CLEGG&GUTTMANN 2019
Parole chiave: identità, conflitto, legami
“Non dimenticate il tema dell’identità nel conflitto tra Russia e Ucraina” Huffpost 5/3/2022 D. D’Alessandro
Huffpost 5 marzo 2022
La psicologa e psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris spiega che cos’è e come si forma la dimensione polimorfa della psiche, quando può diventare causa di rivendicazioni
Introduzione: La costruzione dell’ identità, la definizione dei confini tra il sé e l’altro sono processi necessari nella formazione dell’identità ma se assumono contorni troppo rigidi possono portare a sentimenti ostili e rivendicativi sia negli individui che nei gruppi sociali rischiando di cancellare gli elementi di somiglianza e di fratellanza . Su questi temi un’intervista di Davide D’Alessandro ad Anna Oliviero Ferraris. (Maria Antoncecchi)
Davide D’Alessandro, saggista
Huffpost, 5 marzo 2022
“Non dimenticate il tema dell’identità nel conflitto tra
Russia e Ucraina”
di Davide D’Alessandro
La psicologa e psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris spiega che cos’è e come si forma la dimensione polimorfa della psiche, quando può diventare causa di rivendicazioni
La costruzione di un amore spezza le vene delle mani, dice Ivano Fossati, mescola il sangue con il sudore, se te ne rimane. La costruzione di un’identità non è da meno, operazione articolata e complessa. Non siamo in due, siamo in tanti, siamo infanti, adolescenti, fragili e il quadro famigliare non sempre si mostra accogliente. Per sapere cos’è l’identità, come si forma, che cosa ruota intorno alla sua costruzione, non potevo che andare dalla professoressa Anna Oliverio Ferraris, psicologa e psicoterapeuta, per decenni docente di Psicologia dello Sviluppo alla Sapienza. Ha scritto tanti libri. L’ultimo, La costruzione dell’identità, edito da Bollati Boringhieri, analizza con rigore questa dimensione polimorfa della psiche.
Che cos’è l’identità?
“È un elemento costitutivo della nostra personalità che ci consente di definirci, di presentarci al mondo e di renderci riconoscibili. Usando una metafora la si può paragonare alla pelle che ci ricopre in ogni parte del corpo: impossibile farne a meno perché segna il confine tra l’interno e l’esterno di noi, tra la sfera della soggettività e quella dell’oggettività, tra il nostro corpo e l’aria che respiriamo. È l’interfaccia tra l’individuo e il mondo. Ci delimita e ci consente di entrare in relazione con gli altri. L’indebolimento di questo involucro ci rende fragili”.
Come si costruisce l’identità?
“Si costruisce nel corso della crescita e nel rapporto con gli altri, in un continuo modellamento della propria singolarità in rapporto alle richieste dell’ambiente. L’adolescenza è l’età in cui il lavoro psicologico sull’identità è particolarmente evidente: si cerca di comprendere chi si è in relazione agli altri, come gli altri ci vedono e ci valutano, chi desideriamo essere e diventare”.
Che cosa vuol dire disconnettersi per ricentrarsi?
“Ad una ferita psicologica, ad una intensa sofferenza morale può far seguito una sorta di disconnessione dalla vita, che ad un primo sguardo può essere interpretata come passività o alterazione mentale, ma durante la quale la vittima sta in realtà fabbricandosi un bozzolo per proteggersi e poi ‘ricentrarsi’. In questa fase la persona ferita non si domanda ‘perché vivere?’ cerca soltanto di sopravvivere per poi, in seguito, ricostruirsi modificando magari la propria visione del mondo o filosofia di vita”.
Come avviene l’interiorizzazione dell’Altro?
“Vivendo nel mondo l’individuo interiorizza il legame sociale e le sue regole. Fin dall’infanzia l’identità si costruisce non solo imitando le figure significative e protettive, ma anche cercando di comprendere il ruolo degli altri nei propri confronti: si comprende cosa gli altri si attendono da noi; si capisce come gli altri possono giudicarci; si cerca di modulare i propri comportamenti e le proprie attese, anche a costo di qualche rinuncia, al fine di creare dei legami di solidarietà su cui poter contare, nella consapevolezza che l’isolamento è quasi sempre una condizione di fragilità sociale”.
Qual è la differenza più importante tra l’identità dell’infanzia e quella dell’adolescenza?
“Nell’infanzia i bambini si ispirano, nelle loro identificazioni, ai modelli che trovano in famiglia e nella cerchia ristretta della parentela. Col sopraggiungere dell’adolescenza si avverte il bisogno di esprimere la propria singolarità sganciandosi dai modelli familiari, e tuttavia, in un mondo complesso e multiforme come il nostro, popolato da molte e diverse identità, senza ancora una collocazione chiara nel contesto sociale e con un percorso formativo in evoluzione, i ragazzi fanno delle ‘prove’: possono cioè indossare identità diverse, nella realtà o nella fantasia, prima di individuarne una più stabile o più soddisfacente di altre”.
