Mosaico di pace, giugno 2019
AUTOMI di Sarantis Thanopulos
L’agire meccanico e ripetitivo, l’impossibilità di prendersi cura di sé, lo sfruttamento riducono gli esseri umani ai loro corpi biologici. E nulla più.
Mosaico di pace, giugno 2019
Introduzione: Se l’incontro con l’Altro è veicolato dal desiderio, la significazione dell’esperienza si lega al piacere sensuale del corpo nel rispetto della libertà e della differenza. Sarantis Thanopulos mette in guardia dal pericolo di una scissione psiche-corpo che omologando l’essere umano alla logica del bisogno lo espropria silenziosamente della sua umanità. (Maria Antoncecchi)
Sarantis Thanopulos, psichiatra, psicoanalista, membro ordinario della Società Psicoanalitica Italiana con funzioni di training.
Mosaico di pace, giugno 2019
AUTOMI di Sarantis Thanopulos
L’agire meccanico e ripetitivo, l’impossibilità di prendersi cura di sé, lo sfruttamento riducono gli esseri umani ai loro corpi biologici. E nulla più.
“Psiche” e “corpo” sono indissociabili nell’uomo. La psiche è, nella prospettiva psicoanalitica che seguo, la rappresentazione di sé e del mondo con il pensiero, le emozioni, i sentimenti e gli affetti, ed è, nel suo nucleo, centrale e costitutivo, inconscia. Quello che la rende indissociabile dal corpo è il fatto che né il pensiero, né la vita affettiva si sviluppano – se non in forme perverse, distruttive e autodistruttive – in assenza del piacere sensuale del vivere che ha le sue radici nelle varie, complesse fonti di eccitazione somatica e nelle esperienze sensoriali ad esse connesse.
L’INCONTRO
L’essere umano è estrovertito verso il mondo e l’alterità dalla spinta pulsionale verso il piacere dei sensi, il coinvolgimento profondo e persistente della sua materia psicocorporea. È tanto più sano, vivo, quanto più riesce a vivere destabilizzazioni del suo assetto, godendone e senza andare in crisi.
È a partire da questa condizione che riesce a dare senso complesso e profondo alla propria esistenza e rendere creativo il proprio agire. La significazione della nostra esperienza è impossibile senza la spinta al piacere sensuale del vivere che viene dal corpo ma, al tempo stesso, la pulsione erotica alla vita deve legarsi al senso per non ridursi a un automatismo di eccitazione e scarica per esaurire la sua forza propulsiva.
Ciò non è possibile senza l’incontro della pulsione con l’alterità, con la differenza. Come spinta pura la pulsione ignora l’alterità, la tratta come estensione della soggettività di cui essa rappresenta il motore. Tuttavia è solo dove incontra la diversità che il movimento che essa imprime può mantenersi vivo, dispiegarsi e svilupparsi. Dove il corpo del soggetto mosso dalla spinta pulsionale viene a contatto con altri corpi differenti nel loro modo di costituirsi ed essere presenti nell’incontro, nasce il “desiderio”: il tendere verso un piacere dei sensi complesso che né ignora né disdegna il dispiacere e il dolore e ama l’inconsueto. Figlio della povertà (Penìa) – non è proprietario di ciò cui anela – e della capacità di individuare e attraversare gli ostacoli, trovando i passaggi (Poros), il desiderio conosce l’incertezza e il rischio, vive nella trasformazione della materia psicocorporea – che, al tempo stesso, promuove – e nel rispetto profondo dei suoi oggetti (anche quando sono inanimati), con l’idioma dei quali deve costantemente concertarsi.
Il venire meno del gioco delle differenze con il suo oggetto, la staticità e la ripetitività del rapporto con esso, che lo trasforma in possesso puro, portano il desiderio all’assuefazione e all’estinzione. Il desiderio necessariamente insegue la differenza: sia nel senso della molteplicità delle declinazioni con cui si sviluppa la sua relazione con un oggetto desiderato sufficientemente costante, sia nel senso della ricerca di nuovi oggetti che allargano e arricchiscono lo spazio dell’esperienza.
È la necessità di mantenere viva la differenza, il che comporta l’accettazione del senso di mancanza e l’elaborazione del lutto, che spinge il desiderio sulla strada della sua sublimazione: l’estensione del piacere dei sensi ben oltre la continuità sensoriale e l’incontro tra i corpi. Il piacere sensuale profondo non potrebbe mai mantenersi e svilupparsi restando nell’ambito della pura corporeità, senza la quale peraltro si spegnerebbe. Si espande e si affina raggiungendo forme potenziali, sperimentali fino alla possibilità di godere della propria capacità di sentirsi vivi e desideranti, in grado di sorprendersi e di meravigliarsi. Il piacere sensuale sublimato e il piacere sensuale sessuale si sorreggono a vicenda, creando la dimensione erotica della vita, presente in ogni forma di appagamento autentico, anche nelle esperienze più “intellettuali” o “mistiche”.
