con il Ponfefice interpretato da Michel Piccoli
Una interessante ricognizione del rapporto ,
all’inizio di reciproca ostilità, che la Chiesa Cattolica ha intessuto con la
Psicoanalisi.
Silvia Vessella
LA STAMPA – 13/04/2011 –
Santo Padre sul lettino:
Freud, ego te absolvo
Nel nuovo film di Moretti un Papa
depresso in psicoanalisi. Così da Pacelli in poi la Chiesa e la scienza
dell’inconscio hanno fatto la pace dopo un conflitto durato mezzo secolo
FABIO MARTINI
Neppure la
brusca ascesa al potere di Adolf Hitler bastò a far cambiare idea a Sigmund
Freud: «I nazisti? Non li temo. Piuttosto aiutatemi a combattere la mia grande
nemica, la Chiesa cattolica». L’ebreo Freud che sceglie Hitler come male minore
esprime una convinzione destinata a incontrare la dura replica della storia,
eppure proprio quella «preferenza» forzosa restituisce il senso dello scontro
asperrimo che divideva Chiesa cattolica e psicoanalisi. Un conflitto che in
Italia sarebbe durato 70 anni e che era stato ingaggiato ai primi del Novecento
dalle gerarchie vaticane contro gli psicoanalisti, «colpevoli» – ma nessuno si
esprimerà in questi termini – di aver infranto il monopolio cattolico nella
confessione e nella introspezione delle anime.
E dunque, anche per effetto di questo storico antagonismo, appare intrigante il
plot di Habemus Papam, il film di
Nanni Moretti che dopodomani uscirà nei cinema e che racconta la storia di un
Papa depresso alla ricerca di sollievo sul lettino di uno psicoanalista.
Eppure, dentro la lunga guerra ideologica della Chiesa contro il freudismo, c’è
una interessante storia «interna» – un filone ancora inesplorato dagli studiosi
– e che riguarda il personale interesse di singoli Papi per la psicoanalisi.
Con interventi pubblici e curiosità intellettuali coltivate in privato, Papi
diversissimi tra loro come Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI – pur mantenendo
le distanze – si sono trovati spesso più avanti dell’Istituzione. Aprendo in
modo carsico la strada verso una progressiva, non dichiarata revisione
ideologica, che già da qualche anno ha sdoganato la psicoanalisi anche in
Vaticano.
Disciplina, almeno in Italia, eretica come poche altre. Agli albori, non solo
la Chiesa ma tutti i poteri costituiti la avversano. L’idealismo crociano, il
fascismo e nel secondo dopoguerra il Pci di influenza sovietica. Tanto è vero
che all’inizio degli Anni Trenta i pionieri, non per caso, sono due ebrei –
Edoardo Weiss ed Emilio Servadio – e due antifascisti socialisti, Cesare
Musatti e Nicola Perrotti. La Chiesa è diffidentissima perché, da subito,
intuisce nella psicoanalisi una pericolosa concorrente. Certo, ne denuncia il
«pansessualismo» e il «materialismo», ma di quelle teorie ancora più inquieta
la cifra ideologica, l’ambizione «totalitaria», un’attitudine che oltretutto
finisce col rubare alla Chiesa il monopolio dell’anima e quell’infinito rosario
di segreti personali, fino ad allora custoditi in confessionale. E crolla
persino il monopolio sull’attività onirica, rispetto alla quale la Chiesa aveva
elaborato, ben prima di Freud, una sua «Interpretazione». I sogni? Attraverso
di loro, è il diavolo che vuole catturare l’anima.
E infatti la psicoanalisi, in Italia soffocata sul nascere dal fascismo, nel
secondo dopoguerra ritrova subito la durissima ostilità della Chiesa, al punto
che nel 1952, sul Bollettino del clero romano, si arriva a qualificare
addirittura come «peccato mortale» ogni pratica psicoanalitica. Una scomunica
apparentemente senza appello, eppure, proprio in quell’anno – in piena Guerra
fredda – uno spiraglio viene aperto nientedimenochè da Pio XII. Rigidissimo sul
piano dottrinario e politico, papa Pacelli è incuriosito da quel che si muove
nel campo della medicina, della scienza, della tecnologia. Nel suo sforzo di
riportare nell’alveo della Chiesa tutto ciò che è moderno, il Papa
«positivista», durante il congresso di Istopatologia del sistema nervoso,
interviene, sostenendo che «è inesatto sostenere che il metodo pansessuale di
una certa scuola di psicoanalisi sia parte indispensabile di ogni psicoterapia
degna di tal nome». Parole possibiliste quelle del Papa, che, come farà
osservare subito padre Agostino Gemelli, non avevano comportato «nessuna
condanna, per alcun sistema». E qualche anno più tardi, sia pure in forma
privata, Giovanni XXIII – secondo la testimonianza dello psicoterapeuta
svizzero Durand – si mostrò interessatissimo e commosso da alcuni casi di
nevrosi, al punto che un segretario del «Papa buono» avviò studi sulla
psicoanalisi per la dottrina matrimoniale.
Eppure, a dispetto di questi spiragli, la cultura prevalente nelle istituzioni
ecclesiastiche restava fortemente repressiva. Tanto è vero che nel luglio del
1961 il Sant’Uffizio produce un Monitum,
nel quale si arriva a proibire ai sacerdoti di accedere alle cure
psicoanalitiche. E toccherà proprio a un papa, Paolo VI, sciogliere
quell’interdetto: nella enciclica Sacerdotalis
coelibatus del 1967 riconosce la possibilità di un aiuto psicoanalitico per
i sacerdoti in difficoltà, un placet
che teoricamente consentirebbe anche a un papa vero, non solo a quello di
Moretti, di accomodarsi sul lettino. E sarà proprio papa Montini, sette anni
più tardi, a far cadere l’ultimo muro, esprimendo stima «per questa oramai
celebre corrente di studi antropologici, la psicoanalisi». Papa che ne
comprende la profondità, perché a sua volta attraversato da una grande
angoscia, quella che gli farà pronunciare durante i funerali di Aldo Moro
un’omelia che allude ad una crisi di coscienza: «Tu, Dio, non hai esaudito la
nostra supplica per l’incolumità di Aldo Moro…».