LA VICINANZA DEGLI OPPOSTI. CONVERSAZIONI (QUASI) JUNGHIANE
POL.IT – PSYCHIATRY ON LINE 12 luglio 2016
LA VICINANZA DEGLI OPPOSTI.
CONVERSAZIONI (QUASI) JUNGHIANE. LE MADRI MODERNE, LE MADRI SURROGATE
INCONTRO CON SILVIA VESSELLA
Di Valeria Bianchi Mian
INTRODUZIONE: POL.it – psychiatry on line, nella sezione coordinata dalla collega junghiana Valeria Bianchi Mian , pubblica una intervista a Silvia Vessella, membro della Società Psicoanalitica Italiana. La nostra collega, che ha da poco varato per spiweb un nuovo dossier “Maternità surrogate”, si propone di analizzare il tema “Madre” oggi, ai tempi delle nuove maternità e genitorialità. La sua è una ricerca sugli sviluppi possibili per il soggetto, la società e la civiltà, e in favore di un’indagine approfondita, a più voci e su più fronti. (Jones De Luca)
Questo il link: http://www.psychiatryonline.it/node/6337
“La vicinanza degli opposti” è nata un anno fa. All’interno della rubrica potete trovare articoli che esplorano il mondo contemporaneo con le sue luci e con le sue ombre. Uno spazio particolare è stato dato al tema “maternità surrogata” analizzato in un’ottica junghiana, a partire da alcune considerazioni scaturite da quel terremoto in Nepal che portò alla luce la vera e propria tratta di madri-utero, passando per le riflessioni delle due colleghe psicologhe analiste con le quali ho partecipato al Congresso Internazionale IAAP e con le quali ho scritto un libro dal titolo “Utero in Anima”, fresco di stampa per Lithos Edizioni. Una delle tappe più importanti di quest’anno, relativamente all’argomento GPA e “nuove maternità” è stata la mia compartecipazione al “DOSSIER” organizzato da Silvia Vessella per il sito della Società Psicoanalitica Italiana.
Una partecipazione che ha permesso il confronto multidisciplinare con analisti di formazioni differenti, con medici, con giornalisti e scrittori interessati a comprendere le dinamiche di questo business mondiale.
http://www.spiweb.it/dossier-spiweb/921-maternita-surrogate
Silvia Vessella è Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana. Al suo interno fa parte della redazione di Spiweb, il Sito della Società, ed è responsabile delle sezioni “Dossier” e “Rassegna stampa”. L’ultimo dossier che ha curato è: “Maternità surrogate”
VB – Benvenuta in “Conversazioni junghiane”, Silvia, e grazie per il prezioso lavoro di condivisione di pensiero scientifico realizzato con tutti i “dossier”, e soprattutto, nello specifico, quello sul tema “maternità surrogate”. Come è stata l’organizzazione della ricerca e quali credi siano le tue prossime mete?
SV – Il compito che mi sono proposta con i dossier di Spiweb è stato quello di aprire un dialogo con altri saperi alla ricerca di una conoscenza più profonda della attuale complessità sociale, della crisi e del disagio individuale.
