NAM JUNE PAIK _ particolare
Parole chiave: Psicoanalisi, Musatti, Weiss, TV
Se la Psicoanalisi diventa uno spot televisivo
di Davide D’Alessandro
La disciplina creata da Freud finisce troppo spesso sotto i riflettori. La critica di Aldo Grasso, l’umiltà e il silenzio da recuperare
Se il lettino dello psicoanalista viene trasferito dal setting al palcoscenico televisivo, in modo da usare la seduta a modo di spot pubblicitario, che ne resta della psicoanalisi? Sembra essere questa la preoccupazione del critico Aldo Grasso, che sul “Corriere” di sabato scorso, partendo dallo spot di una nota catena di supermercati, con una signora su un divano che confida i suoi dubbi all’analista, aggiunge: “A furia di vedere e sentire esperti della psiche, a furia di inebriarsi delle loro parole, lo spettatore è portato a socializzare con questo nuovo inquilino della tv. È affascinato dal suo esibito narcisismo, che si manifesta per esempio nelle scelte vestimentarie, dai maglioncini color pastello al total black; è rapito dalla sua autoreferenzialità (il paradosso di certi analisti è che amano ascoltarsi, non ascoltare); è stregato dall’aura di maestro di vita, di guru, di santone, di guaritore, quasi l’analista appartenesse alla spiritualità contemporanea”.
Non fa nomi, Grasso, ma li conosciamo. Come conosciamo Edoardo Weiss, Cesare Musatti, Luciana Nissim, Elvio Fachinelli, nomi e non volti, anche perché non c’era ancora la società dello spettacolo, dell’immagine, dell’apparire. C’erano gli studi, i libri, le parole e, soprattutto, i silenzi.
La lucetta rossa abbagliante del mezzo televisivo ha prodotto diagnosi un tanto al chilo, precipitose interpretazioni su efferati omicidi che investono la cronaca e solleticano la curiosità dei tanti spettatori a caccia della soluzione, della spiegazione folle sui presunti folli. Fioriscono psicoanalisti e criminologi che spiegano senza aver mai ascoltato una sola parola dal presunto folle. La vera analisi, la lunghissima, vera analisi che dura anni nello spazio angusto del setting alla presenza del paziente, diventa falsa analisi, caricatura dell’analisi con l’assenza del paziente, che viene analizzato, interpretato, vivisezionato in sua assenza.
La storia complessa di una vita diventa la storia immediata di una vita. A guadagnarci sono gli ascolti (e gli interpreti), a perderci è la psicoanalisi, che è il contrario dello spettacolo, della spiegazione breve, del messaggio da guru o da sapientone talvolta afflitti, loro sì, da delirio di onnipotenza.
Più psicoanalisi per tutti non può essere uno spot, ma è il caldo invito a scoprire quella vera, lontana dai riflettori e dai guru, quella dei professionisti che si chinano quotidianamente sul dolore dei pazienti, quella delle scuole che preparano per anni alla professione attraverso lo studio dei testi e il confronto sui casi clinici.
Lo psicoanalista non salva, ma è salvato. Partire da qui forse può aiutare a recuperare un po’ di umiltà e di silenzio. Spegnete i riflettori, vi prego, sulla psicoanalisi. Quello dello spot, tra l’altro, non si comporta da buon analista. Suggerisce, guida all’acquisto. Dice che conviene. Non è vero. Non conviene affatto. Non quella marca, sia chiaro, ma che dica. Non deve dire.