Introduzione: Claudia Arletti intervista Stefano Bolognini, Presidente dell’International Psychoanalytic Association. Egli, non a caso nel giorno dell’8 marzo, analizza le forme di protesta delle Femen, differenziandole dai blitz delle Pussy Riot e da quelle della blogger egiziana Eliaa.
Ne sottolinea la diversa drammaticità e la forza della motivazione. Tali azioni interrogano l’analista non tanto sul piano politico-sociale quanto sulle origini profonde della rabbia dirompente, che motiva la drammaticità di tali gesti. (Silvia Vessella)
Venerdì di Repubblica 8 marzo 2013
Lo psicoanalista Stefano Bolognini paragona i blitz delle Femen (vedi quello anti Berlusconi) all’arte marziale dove l’astuzia conta più della potenza.
Di Claudia Arletti
Credevamo fosse Milano, Italia, invece era il Giappone. Le bionde attiviste di Femen che la tv ci ha mostrato il 24 febbraio nel seggio dove votava Silvio Berlusconi certamente lo ignorano, ma – tra grida e strattoni – quel giorno non hanno solo interpretato il ruolo di vittime di una repressione brutale, bensì personificato le agguerrite lottatrici di una perfetta, plastica, mossa di Aikido. All’arte marziale ha pensato Stefano Bolognini, psicoanalista di lungo corso, autore di saggi e racconti (segnaliamo tra i tanti titoli Lo Zen e l’arte di non sapere cosa dire), presidente dell’International Psychoanalytical Association, che raccoglie gli analisti freudiani.
Partiamo da Milano, allora. «Quel video mi ha molto colpito: pochi secondi appena, di estrema drammaticità. Proviamo a sezionare gli avvenimenti. Primo,le ragazze scelgono di spogliarsi in un luogo dove la nudità non è ammessa, un seggio elettorale, mica la spiaggia di Fregene. Secondo,la nudità è contestata e repressa da alcuni maschi, i poliziotti, che si affidano alla forza fisica. Quarto, le ragazze, inermi e seminude, “guidano” l’azione scenica, conducendo i maschi a sfoderare un’aggressività inutile, che,in realtà, li fa soccombere. Come il lottatore dell’Aikido, il maestro giapponese che affronta un colosso tutto muscoli e ne usa la forza per sbilanciarlo e sconfiggerlo con pochi, agili movimenti. Il copione era già scritto ed è stato interpretato con precisione: come in altre occasioni, le Femen hanno mostrato che l’uomo, il maschio, è per sua natura aggressivo. Esattamente ciò che volevano».
Non sembra condividere questa forma di protesta e le sue ragioni. O invece sì?
«Né sì né no. Sono un analista e non mi chiedo chi abbia ragione. Rifletto invece sul meccanismo che ho di fronte e sulle forze nascoste che entrano in campo».
Esempio?
«Le Femen sono sicuramente mosse da profondissima rabbia, che viene rivolta ora contro un nemico, ora contro un altro. Ma questo nemico è “l’erede” di relazioni precedenti, il frutto di qualcosa che risale al passato, più o meno recente, di ciascuna».
Fosse una delle sue figlie…
«È la prima cosa cui ho pensato. Sarei qui a interrogarmi».
A chiedersi dove ha sbagliato?
«A chiedermi da dove provenga questa carica di aggressività. Non che ci sia obbligatoriamente qualcosa di patologico, ma mi domando: queste ragazze ce l’hanno solo con Putin e con Berlusconi, o c’è dell’altro? Venisse una di loro da me, nel mio studio, non entrerei nel merito delle scelte ideologiche e, invece, mi concentrerei sulla sua storia, perché le forme che scegliamo per comunicare riflettono la nostra organizzazione mentale. Esporsi in quel modo, usare il corpo come un’esca per calamitare l’attenzione dei presenti, sapendo che le immagini saranno riprese e replicate all’infinito sul web, esige una motivazione fortissima».
Dalle Femen alle Pussy Riot, siamo sempre di fronte a blitz, spesso clamorosi, ma da lì a smuovere le masse…
«È una questione di gradi e di contesti. Senza denudarsi, solo per il fatto di esporsi nei posti sbagliati indossando abiti variopinti, le Pussy Riot in Russia diventano dirompenti. Ma ai nostri occhi annoiati sembrano tutt’al più adolescenti vestite in modo po’ eccentrico, cantanti di una rock band di provincia. L’evento davanti al seggio di Milano colpisce me, e magari lei, ma la nostra società è come il chirurgo che si abitua ad aprire le pance dei pazienti senza più emozionarsi: siamo assuefatti a ben altri avvenimenti, facciamo i conti senza traumi apparenti con le dimissioni di un Papa, assistiamo come anestetizzati agli scandali sessuali dei politici. Io, però, non ci sto; nella mia mente il monaco tibetano che si dà fuoco risuona con un: caspita, un uomo si è dato fuoco! Davanti alle immagini di Milano ho riflettuto su quello che provavano le ragazze e tutti i presenti, inclusi i poliziotti».
E il caso della blogger egiziana nuda su Facebook per protesta?
«Qui scivoliamo in un’altra dimensione. Mostrando il corpo e quelle parole sulla pelle, Aliaa si è staccata dal suo mondo, un po’ come fece Salman Rushdie al tempo dei Versetti satanici. Ha scritto un messaggio di addio: non potrà fare ritorno».