Pol-it Psychiatraonline.it
9 luglio 2018
Lettera aperta di Antonello Correale
“Ma che discorso è mai questo?” Si chiede Antonello Correale, psichiatra e psicoanalista, nella sua lettera aperta, indirizzata al Direttore di Psychiatry online.it e a tutti quelli che ancora conservano l’etica e non siano stati contagiati “dall’anestesia strisciante”, estraneati a se stessi dalla “negazione di massa” sul quotidiano unheimliche, di freudiana memoria, che, invece, tragicamente coinvolge i più… (Maria Naccari Carlizzi)
Pol-it Psychiatraonline.it
9 luglio 2018
Lettera aperta di Antonello Correale
Caro Bollorino,
mi sento spinto a scriverti e, attraverso te, scrivere ai lettori di Psychiatry on line Italia, perché colpito da un grave turbamento, che mi lascia nell’animo un senso di sconvolgimento e di tempestosa impotenza e, quasi, di disperazione.
Mi riferisco alle attuali tragedie in mare, colla sequenza di morti annegati, di famiglie divise, di adolescenti e bambini senza più genitori, di madri e padri senza figli. Sto parlando, come tutti sanno, di persone, che già nei loro paesi soffrono divisioni atroci, violenze e tormenti, non ultimo la più atroce forma di tortura e desolazione: la fame, la malattia, l’esposizione del proprio corpo a forze troppo grandi, che possono annullarlo e distruggerlo.
Ma quello che più mi colpisce, e mi lascia stordito, non è tanto l’incapacità di affrontare il problema da un punto di vista politico, incapacità di cui l’Italia e l’Europa stanno dando una miserevole prova. So pure che il problema è complesso e non può essere risolto da generici, per quanto importanti, appelli all’umanità e alla solidarietà.
Quello che mi colpisce è l’indifferenza e, fase immediatamente successiva all’indifferenza, l’odio e la ripulsa.
Mi viene da chiedermi, e da chiedere a tutti noi: che cosa è successo? Amici, colleghi, cittadini, che cosa è successo?
Perché scene atroci, dolori giganteschi, perdite immense di vite, suscitano al massimo un breve commento compassionevole e in molti invece quasi un : “Ben gli sta!”, noi non li vogliamo vedere. Come non pensare, che i traumi che si abbattono su questi bambini, su questi giovani, su queste famiglie, diventeranno tra qualche anno, sofferenza psichica e fisica, disturbi psichici, personalità menomate e alterate? Come non pensare che si stanno preparando con grande zelo e ostinazione, gli infelici del domani, i disperati di domani, i disadattati di domani?
Perché chiudere gli occhi, trincerandosi dietro le insufficienze – fin troppo evidenti – dei governi italiani e europei? Veramente siamo convinti che gli errori politici giustifichino il grave rischio di un tracollo etico? Che si possa far morire qualcuno, far impazzire tanti, far soffrire quasi tutti, solo per esprimere una critica e una profonda insoddisfazione?
Veramente pensiamo che gli errori di molti giustifichino la nostra violenza, la nostra brutalità, la nostra insofferenza infastidita verso il dolore degli altri?
Sento dire da molti: è brutto che qualcuno muoia, ma il governo attuale ha delle ragioni.
Ma che discorso è mai questo?
Quale ragione – vera o presunta – può giustificare la perdita della vita, il disprezzo per i diritti umani, l’invito a non soccorrere chi chiede aiuto (perfino questo abbiamo dovuto sentire!), il rispedire in luoghi pieni di dolore e sofferenza (sia i paesi di origine, sia i campi dei rifugiati) chi cerca disperatamente di fuggirne?
C’è il rischio di un crollo etico, che non è giustificabile col discorso politico. L’indifferenza e l’odio che ne è il figlio più immediato, è l’espressione di un avvio verso un crollo etico, camuffato da fastidio (“cambiamo argomento”) e di una blanda, rapida, compassione. Peggio, talvolta l’odio non è camuffato, ma esplicito.
Ma perché tutto questo? Insisto colla domanda: che cosa è successo? Quale oscura, profonda mutazione, si è infiltrata negli animi per determinare un effetto così drammatico? Non parlo naturalmente di tanti che combattono tutto questo. Tanti, tantissimi che purtroppo non trovano un punto di raccordo e di collegamento,
Ma non posso non citare La banalità del male di Hannah Arendt. Il male si ammanta di buon senso, di normalità, siamo bravi cittadini, non ci disturbate.
