Il Manifesto, 30 marzo 2019 Il cinema, il tempo e il mondo di S. Thanopulos e N. di Majo
Il Manifesto, 30 marzo 2019
Il cinema, il tempo e il mondo
Verità nascoste. «Si creano le condizioni per un indagine psicologica che diventa messa in questione della memoria. Crea uno spaesamento come nel sogno, come in una seduta dall’analista».
di Sarantis Thanopulos, Nina di Majo
Il Manifesto
30 marzo 2019
INTRODUZIONE: Dall’inizio del secolo scorso il cinema, grazie anche al suo potere attrattivo, ha avuto la funzione di raccontarci l’uomo all’interno del suo tempo e del mondo. Una narrazione lineare che è diventata in seguito visione di un mondo interiore capace di sospendere il tempo per aprire lo sguardo verso una realtà più profonda e riflettere su di essa. Sarantis Thanapulos e Nina Di Majo si interrogano sul cinema come luogo della rappresentabilità ma anche come strumento di evasione dalla complessità della realtà. (Maria Antoncecchi)
Sarantis Thanapulos, psichiatra, psicoanalista, membro ordinario della Società Psicoanalitica Italiana con funzioni di training.
Nina Di Majo, regista attrice e sceneggiatrice
Il Manifesto, 30 marzo 2019
Il cinema, il tempo e il mondo
Verità nascoste. «Si creano le condizioni per un indagine psicologica che diventa messa in questione della memoria. Crea uno spaesamento come nel sogno, come in una seduta dall’analista».
di Sarantis Thanopulos, Nina di Majo
Nina di Majo: «Il cinema, dalla sua nascita, dai fratelli Lumière a Ernest Lubitsch, anzitutto attraverso l’opera di Alfred Hitchcock e, successivamente, il “neorealismo” italiano, trova un modo nuovo di narrare l’Io. Il mondo diventa, da spazio all’interno del quale poteva (“doveva”) dispiegarsi un’azione, spazio di interrogazione profonda della realtà stessa: l’immagine perciò perde il suo legame fondamentale col movimento, smette i panni di immagine-movimento per farsi definitivamente immagine-tempo.
Il cinema spezzando tutti i legami senso-motori che sino ad allora avevano informato ed ispirato l‘immagine, rimette in discussione lo strutturarsi dell’esperienza. Il tempo è frammentato, giustapposto, diacronico eppure sospeso, astratto, eterno. La sua linea retta, che costituiva l’essenziale della narrazione, si sfalda, si spezza, e sgretolandosi spazza via il senso esistente, creando le condizioni per un indagine psicologica che diventa messa in questione della memoria. Crea uno spaesamento come nel sogno, come in una seduta dall’analista».
Sarantis Thanopulos: «Il cinema è imitazione d’azione, come il teatro (a partire da quello tragico), ma in esso l’imitazione si estende alla tridimensionalità, lo spazio nella sua realtà percettiva. Il tempo lineare è strettamente legato alla tridimensionalità, quindi come l’imitazione dell’azione sospende la sua effettività, la apre a altre possibilità e sviluppi, così anche l’imitazione della tridimensionalità sospende la linearità temporale. Ben inteso se il cineasta, non si limita a produrre una pura e semplice finzione, un’illusione come mezzo di evasione.
Tra un film di qualità e un film di basso livello, passa la stessa differenza esistente tra un sogno e la fantasia a occhi aperti. Nel primo c’è una sospensione dell’effettività dell’azione e della temporalità, un’astensione temporanea dal giudizio e dalla memoria come storia di eventi, che per certi aspetti la seduta analitica deve riproporre. Nella secondo l’azione è virtuale, la memoria e il tempo sono fermi, in stato di congelamento, e il pregiudizio, nei confronti del desiderio, domina la scena».
Nina di Majo: «Come se nel cinema d’evasione più che la sospensione del giudizio, che amplia lo spazio del pensiero e delle emozioni, ampliando lo spazio dell’esperienza, ci fosse un pregiudizio nei confronti del desiderio, del lasciarsi andare, dell’esporsi all’inconsueto, la sorpresa, la scoperta. Nei cine-panettoni si costruisse uno schema rassicurante che lascia tutto immutato, immobile, che anestetizza la nostra sensibilità e la nostra curiosità, che gratifica la superficie dei nostri sentimenti. Uno schema consolatorio che utilizza i luoghi comuni. C’è una profonda crisi, riguardante la definizione della politica, la definizione della democrazia, che ricade sul come il cinema rappresenta il mondo. Esso mette in scena un mondo globalizzato per lo più popolato da soli uomini, o da bambole di plastica, mentre la realtà vive di contraddizioni, emarginazioni, fragilità, forme di aggregazioni arcaiche, di “melting pot”, e di “integrazioni non riuscite”».
Sarantis Thanopulos: «Credo che tu Nina, donna impegnata con passione nel cinema, sappia meglio di me come il maschilismo tuttora lo domini e quanta plastica brilli sulla sua superficie. Non c’è da stupirsi di una sua impermeabilità alla femminilità: essa ama la profondità, mescola le carte, vive bene nelle culture meticce. Il cinema vive una contraddizione lacerante: da una parte è luogo di un Io narrante/narrato eccentrico al suo centro di gravità, insieme attuale e inattuale; dall’altra, è specchio di un Io che cerca nell’immagine chiusa in se stessa l’illusione di esistere veramente».