A rivederla oggi la sequenza dei dossier ha una logica precisa. Abbiamo iniziato analizzando le questioni femminili, la violenza sulle donne, il femminicidio, partendo dalle esperienze cliniche allo scopo di contribuire a comprendere il presente. Di seguito i dossier si sono occupati di argomenti apparentemente più politici, quelli del lavoro e della crisi, rilevandone l’interesse specifico per la psicoanalisi, perché riguardano da vicino il senso di sé, l’identità dell’individuo, la sua identità sociale, e come i due piani s’intersecano. Così sono nati i dossier sulla crisi, le catastrofi sociali, le guerre e il terrorismo, l’Ecologia, il Creato. Le biotecnologie intanto hanno scompaginato e messo in discussione tutte le certezze, compreso il rapporto con vita e morte. Tutto molto velocemente, ma proprio per questo la capacità di riflessione deve affinarsi per non essere seconda alla velocità dei cambiamenti, ai Fatti nella loro concretezza e assertività. Le catastrofi climatiche come sono vissute dall’individuo, quali altre catastrofi psicologiche inducono? E poi: le nuove scoperte delle biotecnologie come cambiano ciò che intendiamo oggi con Creato e con creatore? Quali le prospettive future? Come può lo psicoanalista intervenire? Molte cose sono cambiate nel tempo e sono scomparse molte “differenze”. Possiamo partire da lontano (per l’Italia). La presa di distanza dal matrimonio riparatore, il divorzio, l’aborto: sono state battaglie civili che hanno segnato la messa in discussione dei vincoli cosiddetti “naturali” (matrimonio e destino procreativo della donna). Sono state il risultato di altre/precedenti battaglie civili intorno alle quali si è aggregato il consenso sociale, trasversale, sia femminile sia maschile con lunghi dibattiti ed elaborazioni, pur essendo rimasti temi emotivamente caldi. Non intaccavano i pilastri del credere socialmente condiviso, si dichiarava di scegliere il male minore (ricordo ad esempio l’aborto). E liberavano la donna da una sudditanza ormai non più realistica. Sono caduti poi i muri maschio – femmina, assorbiti, in una differenza resa più complessa, dal “genere”. Le neuroscienze di pari passo sono in grado di descrivere come natura e cultura in ciascuna “mente” si combinino e rilevano quanto la coscienza possa essere un indicatore parziale. Internet ha messo in contatto tutto e tutti simultaneamente e velocemente. E’ nata una nuova cultura che sembra muoversi sulla superficie ma lascia i suoi segni. Il terreno delle esperienze e delle memorie appare sempre più complesso e scivoloso.
VB – Hai voglia di raccontarci qualcosa circa il punto di vista psicoanalitico e le differenze che hai riscontrato con altri colleghi di altri approcci teorico-clinici rispetto al tema in questione?
SV – Un cambiamento di vertice a favore di un dialogo fra le varie correnti di pensiero all’interno della stessa disciplina e di confronto-incontro con i diversi saperi porta in primo piano uno spirito cooperativo e di contaminazione, e allontana da una lotta per la prevalenza piramidale di un solo punto di vista, di una Verità. Si indaga la complessità. L’importante è non prendere tutto per buono “anything goes”, guardare le cose in prospettiva, e non confondere i linguaggi, perché ciascuno illumina una parte e tutti convergono verso un’immagine complessiva. Nei dossier, che hanno visto l’apporto di altre professionalità, giornalisti, biologi, sociologi, economisti, esperti militari, fotografi, questo è avvenuto. Dopo l’incontro e l’ascolto, sentendosene arricchiti, ciascuno riprende la propria strada. A volte si converge su posizioni simili come è stato rispetto al tema della GPA per molte donne.
VB – Re-visione delle certezze su ogni piano del mondo contemporaneo: la sfida attuale alla psicoanalisi e alle terapie del profondo. Trovo che tutti noi ci potremmo riconoscere in una messa in discussione comune, anche di fronte alla “allettante” offerta di rapidi corsi per allenarsi al benessere. Diciamoci la verità: è davvero crisi?