Un mondo che privilegia su tutto la “sicurezza” e la “legalità”, senza preoccuparsi se la legalità deriva da leggi errate, impossibili da rispettare, è un paese in difesa, chiuso, che preferisce la lettera alla sostanza, il piatto buon senso al riconoscimento del dolore umano.
Insisto colla domanda: perché tanta indifferenza?
Vorrei provare a rispondere. Credo che il problema fondamentale non sia il timore dell’invasione (che è ben lungi dall’essere tale) e non sia neanche solo il razzismo (che pure scivola tra le pieghe del sociale in modo subdolo), ma sia l’odio per il povero, per il disperato, per l’inerme, per chi non ha più nulla.
Lo spettacolo dell’assoluta indigenza è per molti insostenibile. L’indigenza causa sensi di colpa, che nessuno vuole provare, come la paura di essere invidiati (l’africano porge il cappello all’occidentale, che esce allegro dal ristorante), ma più di tutti causa il pensiero: potrei essere come lui o come lei. E se capitasse a me?
Non si prova rispetto per chi non ha niente, al massimo una fugace compassione. Perché in realtà questo specchio dell’umana fragilità, dell’esposizione alla malattia, alla solitudine, al dolore, ci richiama al terrore primordiale di poter finire così.
E allora meglio pensare che sono terroristi, imbroglioni, truffatori, ladri, fanatici, sporchi, violenti, che hanno idee sbagliate, culture assurde, che sono contrari ai nostri valori.
Ma i nostri valori non ci spingono a ricacciarli nell’impotenza! Ma è in nome di questi valori, che noi facciamo questa opera contro chi non rispetterebbe i nostri valori!
È chiaro che alcuni di loro sono violenti e negativi, come lo sono molti italiani (in Italia un uomo uccide una donna quasi una volta al giorno e sono italiani).
Ma invece di criticare la nostra giustizia, che è lenta e farraginosa, attacchiamo loro e proponiamo la chiusura delle frontiere. Invece di affrontare le nostre tremende insufficienze (corruzione, giustizia, sanità, amministrazioni inadempienti, cattivo funzionamento delle istituzioni), preferiamo attribuire tutta la colpa dei nostri difetti ai migranti.
E quindi potremmo dire: l’indifferenza, e l’odio che la segue, sono il frutto del rifiuto che alberga ormai nel mondo occidentale per la debolezza, la solitudine, l’indigenza e l’inermità e per il riconoscimento onesto delle nostre mancanze.
Si parla molto di tanti poveri italiani (quasi cinque milioni): ma anche verso di loro io non sento solidarietà e interesse e partecipazione, ma una compassione un po’ pelosa: sono più importanti i poveri italiani dei poveri stranieri (ma ricordate Shakespeare: se resta senza cibo, non ha fame un ebreo, se lo ferisci non perde sangue?). Ma in sostanza io vedo verso tutta la povertà italiana e straniera lo stesso atteggiamento indifferente e banalizzante.
Come vogliamo chiamare tutto questo: una gigantesca opera di negazione di massa, il chiudere gli occhi, il preferire l’ignoranza alla conoscenza perché è più tranquillizzante?
Credo che si possa sintetizzare questo mia riflessione con una semplice frase: quello di mio che non vorrei vedere.
Io non credo che sia impossibile uno sforzo maggiore per guardare dentro di sé: in fondo è da questo che mi aspetto un possibile cambiamento. Ma forse è necessario che molti abbiano il coraggio di proporlo e di affermare a voce alta e con coraggio questa forte verità, che richiede la forza di un forte ripensamento su noi stessi e sul mondo che vogliamo costruire.
In conclusione, mi piacerebbe chiedere a tutti, e in particolare a chi segue pol.it ed è quindi interessato a porsi la domanda di come funziona la mente umana, a livello individuale e collettivo: perché queste anestesia strisciante, che colpisce un numero crescente di persone, perché questa inerzia, questa passività, questa rinuncia? Ma credo che anestesia sia il termine più preoccupante, ma anche più preciso.
Che cosa è successo? Chiediamocelo e chiediamo agli altri una riflessione e una discussione su questa domanda cruciale.
Antonio Correale, psichiatra Psicoanalista