EMILIO ISGRO, 1997
In questa rubrica proponiamo alcuni articoli di Sarantis Thanopulos riguardanti temi sociali come i diritti, la salvaguardia del pianeta e la democrazia
Parole chiave: democrazia, autoritarismo, diritti, precarietà , società civile
il Manifesto, 24 settembre 2022
Quattro questioni post-elettorali
Sarantis Thanopulos
Domani si vota. I cittadini decideranno chi dovrà governare il paese in questo difficilissimo momento. Il nuovo governo dovrà affrontare in modo chiaro e non ambiguo quattro questioni che peseranno moltissimo dopo le elezioni e saranno dirimenti.
La prima questione è connessa con la condanna (a stragrande maggioranza: 433 voti contro 123), del regime “ibrido” di Orbàn da parte del parlamento europeo. Il conflitto tra democrazia e autoritarismo è stato dichiarato: quanto più la sua soluzione stagnerà, tanto più sarà deflagrante. La definizione del governo ungherese come “autocrazia elettorale” è significativa. Coglie in modo conciso la natura dei regimi che vedono nella maggioranza elettorale una delega di potere incontrollato. La maggioranza elettorale non coincide con la democrazia. Deve essere accordata con il rispetto della minoranza per almeno tre importanti ragioni: a) Ogni cittadino partecipa in diversi campi della sua esperienza a culture che non potrebbero mai diventare maggioritarie senza snaturarsi, perché costituiscono la polifonia dalla quale il rapporto politico maggioranza/minoranza nasce in forma dinamica, in continuo movimento, mai sclerotica e costrittiva; b) la “società civile”, senza la quale la democrazia è impensabile, è fondata sulla parità delle differenze e dei soggetti dialoganti e sulla libertà dello scambio, in modo avulso da dispositivi decisionali: non si vota sulle nostre preferenze sessuali, culturali e religiose; c) i beneficiari di una maggioranza che usano il potere ottenuto per perpetuarla e costruire un sistema autoreferenziale di consenso, indipendente dal libero confronto delle idee, assoggettano la cittadinanza a meccanismi di dipendenza psicologica e costruiscono una società di servi.
La seconda questione è l’attacco, malamente camuffato e decisamente temibile, contro il diritto della donna ad abortire. Questo diritto è espressione del diritto di scegliere la maternità, di non subirla. La possibilità di scelta non ha prodotto un aumento degli aborti, ma, come era prevedibile, una loro molto drastica diminuzione. La promessa elettorale alle donne di un “diritto a non abortire”, è una costruzione preoccupante sia per la manifesta assenza di cultura giuridica sia per la torsione logica di cui è il prodotto. La libertà “negativa” protegge il cittadino da interferenze esterne o da doveri a qui può legittimamente sottrarsi, ma in quale senso il diritto di abortire sarebbe un dovere o un’interferenza con la scelta di essere madri? Questa violenza dell’interpretazione difende, in realtà, il pensiero che la maternità non sia una scelta, ma un obbligo, che su questo piano la donna non abbia libertà di autodeterminazione.
La terza questione è il “job act”: ha nettamente favorito la già grave precarietà di lavoro dei giovani, il loro sfruttamento selvaggio e la mortificazione della loro preparazione scientifica e culturale e delle loro passioni. È necessario un nuovo contratto con le nuove generazioni che liberi il loro potenziale creativo dagli inganni e dalle false promesse (le buone intenzioni al servizio dell’indifferenza) e valorizzi il loro formidabile potenziale innovativo.
Last, but not least, la questione della sanità pubblica. La pandemia ha mostrato il suo dissesto provocato da anni di predazione dei beni comuni (chiamata privatizzazione) e di regionalizzazione/feudalizzazione dei servizi guidata, il più delle volte, dall’egoismo (chiamato autonomia). E ha creato una preoccupazione collettiva favorevole a un ritorno politico e culturale all’interesse generale. È ora di fermare le privatizzazioni, spostare l’attuale rapporto di forze tra governo e regioni a favore del primo (nell’ottica della priorità assoluta dei servizi pubblici e della parità dei cittadini nel campo della salute), retribuire in modo adeguato medici e infermieri che lavorano in prima linea. Se il “diritto alla salute” non è solo demagogia.