Quando l’identità crea conflitto?
“Sul piano individuale l’identità può entrare in conflitto quando è molto diversa da quella che gli altri si attendono, per esempio quando esiste un divario molto forte tra le aspirazioni dei genitori e quelle dei figli. Sul piano collettivo l’identità può essere uno dei fattori (insieme a quelli economici e territoriali) all’origine di rivendicazioni che generano conflitti, a volte anche le guerre. Nell’attuale conflitto tra Russia e Ucraina, gli ucraini, pur avendo molto in comune con i russi, si sentono diversi, rivendicano la loro singolarità e non intendono farsi inglobare dalla Russia”.
Perché è ancora così difficile far accettare agli altri la propria identità di genere?
“Può essere difficile quando c’è una discrepanza tra il sesso assegnato alla nascita e l’orientamento individuale perché l’identità di genere è una delle più radicate nella storia individuale: si struttura nella prima infanzia e viene continuamente confermata e rafforzata dai familiari, dall’ambiente di vita, dagli usi e i costumi culturali. Il cambio di identità di genere è molto coinvolgente dal punto di vista psicologico e sociale, ma se la famiglia e l’ambiente circostante invece di ostacolare aiutano la transizione, questo processo è facilitato”.
Chiude il libro citando Lasch e “La cultura del narcisismo”. Il narcisismo è davvero la piaga dei nostri anni?
“In una società individualista il narcisismo è sempre in agguato. Il narcisista considera il proprio Sé come l’unica e maggiore fonte di soddisfazione esistenziale e si impegna per la propria esclusiva autorealizzazione. In realtà è possibile, anche nel nostro tipo di società, realizzarsi in progetti esistenziali che vanno al di là della semplice affermazione personale. Progetti assai più produttivi e gratificanti sia per l’individuo che per la società”.
A che punto è il ruolo della famiglia e quanto è vera la svalutazione del ruolo del padre?
“La famiglia continua ad avere un ruolo centrale per il sostegno e il benessere psicologico delle persone, soprattutto quando ci sono dei figli in crescita. Il padre, non più autoritario e ‘padrone’, è l’altro polo di riferimento per i figli che svolge come la madre un ruolo di protezione, di sostegno e di guida in un mondo in continuo movimento”.
Dai figli non si divorzia, ma si continua a divorziare. Quanto è cambiato negli anni l’impatto della separazione sulla psiche dei figli?
“L’impatto della separazione dei genitori sui figli è minore rispetto al passato sul piano sociale perché la loro condizione è simile a quelle di altri amici e compagni. Sul piano individuale invece continua ad essere un fattore di discontinuità che coinvolge i figli dal punto di vista emotivo, che può generare un senso di precarietà e di sfiducia nei legami sentimentali. I genitori che divorziano quindi devono cercare di consentire ai figli di mantenere dei buoni rapporti con entrambi i genitori, evitando di svalutarsi a vicenda o di creare situazioni difficili da gestire”.
Tra i suoi libri che ho amato di più c’è “Psicologia della paura”. Prima il Covid, ora la guerra vicina, e la paura è tornata prepotentemente tra noi. Quando è necessaria e quando risulta dannosa, invalidante?
“La funzione primaria della paura è la difesa. Avvertendo il pericolo incombente questa emozione genera delle reazioni psicofisiche che consentono di organizzarsi e di reagire in modo da mettersi in salvo, di attaccare o di fuggire. Diventa invalidante quando cronicizzandosi produce ansia, aspettative negative, fobie, forme di chiusura e di ripiegamento su di sé. Un esempio di questa involuzione è la cosiddetta ‘sindrome della capanna’ verificatasi per alcuni a seguito dei lock down prolungati dovuti alla pandemia di covid-19. Restando confinati in casa, in uno stato di passività e di paura, alcuni hanno sviluppato una vera e propria fobia nei confronti del mondo esterno così da non riuscire più ad uscire di casa quando ormai potevano farlo”.
Ci si addestra alla resilienza?
“È possibile addestrarsi alla resilienza. Dopo un colpo della vita si tratta di reagire e anche, se necessario, di cambiare abitudini e stile di vita. La resilienza la si impara generalmente nel corso della crescita a contatto con adulti in grado di trasmettere fiducia e competenze che consentano di reagire nei modi più opportuni. Legami affettivi, valori morali, obiettivi, creatività, flessibilità, cooperazione, altruismo sono importanti per mantenersi in rotta e per risollevarsi dopo le cadute”.
Andare in analisi è ancora il modo migliore per conoscere sé stessi?
“Certamente, l’analisi aiuta a conoscere sé stessi, soprattutto a comprendere, al di là delle maschere che spesso indossiamo, ciò che di più autentico c’è in noi”.