IL GIORNALE DI SICILIA 27/10/2015
LO PSICOANALISTA “ PIU’ CONOSCE IL PROPRIO SUBCONSCIO, PIU’ SARA’ BRAVO COL PAZIENTE”
INTRODUZIONE: intervista a Fernando Riolo, presidente della Società Psicoanalitica Italiana fino al 2009, che illustra il significato e il valore di alcuni strumenti fondanti della psicoanalisi, quali il transfert, e soprattutto il contro-transfert, tema dell’VIII colloquio di Palermo. (Silvia Vessella)
IL GIORNALE DI SICILIA 27/10/2015
INTERVISTA DIANTONELLA FILIPPI
“Du coté de chez l’analyste, ovvero dalla parte dell’analista, potrebbe essere il sottotitolo di questo VIII Colloquio sul controtransfert”, afferma Fernando Riolo, psicoanalista palermitano e presidente della Società Psicoanalitica italiana fino al 2009. “E’ la prosecuzione di un percorso iniziato quasi quarant’anni fa con la nascita dei “Colloqui di Palermo”.
Il tema d’esordio del primo Colloquio di Palermo, nel 1978, riguardò il paziente in quanto soggetto e oggetto del lavoro analitico.
“Appunto. Il portato rivoluzionario della psicoanalisi, rispetto alla psichiatria, anche quella contemporanea, non è tanto la scoperta dell’inconscio, quanto la dissoluzione delle categorie contrapposte di inconscio e coscienza, di sanità e malattia, e dunque di analista e paziente. La scoperta, cioè, che colui che patisce e colui che cura sono uguali. E che solo in quanto patisce le medesime cose, colui che cura può essere capace di comprenderle, e quindi di curare. Oggi completiamo quel percorso dalla parte dell’analista, poiché ciascuno dei due è, al tempo stesso, soggetto e oggetto dell’analisi”.
Prima di addentrarci nel controtransfert, spieghiamo cos’è il transfert?
“Il transfert non è, come nei film e nelle barzellette, il paziente che si innamora dell’analista, è il modo in cui pulsioni e modi di difesa inconsci costituiti nella vita infantile, si ripropongono continuamente nella realtà presente determinando i nostri comportamenti, le nostre relazioni e reazioni. E’ una forma di ripetizione. In questo senso il transfert non è un fenomeno proprio dell’analisi, è un fenomeno universale – tutti facciamo continuamente transfert dal passato al presente e da ciò che è dentro di noi a ciò che è fuori di noi. Perché tutto quello che in noi abbiamo rimosso, rifiutato, escluso, sempre ritorna nella nostra realtà. Il transfert costituisce per l’analisi uno strumento indispensabile, poiché nel ripresentare quei modelli nella relazione con l’analista, li rende vivi e suscettibili all’influenza dell’analisi, consente cioè di ricondurre quei transfert presenti ai loro significati originari, in modo da sottrarre il paziente alla coazione a ripetere della nevrosi”.
Il controtransfert allora è l’equivalente del transfert per l’analista?
“Esatto, è la risposta dell’inconscio dell’analista a quello del paziente e, come tale, pone per l’analista un nuovo compito, quello di analizzare se stesso. Lo spiegherò con un esempio. Possiamo paragonare l’analisi a un sistema trasmittente-ricevente: come le onde radio provenienti dall’apparato trasmittente devono essere tradotte dall’apparato ricevente in messaggio sonoro, così l’inconscio del paziente che trasmette deve essere tradotto dall’analista in un messaggio udibile alla coscienza. Ma per far questo l’analista deve poter separare il “segnale” proveniente dal paziente dal “rumore” proveniente dal proprio inconscio. Ecco, il contro-transfert è il rumore dell’inconscio dell’analista, che rischia di confondere o rendere inudibili i segnali del paziente”.
Per questa ragione, inizialmente, fu considerato un ostacolo.
“Una difficoltà per l’analisi. Il che è vero, se induce la proiezione sul paziente di emozioni e aspetti irrisolti dell’analista, deformando la sua visione dell’altro. Freud lo definì uno scotoma, una macchia cieca dell’analista: nessuno, disse, può vedere più in là di quanto non sia capace di vedere in se stesso. Questa è la ragione della prescrizione dell’analisi a chi vuol fare questo mestiere”.
Condizione necessaria ma non sufficiente, si direbbe in matematica…
“Aver fatto un’analisi non basta, c’è bisogno di un lungo addestramento e di un lavoro costante di auto-analisi che accompagni la pratica nel tempo. Lavoro spesso disatteso, il che conduce gli analisti, come diceva ancora Freud, a ritenere se stessi immuni da ciò che vedono nei loro pazienti. La conseguenza è che ciò che non è riconosciuto viene “agito”, sotto forma di interpretazioni selvagge, condotte terapeutiche attive, interventi sulla realtà esterna del paziente, coinvolgimenti personali. Come si vede con tante psicoterapie, che pur con le migliori intenzioni, si risolvono in disastri”.
Qual è oggi l’importanza del controtransfert.
“Oggi non consideriamo più il controtransfert solo come un ostacolo. La sua importanza sta nell’aver spostato la visione dell’analisi da una pratica che ha come unico oggetto il paziente, a una che ha come oggetto il campo costituito da due soggetti, dei quali è necessario comprendere l’interazione. Ciò non vuol dire che questo campo sia simmetrico: paziente e analista sono sulla stessa barca e dipende da entrambi se riusciranno a giungere in porto o faranno naufragio. Ma per governarla devono attendere a compiti diversi, ciascuno deve svolgere la propria funzione”.
Quindi è diventato uno strumento utile per l’analisi…
“Utile, in alcuni casi, per incontrare il paziente, ma va calibrato. Una delle questioni che affronteremo in questo Colloquio è quella della progressiva estensione dell’uso del controtransfert a strumento con cui condurre l’analisi. Lo scopo dell’analisi è, e rimane, la comprensione del mondo del paziente. E’ necessario distinguere perciò tra ciò che, appartenendo a lui e a me, riguarda entrambi, e ciò che appartenendo a uno soltanto conduce al fraintendimento di entrambi”.
Una grande fatica…
“La sola differenza tra l’analista e il paziente sta nell’allenamento. L’analista è allenato a questo lavoro di contatto con se stesso. Più il contatto con il proprio inconscio è ampio, più sarà capace di analizzare di analizzare l’inconscio del paziente. E questo è il lavoro del controtranstert”.