Parole chiave: politica energetica, profitti, inerzia psichica, realismo
il Manifesto,11/9/2022
Il “realismo” non vede la realtà
di Sarantis Thanopulos
A fine Agosto “The Guardian” ha pubblicato un articolo sull’imbroglio dei prezzi nel settore energetico?” L’articolo definisce il mercato del gas e del petrolio un racket”, paradiso di profittatori. L’eccesso di profitto negli ultimi 50 anni ammonta, secondo dati rivelati recentemente, a 3 miliardi di dollari ogni giorno. Un barile di petrolio costa all’Arabia Saudita pochi dollari per poi essere rivenduto a 100.
Se l’Europa adottasse una politica energetica comune, e assumesse una configurazione politica stabile e coerente, l’illegalità dei profitti potrebbe diventare oggetto di misure repressive e anche di richieste statali e private di risarcimento. Molti dicono che il problema potrebbe risolversi da solo: l’avidità dei produttori e dei mercanti porterà prima o poi alla loro rovina, incentivando la produzione di forme di energia alternativa. È un ragionamento teorico che andrebbe bene se il nostro rapporto con la realtà fosse sensato. Esso non tiene conto del funzionamento concreto del nostro mondo che è diventato un guazzabuglio di azioni scoordinate, connesse tra di loro solo da ragioni opportunistiche che seguono interessi sempre più a breve termine e sempre più rapaci.
Se la politica, a partire dall’Europa (l’idea della Polis democratica è nata qui) non decide di svolgere la sua vera funzione -far rispettare la giustizia e l’interesse comune contro le vocazioni predatrici- e continua a retrocedere di fronte agli oligarchi e ai dittatori, la vita di tutti noi diventerà un azzardo. I pirati di oggi sono bravi ad adattarsi alle circostanze avverse e a volgerle a loro favore.
In questi giorni una donna di cinquant’anni con problemi di salute, Noura al-Qahtani madre di cinque figlie (una delle quali disabile) è stata condannata in Arabia Saudita a 45 anni di prigione. La donna aveva usato i social per difendere i dissidenti. Un mese fa Salma al-Shehab, studentessa di PhD all’Università di Leeds e madre di due figli, ha avuto, tornata a casa per una vacanza, una condanna di 34 anni, perché seguiva e ripubblicava i commenti degli attivisti contro il regime Saudita. Questo regime è una dittatura feroce dove la vita delle persone e i loro diritti contano nulla. È guidato da un uomo, accusato di assassinio con tanto di prove (Biden prima l’aveva pubblicamente ammonito, poi ha adottato il silenzio) che si è presentato al mondo come difensore delle donne. Grande corruttore, identico nella postura autocratica a Putin, conduce, tuttavia, le sue guerre in silenzio nel mondo della finanza, godendo in Occidente delle stesse complicità e degli stessi intrecci di interesse del suo omologo russo.
Ora uno è diventato nemico, l’altro (dopo qualche esitazione) è tornato amico. Gli scontri vanno e tornano, cambiano i fronti, ma ciò che governa tutto è la “realpolitik”: l’adattarsi alle circostanze per evitare il peggio, finendo risucchiati nell’inerzia psichica, in nome del realismo. Così il peggio avanza silenziosamente nel mondo esterno e noi adattiamo ad esso il nostro mondo interno. Il “realismo” che domina il pianeta è distruttivo. Non prende le misure del mondo per abitarlo meglio, cerca di sottomettere il rapporto con esso ad azioni immediate, senza prospettiva lunga, dettate dall’ansia e dalla depressione. Non vede la realtà e non la capisce, la inventa. Così evita di fare i conti con i conflitti e con le loro cause, fino a quando, non essendo stato risolto nulla, la catastrofe annunciata travolgerà tutto.
