UNITA’ – 24/11/2015
QUEL PRIMATO DELLA COSCIENZA CHE RENDE IMPOSSIBILE L’AMORE
DA FREUD,A LACAN, A KLEIN, RILEGGENDO DERRIDA NEL VOLUME “IL DISCORSO AMOROSO”. LA PSICOANALISTA CRISTIANA CIMINO INDAGA SULLA PAURA D’AMARE. E SU COME PUO’ ESSERE VINTA.
Introduzione: Una recensione di Delia Varrarello al bel libro di Cristiana Cimino, psicoanalista della Società psicoanalitica italiana. Il titolo “ Il discorso amoroso” introduce ad un’analisi articolata della possibilità e della capacità d’amare , non avendone paura, e soprattutto dando valore all’Altro. Renderlo atto politico si accompagna al “farsi femmina”, secondo un percorso che parte “ dall’amore della madre al godimento femminile”. (Silvia Vessella)
UNITA’ – 24/11/2015
DELIA VACCARELLO
L’amore è davvero impossibile? “Tanto più gli esseri umani cercano di fare un legame di amore, tanto più lo sfuggono e spesso lo mancano. Anche quando traboccano, muoiono di amore”. È il punto di partenza dell’opera della psicanalista Cristiana Cimino “Il discorso amoroso” (Manifestolibri). No, non è impossibile, è questione di “farsi femmine”, di rinunciare al primato della coscienza, di uscire fuori da noi per esporci a una gioia talmente eccessiva che può fare orrore. L’altro è allora l’ospite inatteso che scuote e fa dono di sé. Una strada che apre alla possibilità psichica e antropologica di “vedere” l’Altro, lungi dalla retorica della tolleranza o dal lessico dell’odio. Con quali ricadute?
Amare, un atto politico
Se il “farsi femmine” diventasse pratica politica in che modo potremmo rispondere alle urgenze dell’oggi? Pensiamo a chi migra per vivere (e non per morire), alle impennate di islamofobia, alle nuove forme di fare nucleo e di filiazione. “Per quanto riguarda le urgenze di oggi che sono sempre più “urgenze stabili” credo che si dovrebbe imparare l’accoglimento – risponde Cristiana Cimino -, il farsi madri di creature ferite perché noi stessi feriti, come diceva Elvio Fachinelli. Imparare a non avere paura della vita esposta e vulnerabile dell’Altro ma a darle un valore, in qualsiasi forma essa si presenti”. Ma la psicanalisi può considerarsi “politica” anche se non esce da una stanza chiusa? “È una pratica etica, ossia ha a che fare con l’azione. L’analista deve sapere qual è il fine della cura, non nel senso di farla andare dove vuole, ma nell’avere presente che alcuni passaggi devono essere effettuati, almeno ci si deve provare. Uno di essi è quel vacillamento assoluto che richiede l’accesso a una posizione femminile, “estatica” nel senso che ho cercato di dire nel libro. Questa è una forma di pratica politica che, evidentemente, si svolge nella stanza di analisi. La possibilità che sia esportabile è una questione spinosa che già Freud si poneva e che gli analisti devono continuare a porsi. Molti colleghi sono impegnati nel sociale.”
Amare è allora atto politico. Ed è “femminilizzarsi”. Si tratta di prendere le mosse dall’ amore per la madre, tenace ed esclusivo per maschi e femmine, e accedere all’area che precede il dire, lì dove, nel legame amoroso come nel rapporto tra madre e creatura nella fase perinatale, gli inconsci “misteriosamente” comunicano. L’ingresso può avvenire nel setting analitico, in amore, nell’esperienze estatiche viste come possibilità della mente di toccare l’estremo, non estranee ad artisti e filosofi. Non è regressione, ma percorso in cui il tempo torna alle origini per andare avanti.
Utopia? Forse sì: perché Freud ci dice che amiamo l’altro perché è il nostro specchio idealizzato, cerchiamo la perduta perfezione, congeliamo il tempo lì dove Eros e Thanatos si incontrano. Forse no: perché, al di qua del narcisismo e di ciò che costringe a dolorose ripetizioni, si stende il territorio dell’incertezza, del divenire, dell’altro che sorprende, dell’attimo spaesante che ci apre al nuovo. Un territorio attraversato da un brivido che chiamiamo vita.
La scommessa
L’autrice, nel suggerire l’itinerario che porta (come recita il sottotitolo del libro) “dall’amore della madre al godimento femminile”, setaccia ciò che è in gioco nelle relazioni, i vicoli ciechi, le vie di uscita. La scommessa, suggerisce la psicanalista di formazione freudiana e lacaniana, che si occupa da tempo del pensiero di Elvio Fachinelli, consiste nell’occupare la “posizione femminile”, che non è rendita anatomica, perché donne si diventa. Qui un minimo di accenno teorico è doveroso.
Se per Freud “la donna” è solo “la madre”, per Lacan è un’altra storia. Cosa vuol dire allora aprirsi a una donna che non sia “la madre” (o una sua controfigura), che non promette beatitudine e sollievo? Vuol dire fare a meno in amore dell’illusione di padronanza (impresa ardua) e uscire da una gabbia, avendo accesso al “godimento femminile”. Godimento che eccede (supplementare): vede le donne sgusciare dalla collocazione edipica e diventare “radicalmente altro”. Ecco che , facendosi “altro”, maschi e femmine per amare hanno bisogno di passivizzarsi, di abbandonare la virilità difensiva (vale per tutti), rinunciando alla pretesa di avere garanzie, non sapendo cosa succederà nella coppia.
Il riconoscimento
La gioia verrà e avrà come condizione il riconoscimento che siamo caduchi di una caducità che abita tutte le cose e non smaniosi di conquistare ciò che non abbiamo e che non è dato avere.
Allora non parliamo più de “La donna”, piuttosto delle donne (al plurale), prese ciascuna nella propria infinita singolarità, non più esaltate in quanto Madri e mortificate come soggetto (e le cronache grondano di questa mattanza). Donne vicine ai territori reali dell’amore, con il rischio di farsi inghiottire dalla bocca vorace dell’amore assoluto, salvo procedere a zig-zag, sperimentare.
Il libro, con una prosa piana, rilegge tra gli altri Freud, Lacan, Klein, Fachinelli, e riporta passaggi del lavoro con i pazienti che l’autrice ringrazia nella premessa. Un posto speciale viene riconosciuto all’ animalità da Derrida in poi: lo sguardo dell’animale restituisce all’essere umano la comune condizione di esposizione alla morte e schiude il legame esotico, e pure intimo, con l’altro che è animale come lo siamo noi, che ci guarda e che, come il cucciolo di matrice ortesiana, sfugge all’addomesticamento. “Non visto, verrà”.
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