Cultura e Società

Per la costruzione di un approccio non ideologico ai percorsi di transizione sessuale. Commento di N. Calzolari all’articolo di S. Thanopulos dell’1/02/2024

28/02/24
Sulla pelle dei bimbi trans si testa l’industria della trasformazione. Intervista a S. Thanopulos di Oliva e Rocchetti, Il Fatto Quotidiano, 1/2/2024

D.HIRST 2011 particolare

Cercherò in questa sede di fare alcune considerazioni in merito al dibattito sull’utilizzo dei farmaci bloccanti la pubertà.Vorrei fare una premessa: sono una donna transessuale che ha iniziato il percorso di transizione a 45 anni e ha effettuato l’intervento di RCS a Bangkok nel 2012. La mia militanza come donna trans è lunga (vedi nelle note), ma è solo dal 2019 che ho deciso di intervenire in autonomia e slegata da qualsiasi adesione a realtà politiche e/o associative, questo per salvaguardare la mia indipendenza su questi temi e facilitare la costruzione di possibili percorsi di confronto e condivisione. Purtroppo in Italia sono ancora, ad oggi, l’unica persona transessuale che si esprime pubblicamente in modo critico riguardo all’approccio ideologico e culturale prevalente riguardante la transessualità e l’identità di genere.

A proposito dei percorsi di transizione, concordo con quanto espresso dal Dr. Sarantis Thanopulos, relativamente alla sua posizione contraria all’utilizzo dei farmaci bloccanti la pubertà e, pur essendo una donna transessuale, per questa mia posizione sono stata etichettata come transfobica.

Cosa dà fastidio in questa presa di posizione tanto da essere tacciata come transfobica?

Un piccolo passo indietro per capirlo.

In tutti i servizi pubblici esistenti in Italia per il trattamento medico e psicologico delle persone che chiedono di accedere ai percorsi di transizione esiste un rapporto che ho sempre trovato estremamente confusivo (avendolo anche vissuto sulla mia pelle come utente di uno di questi consultori) tra il piano strettamente metodologico-professionale dei medici e psicoterapeuti ivi operanti, e il piano definibile come politico-sociale, espresso dalle associazioni di persone trans o del movimento lgbtq+ che svolgono la loro attività di promozione sociale dei diritti sul territorio in cui si trova il servizio di volta in volta interessato.

Quando partecipai a un programma televisivo sui farmaci bloccanti la pubertà in cui era presente uno dei più noti endocrinologi italiani che lavorava presso una struttura in cui tali farmaci venivano somministrati off-label, durante la trasmissione mi espressi in modo fortemente critico su di essi mentre il medico presente cercò, con imbarazzo, di tenere una posizione di apertura al loro utilizzo anche se con cautela. Al termine della trasmissione e a microfoni spenti il medico si avvicinò a me e mi disse che condivideva le mie considerazioni ma che non poteva esprimersi apertamente altrimenti avrebbe potuto vivere una situazione difficile nel suo servizio.

C’è quindi in generale un primo importante problema nei servizi per le persone transessuali, e questo problema è l’eccessiva permeabilità delle metodologie, delle pratiche professionali e terapeutiche alle influenze del contesto sociale in cui operano.

È giusto e indispensabile sottolineare, come viene fatto in questo convegno, che la pratica clinica, il sapere teorico e professionale si aprano alla Polis, alla dimensione sociale, ma non tanto da farsene egemonizzare; deve trattarsi di un rapporto di riconoscimento reciproco delle rispettive differenze e alla pari.

Un secondo e altrettanto importante problema sta, a mio avviso, nella inadeguatezza delle stesse categorie diagnostiche utilizzate per valutare le richieste di accesso ai percorsi di transizione sia per le persone adulte sia per quelle minorenni: dalla diagnosi più antica di Disturbo dell’Identità di Genere alla più recente di Incongruenza di Genere.

Vengono utilizzati parametri diagnostici che confondono la dimensione biologica/fisiologica/psichica relativa al sesso e alla sessualità con la dimensione culturale e sociale del genere, intesa come complesso di atteggiamenti, comportamenti, usi, costumi, ecc., attribuiti per convenzione sociale a uno solo dei due sessi.

L’adesione agli stereotipi di genere attribuiti al sesso, opposto al proprio originario, diventa così il requisito fondamentale per valutare se un percorso di transizione sessuale possa essere opportuno in prospettiva oppure no, quando invece si tratta di dimensioni profondamente diverse tra loro. Questo rischia così di avallare o addirittura indurre scelte che comportano possibili danni profondi e irreversibili tanto negli adulti quanto, soprattutto, nei minori.

In tal modo avviene anche la rimozione del dato di realtà tale per cui l’esito di una transizione sessuale si deve ritenere sempre profondamente imprevedibile in termini di conseguimento del benessere auspicato, anche se preceduto da una entusiastica adesione agli stereotipi di genere attribuiti al sesso elettivo.

Il genere viene spacciato per elemento di prognosi dei percorsi di transizione, e questo è pericolosissimo soprattutto per chi deve ancora iniziare o completare il proprio sviluppo sessuale.

Si può infatti avere la certezza fondata di voler iniziare responsabilmente un percorso di transizione solo dopo che si è fatta esperienza del proprio sviluppo sessuale nella sua pienezza.