DESIDERIO
Sul piano del desiderio (sessuale o sublimato) le relazioni umane sono necessariamente paritarie: la parità è la premessa del mantenimento delle differenze e della libertà che rende l’appagamento possibile. La prospettiva cambia radicalmente nel campo del bisogno. La logica del bisogno è nella sua essenza quantitativa: l’appagamento consiste nella scarica di una tensione e il piacere si realizza come liberazione che crea sollievo. Dove regnano i bisogni gli esseri umani sono ineguali: per risorse, mezzi e capacità. Nella relazione di desiderio l’altro è sempre un soggetto rispettato nella propria libertà e differenza. Desiderio e bisogno seguono logiche antitetiche, costituiscono una delle antinomie che abitano l’uomo, ma sono interdipendenti. Il desiderio si inibisce se la struttura psicocorporea è sottoposta a tensioni sgradevoli e il bisogno si appaga in modo puramente difensivo, se l’appagamento non è guidato dall’intelligenza del desiderio che, inseguendo la differenza, si apre alla conoscenza della realtà e al sapere vero.
Il rapporto tra desiderio e bisogno riesce a funzionare armonicamente nell’ambito di una necessaria complementarità se ad avere l’egemonia è il primo. Quando la soddisfazione dei bisogni è guidata dal desiderio, è più ragionevole, perché tiene conto della realtà, assume un aspetto di cura di sé e dell’altro, che altrimenti le è estraneo, e acquista maggiore consistenza e complessità. Quando l’appagamento del bisogno diventa dominante nella nostra vita, la sua impostazione difensiva (di liberazione dalle tensioni psicofisiche) può centrare la nostra esistenza sulla sicurezza e sulla stabilità e favorire una chiusura nei confronti della realtà che compromette il nostro rapporto con essa. Nel mondo in cui viviamo ci sono risorse, mezzi e capacità per garantire una vita materiale decente a tutta l’umanità, se nelle relazioni di scambio ci fosse un accettabile livello di parità, ma ciò è osteggiato in modo deciso e inequivocabile da un’organizzazione sociale che riflette rapporti di potere e di sfruttamento. Questa organizzazione della società, la cui forma più avanzata è il capitalismo, non è il derivato di un “istinto” di sopravvivenza biologica, il principio ideologico da cui discende il privilegio dato ai bisogni materiali a cui la sinistra spesso non ha saputo sottrarsi. In realtà l’essere umano mette al primo posto la sua sopravvivenza psichica: il persistere della sua capacità di dare senso, costi quel che costi, alla propria esistenza. Tutte le volte che ciò non è possibile (o è possibile solo in modo irrazionale, delirante) si comporta in modo che può mettere in grave pericolo la propria integrità fisica e perfino la propria vita e/o quella degli altri. Un assetto psichico difensivo, contratto è responsabile della nostra incapacità di prendere cura della nostra salute fisica, di difendere la natura, di cooperare per la soddisfazione dei nostri bisogni.
Di qualsiasi natura siano le complesse cause (economiche, politiche, etico-culturali) che la determinano, la precarietà delle relazioni di scambio (direttamente proporzionale alla loro ineguaglianza) è la causa di una rappresentazione della realtà diffidente, puramente conservativa, chiusa in se stessa che inerzia il tessuto psichico, deprime la sua mobilità, lo dissocia dal corpo gestuale dei sensi e lo sottopone alla tirannia di schemi mentali che semplificano l’esistenza e la riducono a comportamenti prestabiliti.
Lo sfruttamento degli esseri umani si fonda sulla loro riduzione in corpi biologici, psichicamente inerti, per i quali la cosa importante è la capacità performante, l’agire meccanico e ripetitivo, che funziona come adattamento a un modello omeostatico del vivere che cerca la stabilità ad ogni costo. Il mantenimento di uno stato di esistenza tendente al puramente anatomico, biochimico e neurofisiologico – necessariamente depressivo, angosciante sul piano affettivo – implica un sostegno antidepressivo e calmante, la creazione di una realtà psichica artificiale basata sull’alternanza di eccitazione e scarica.
La costruzione sociale di automi, che sempre di più si impone, silenziosamente, come meccanismo dominante le nostre sorti – sfruttando tutte le forme di indolenza, astensione dal vivere, che usa come strumento di propagazione e, insieme, promuove – ha il potere di una auto-riproduzione perpetua che le conferisce una qualità anestetizzante e la rende perversamente rassicurante.
È nel modo di gestire il fenomeno della migrazione che la sua influenza mortifera produce i suoi effetti più negativi per il nostro futuro. Sposta invisibilmente l’opposizione al rigetto e alle logiche espulsive (terreno di cultura delle pratiche di sfruttamento selvaggio) verso la sola accoglienza “umanitaria”, da una parte sacrosanta, dall’altra il minimo indispensabile. Restando nel campo puramente “umanitario”, si rischia di essere prigionieri della logica del bisogno e del soccorso che hanno la loro ragione di essere nell’emergenza, ma non possono diventare la regola, trasformare una gestione provvisoria in stato di cose permanente.
I diritti di carattere umanitario non coincidono con “i diritti umani”. I primi sono concessioni sul piano materiale, che evitano a chi le fa il crimine di “omissione di soccorso”. I secondi sono fondati sul desiderio (e di conseguenza sul rispetto della libertà/differenza, parità/uguaglianza e fraternità degli esseri umani), sono al di sopra di ogni ordinamento giuridico e sono universali: valgono per tutti o non valgono per nessuno.
Se non riusciremo a stabilire con i migranti relazioni vere di scambio – cioè sul piano erotico, affettivo e culturale – che danno al lavoro e alla produzione di benessere psicocorporeo un significato creativo, il processo di globalizzazione/omologazione selvaggia delle differenze ci travolgerà, la macchina biologica si approprierà dell’essere umano.