Tra poco si vota, si voterà anche per le elezioni a medio termine negli Stati Uniti, la Francia è appena usciste da elezioni molto difficili. Si decide se distruggere il campo della vita col rischio che non cresca più l’erba o mantenerlo in vita, costi quel che costi, in attesa di tempi migliori. Chiunque può vedere che non viviamo in epoca di vacche grasse, ma distruggere i pascoli è un suicidio che possiamo e dobbiamo evitare. A volte dietro il suicidio opera il narcisismo dell’idea pura e assoluta. Il paradiso può attendere, cerchiamo di salvare la nostra convivenza civile.
parole chiave: disastro ambientale, liberismo, pensiero critico
il Manifesto,17/9/2022
Il pianeta inospitale e deregulation
di Sarantis Thanopulos
Si è svolta dal 7 al 9 Settembre ad Ascona la conferenza annuale della Fondazione Eranos. Il tema proposto è quanto mai attuale: “I simboli della Terra. Il pianeta inospitale e il pensiero di una nuova abitabilità”. Gli studiosi intervenuti hanno condiviso questa preoccupazione: come produrre progetti da realizzare concretamente, senza sentirsi prigionieri impotenti di un ragionamento analitico che da sé non riesce a produrre effetti?
Nel suo complesso e ricco intervento, il presidente della fondazione Fabio Merlini ha posto, tra molto altro, tre questioni. La prima è il dominio della linearità temporale, del tempo scandito da un’esteriorità dissociata dall’interiorità, consono alla società performante. La ciclicità, il tempo dell’agricoltura (ben rappresentato nel mito di Demetra e Persefone) e più in generale dei fenomeni naturali che ci sono più familiari, è ignorato. Eppure è proprio la ciclicità -il perdere e ritrovare l’oggetto desiderato, il tempo di attesa che rende significativo l’incontro (ma anche l’inatteso)- a formare il nostro senso della cura di ciò che amiamo a partire dal luogo in cui dimoriamo.
L’accelerazione progressiva a cui è assoggettata la società performante, è sinergica con l’“infinita distrazione”, la seconda questione posta da Merlini. Ci si concentra su temi estranei ai reali problemi della collettività, la cui forza attrattiva deriva dalla loro idoneità a produrre evasione, distrazione dalla realtà. La terza questione è il privilegio accordato alla salute fisica, a scapito del pensiero critico, della coscienza. Prevale l’idea, insieme ingenua e convincente nella sua potenza semplificante, che curare il corpo significa automaticamente curare il “cervello” (entità concreta a cui è ridotta la mente), che “nutrirsi sano” significa nutrire anche le emozioni e il pensiero. L’umanità incosciente di sé e del mondo non è in grado di creare un rapporto rispettoso con la natura.
Non mancano né la creatività né le risorse necessarie per affrontare il disastro ambientale. Ma non le useremo in modo adeguato e tempestivo se continueremo a distrarci, se non rimuoveremo le condizioni che ci impediscono di avere una coscienza del mondo onesta, critica e chiaroveggente. Queste condizioni coincidono con tutto ciò che avversa lo scambio paritario delle differenze e la nostra distribuzione nello spazio fisico e psichico della terra secondo le leggi della musica: l’equilibrio dinamico, in movimento, tra serenità e tempesta, tra armonia e passione tumultuosa. Il gioco delle relazioni di scambio è sempre più minato e invalidato da un processo di indifferenziazione, clonazione uniformante dei sentimenti e dei pensieri. Le cause della distruzione delle differenze sono molteplici: la plutocrazia che produce estrema precarietà sociale, dissolve i legami solidali in relazioni di servitù e distrugge la cultura e la società civile (il luogo per eccellenza della diversità nella parità dei cittadini); la digitalizzazione/automazione dell’esperienza che sottomette tutti a schemi mentali/comportamentali che possono essere calcolati, predeterminati e riprodotti intenzionalmente; la riduzione estrema del tempo libero destinato alle relazioni erotiche, amicali e culturali; la sparizione dei piccoli spazi conviviali a favore delle grandi platee della comunicazione anonima, compulsiva.
Queste cause si alleano tra di loro, è difficile stabilire il loro principio. Tuttavia poiché l’analisi cerca di ampliare lo sguardo, ma la ragione politica non può consistere senza un nemico, è opportuno, per restituire alla Polis la sua centralità, nominarlo. Nella società attuale tutto e cominciato a incancrenirsi con il liberismo (a prescindere dai motivi che l’hanno favorito). La deregulation ha spostato decisamente il centro di gravità della società dai desideri ai bisogni materiali e l’ha resa emotivamente e mentalmente instabile, ottusa e banale.