La motivazione tale per cui si ritiene necessario somministrare i farmaci come la triptorelina, da parte dei suoi sostenitori, starebbe nel prevenire il presunto rischio di disagi psichici gravissimi e la possibilità di suicidi, dimenticando, innanzitutto, che consentire che siano dei ricatti relazionali a guidare le relazioni stesse non porta a niente di buono in termini di capacità genitoriali e di crescita evolutiva. Inoltre viene dimenticata la realtà, banale, tale per cui non esistono scorciatoie temporali per bypassare il disagio, l’inquietudine vissuti da tutti gli adolescenti (inclusi coloro che non transizionano) consistente nello sperimentare il mancato controllo sul proprio sviluppo, e quindi sulla identità del proprio corpo, della propria sessualità.

Mi auguro che sempre più medici e psicoterapeuti, come il Dr. Thanopulos, abbiano il coraggio di esprimere apertamente posizioni che sono sia critiche nei riguardi delle pratiche adottate nei servizi per le persone transessuali sia rispettose delle persone transessuali stesse, viste come persone che vanno considerate e seguite senza filtri ideologici, come persone che si espongono a rischi importanti per la propria salute e che pertanto necessitano di essere accompagnate con modalità professionalmente e umanamente più adeguate alla complessità di un simile percorso.

Se ciò non dovesse avvenire, come in una sorta di effetto boomerang rispetto a quello auspicato dai sostenitori di percorsi di transizione sempre più disinvolti e invasivi, si ridurranno sempre di più, nella politica e nella società, gli spazi per una discussione sui temi relativi ai percorsi di transizione che si smarchino dagli opposti estremismi della loro apologia incondizionata o della loro negazione e critica sempre più feroce e generalizzata.

L’attenzione politica e sociale sarà sempre più riservata ai casi rispetto ai quali si potrà sollevare un polverone mediatico in negativo dipingendo tutte le persone transessuali come ‘mostri’: dai minorenni bloccati nel loro sviluppo, e magari con ritardi neurocognitivi, alle gravidanze di uomini transessuali; la transessualità verrà ridotta a freak show da parte di chi la vuole negare e ostacolare, mentre ai suoi sostenitori superficiali e banalizzanti non rimarrà da fare altro che battere in ritirata e con un imbarazzante silenzio una volta terminati gli slogan di propaganda.

E’ questo lo scenario che ci aspetta se non inizieremo a trattare di questi temi diffusamente e in modo serio, non ideologico.

Nota

Neviana Calzolari è sociologa e ha lavorato per l’Assessorato alle Politiche e Servizi Sociali del Comune di Modena come funzionaria pubblica nei servizi sociosanitari dalla metà degli anni Ottanta.

In tale ruolo si è occupata di servizi rivolti alla tossicodipendenza, all’assistenza postpenitenziaria, agli inserimenti lavorativi, alle persone senza fissa dimora e in povertà estrema, all’accoglienza residenziale di utenza adulta in situazione di disagio abitativo. Negli ultimi anni, si è occupata della rilevazione della qualità dell’assistenza sociosanitaria nelle case protette per anziani.

Dal 1991 al 1994 ha frequentato la Scuola di Analisi Transazionale in ambito psicosociale presso il CPAT di Milano.

Dal 1993 al 2019 è stata iscritta all’Albo degli Psicologi della Regione Emilia-Romagna.Nel 2017, ha collaborato per sei mesi, per conto dell’Assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Modena, con le associazioni LGBTQ+ presenti sul territorio con la finalità di verificare lo sviluppo di un progetto di servizio di aiuto rivolto alla popolazione trans locale, dando un contributo che partisse dalle specifiche competenze professionali e dalle esperienze e conoscenze personali acquisite attraverso il percorso di transizione.

Collaborazione interrotta in quanto sui temi riguardanti la transizione sessuale e l’identità di genere, il rapporto politico esistente in generale tra le pubbliche amministrazioni e le associazioni facenti parte del movimento lgbtq+ si va appiattendo su polarizzazioni ideologiche che non lasciano spazio a posizioni aperte alla trattazione esplicita delle criticità riguardanti i percorsi clinici e di vita delle persone trans.

Dopo la militanza in Arcilesbica, negli ultimi anni ha rilasciato numerose interviste sui temi dell’identità sessuale e di genere a diversi giornali, riviste e media quali Repubblica, Il Fatto Quotidiano, MicroMega, Vanity Fair, Radio Popolare, La Verità. Usciranno a breve altri due interventi per la rivista femminista Marea di Monica Lanfranco.

Ha partecipato a diverse trasmissioni televisive ed è stata relatrice a corsi di formazione come quelli organizzati dalla Casa delle Donne e dall’Udi di Palermo, e dalla Rete D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza).

Ha partecipato, inoltre, ad iniziative organizzate da realtà territoriali attive su questi temi quali Il Circolo della Rosa di Verona, la Libreria delle Donne di Padova, il Collettivo Resistere alle Emergenze di Milano, l’Associazione Voci di Donne di Fiumicello Villa Vicentina, il Circolo Arci Uisp di Osio Sopra, il Collettivo Assemblea Popolare di Busto Arsizio.

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