SV – Sul tema della ” crisi”, e nello specifico quella della psicoanalisi, oggi posso dire che, invece che una catastrofe, essa ha prodotto un ampliamento di campi di ricerca precedentemente meno frequentati, che la psicoanalisi può offrire come contributo alla comprensione del presente. Il nostro lavoro ci mette di frequente davanti a situazioni di crisi individuali, che chiedono soluzioni immediate, ma siamo anche consapevoli che la ricerca di un nuovo equilibrio necessita di riflessione e profondità di analisi. Allo stesso modo il dramma sociale può portare, se osservato nel modo giusto e senza chiusure ideologiche, a soluzioni evolutive. Credo ad esempio che il dibattito sulle nuove maternità abbia toccato l’ombelico della costruzione della nostra società: perciò ne è nato un dibattito che vede posizioni così accese. Questo avviene perché con la centralità della maternità “naturale” vacilla la nostra costruzione sociale, basata su un’organizzazione a tre vertici, madre – padre – figlio. È il punto d’origine in buona sostanza dell’illusione di essere artefici del Creato, che ha nutrito costruzioni mitologiche, molte delle attuali metafore religiose e con le sue sicurezze ha altresì permesso tante avventure della mente e altrettante scoperte scientifiche. Oggi siamo in mezzo a un guado difficile. Intanto quella ad esempio della “maternità surrogata” appare solo come una fase di passaggio verso la costruzione (o creazione) di un utero artificiale, che sostituisca quello umano. La mia non vuol essere una crociata contro la scienza. La ricerca scientifica già ha prodotto inserti estranei, a volte meccanici, ma vitali, nel corpo. Non possono che essere accolte positivamente nuove scoperte, ma contemporaneamente non possiamo sottrarci ai molti interrogativi, anche sulla reale utilità presente e sulle evoluzioni possibili, suscitate dalle nuove frontiere biotecnologiche. E su questi temi la psicoanalisi ha molto da interrogarsi e da dire. Intanto la nostra disciplina, attraverso le esperienze cliniche sui guasti prodotti dalle esperienze adottive che eclissavano la madre naturale, ha già contribuito nel suggerire al legislatore di non interrompere il cordone colla propria Origine. Perché quindi non mettere a frutto le evidenze su alcune patologie quali anoressia e bulimia così diffuse oggi? Un benefico clima di libertà generalizzata, che, insieme a un ritrovato spazio per propri vissuti più intimi, rende possibile nuove sperimentazioni. Come si può conciliare questo clima con il trionfo di una società anoressica col mito del corpo e dell’apparire? A mio parere non si è sufficientemente valutato il sovraccarico psicologico, il senso di vuoto e di solitudine, legato al vacillare o all’assenza di riferimenti certi. L’assenza o la carenza di basi sicure di riferimento lascia spazio a una volatilità pericolosa, così come accade nelle sofferenze dei disturbi alimentari o degli attacchi di panico, o in talune dipendenze.
Gli analisti, sempre attenti alle variabili individuali e ai legami tra i vari aspetti del Sé, sono consapevoli che, quando saltano tutti gli equilibri, il movimento nello spazio psichico, oltre che sociale, diviene caotico. È necessario allora allargare il campo d’indagine, immergendosi in territori più primitivi della mente e con meno coordinate temporali. È fondamentale allo scopo di dare ascolto a tutte le voci, dare spazio disegnando ponti, includendo “scarti”, alla ricerca di una ridefinizione del dimensionamento psichico, di un nuovo equilibrio nel sentire, nelle esperienze e nel vissuto personale e sociale. Tutto questo come si coniuga con la libertà del “posso fare tutto quello che voglio”? Questa rincorsa a superare ogni limitazione e regola sembra indirizzare verso organizzazioni sociali in cui i molti hanno da offrire solo il proprio corpo (si vedano le maternità surrogate), mentre pochi altri ne accumulano i frutti. E cosa avviene negli individui? Monitorare la nostra attuale realtà diviene pertanto indispensabile, insieme alla ricerca di un dialogo aperto verso Il futuro, accompagnato da una riflessione che valuti da un lato la tenuta globale e dall’altro il costo per singolo e collettività.
VB – Facciamo qualche considerazione finale sul tema, sul Grande tema della “Madre”?
