa riconoscere particolarità e differenze. Per chi ci è nato è un qualcosa che consente di avere una visione anche ironica della vita quotidiana. Il veneziano è un individuo antigerarchico, che tende a essere egualitario, ma riconosce e rispetta le differenze. Quando vado in edicola, posso scambiare molte battute su temi importanti con tutti gli amici dell’edicolante, edicolante compreso. Loro conoscono la mia professione, io conosco la fatica del loro lavoro. Ci sono differenze culturali, ma su una base di uguaglianza umana che non viene mai meno”.
C’è un sindaco che ricordi piacevolmente?
“Dai racconti dei miei genitori, l’avvocato Giovanni Battista Gianquinto, il sindaco della Liberazione, persona limpida e onesta. Ricordo con piacere l’avvocato Antonio Casellati, storico repubblicano con una coscienza civica e civile sviluppatissima. Segnalo con piacere e rimpianto anche il primo anno di Massimo Cacciari”.
Perché soltanto il primo anno?
“Perché dopo la spinta innovativa, si è lasciato invischiare nei deteriori meccanismi partitici, ha lasciato fare delegando troppo e male agli altri. Cacciari, sai, è uno che si stanca rapidamente. È fatto così”.
Che cosa diresti a uno straniero per invitarlo a visitare Venezia?
“Gli direi di venire per vedere se, dopo, riesce a trovare un posto dove può fantasticare così liberamente, tanto da immaginare di poter essere davvero un altro. Perciò mi fa male visitare al Guggenheim una straordinaria mostra sul surrealismo, ‘Surrealismo e magia. La modernità incantata’, che è l’esaltazione di una visione liberatoria e creativa e vedere Venezia che spegne le luci della sua storia, che si consegna al turismo mordi e fuggi. Continuo a sperare che possa cambiare qualcosa e in fretta. Salvare Venezia, ricondurla al suo antico splendore, prima che sia troppo tardi”.
Forse è un sogno, caro Alberto, ma se uno psicoanalista non sogna, che altro deve fare? E lo psicoanalista sorride ancora. Questa volta non amaramente.