SV – Come nella società anche nel singolo, se i legami tra gli spazi psichici sono disfunzionali si vive uno stato di sofferenza. Manca una base sicura da cui partire per le proprie esplorazioni e costruzioni nel mondo. Abbiamo in passato lavorato molto sulla relazione madre-bambino, sin da quando il figlio sta solo nella mente di una donna o di un uomo, nel periodo prenatale, e poi oltre. Abbiamo qualcosa da dire sui cambiamenti proposti all’interno della questione “istinto materno” e sugli interrogativi sia individuali sia sociali che ne discendono. Ma allo stato attuale, se prima maternità e genitorialità in linea di massima convergevano sulla coppia maschio – femmina, le biotecnologie hanno cambiato le forme della maternità. La tecnica ha mutato la società. Le vicende delle “madri surrogate” ci interrogano su come cambiano i vissuti e le fantasie rispetto al pensare un figlio, alla gravidanza e anche sulla conseguente presa in carico del loro accudimento, e sulle nuove genitorialità. Cambiano in maniera sostanziale le narrazioni e le prospettive future, di cui il pensiero non può che occuparsi. Sono chiaramente coinvolte etica e legge. Ma le donne e gli uomini come rispondono a tutto ciò? Voglio sottolineare che la sfida è quella della sostenibilità individuale e sociale, non il lanciare un anatema contro la scienza o la religiosità né un inno al presente. Dietro i comportamenti verso la donna c’è un discorso globale, e se ne traggono esempi, in modi diversi, validi in ogni latitudine e in ogni tempo. Penso alle mutilazioni genitali, la lapidazione per reati sessuali, il femminicidio, e (aggiungerei) la pratica delle maternità surrogate. Sembra che il peso e le responsabilità per le crisi delle civiltà e quelle sociali/culturali, e insieme per i limiti e i vincoli del corpo pesino sulle parti supposte deboli.
In un articolo interessante Giancarlo De Cataldo su Repubblica dell’11 giugno 2016 si interroga sul perché le donne conquistano sempre maggiori spazi di libertà, ma non diminuiscono i femminicidi. Il quesito è legittimo. Lo scrittore si chiede perché il violento che picchiava la moglie poi dichiara che “non lo sapeva neanche lui il motivo, oppure perché dopo il gesto gli autori di femminicidio si dichiarino pentiti. Aggiungo che bisognerebbe anche chiedersi perché spesso al femminicidio sia legato il figlicidio. Siamo di fronte ad una Medea al maschile?
Ormai è chiaro che l’identità individuale è definita dalla convergenza nella soggettività di aspetti individuali, intersoggettivi, sociali e culturali e dai loro legami; ma i cambiamenti caotici cui assistiamo, spesso troppo veloci, non sono ben sedimentati nel singolo, divenendo un dover e voler essere, un come ci si vuole vedere e si vuole essere visti, e non in un qualche equilibrio con come ci si senta profondamente. A volte lo scarto tra questi spazi psichici è enorme e spesso nascosto dietro certezze e sicurezze poco radicate. Le donne oggi hanno le proprie difficoltà nel conoscersi e riconoscersi e molteplici ne sono i segnali. Le nuove identità, le nuove genitorialità, gli uteri in affitto, i movimenti childfree collegati con la crescita zero, e sul piano sociale il culto del denaro, la rincorsa della giovinezza, della magrezza all’osso, l’idolo del potere, l’allungamento degli orari di lavoro e la scomparsa del raccordo con la generazione precedente, malamente possono dialogare all’interno del sé con un desiderio di coerenza emotiva e creatività vissuta.
Anche l’uomo ovviamente ha le sue difficoltà. Insoddisfatto spesso del ruolo sociale, vittima d’irraggiungibili stereotipi sessuali e economici, è costretto a una vita reale spesso insoddisfacente, molto al di sotto degli esempi pubblicamente offerti, sempre più virtuali e sempre più lontani da possibili progetti realizzabili. Lo scarto, in entrambi, tra le immagini ideali, deposte nell’intimità, e quelle sociali ben esibite e la realtà vissuta, può divenire enorme. A fronte della perdita di quell’apparire, a volte a causa di un abbandono amoroso, a volte se scopriamo le nostre limitazioni, può apparire più semplice negare un’evidenza. È un tentativo di scotomizzare una realtà difficilmente elaborabile quello che le cronache ci restituiscono. La pratica della maternità surrogata appartiene a tale ordine di Fatti. Vendere il frutto della propria maternità è un tentativo di esautoramento totale di sé e della propria intimità, nell’idea falsa di liberarsi o di poter fare a meno dei vincoli e dei limiti depositati nel corpo, il tentativo di raggiungere la libertà come per le anoressiche, di reificare la capacità creativa, rendendola merce e non essenza qualificante. Non è un attacco alla scienza, ma al suo uso. Credo sia saggio interrogarsi da più vertici sui modi e sui fini; una visione ecologica dal mio punto di vista è l’unica via possibile.
VB – Grazie per i tuoi preziosi contibuti