Cultura e Società

La tv in analisi, L’UNITA’, 26 ottobre 2013

28/10/13

Unità 26 ottobre 2013

LA TV IN ANALISI

Il lettino e la fiction

Gli psicoanalisti della SPI recensiscono la serie televisiva «In Treatment»

INTRODUZIONE: Roberto Goisis in quest’articolo dà conto di un’esperienza interessante degli  psicoanalisti della Società Psicoanalitica Italiana che quest’anno hanno recensito la fortunata serie televisiva trasmessa su SKY.  Proprio oggi all’Università la Bicocca si festeggiano i cinquant’anni di vita del Centro Milanese di Psicoanalisi. (Silvia Vessella)

UNITA’ – 26 ottobre 2013

PIETRO ROBERTO GOISIS

Psichiatra – Psicoanalista Spi

«VOGLIO SAPERE, VOGLIO VEDERE DAVVERO QUEL- LO CHE SUCCEDE DENTRO QUELLA STANZA!», «Ma cosa vi dite quando vi incontrate? Di cosa parlate per 45 minuti?». Al di là di un fisiologico bisogno voyeuristico, questo desiderio accomuna molte persone e molti psicoanalisti. È legittimo. Chi vuole andare in terapia ha bisogno di avere un’idea di cosa accade. Tra noi psicoanalisti, per confrontarci con sincerità, è necessario sapere cosa diciamo.

In Treatment, senza mai dimenticarci che è in primo luogo uno sceneggiato che parla della vita di un terapeuta e dei suoi pazienti e, solo di conseguenza, parla di psicoterapia, tra le tante funzioni ha assolto anche a questo compito. Onorario compreso.

La serie trasmessa su Sky nasce in realtà in Israele nel 2005, Be Tipul, dove ha ottenuto un grande successo di pubblico e critica (e di interesse per la psicoanalisi – con un significativo aumento delle richieste di trattamento presso i colleghi israeliani). Il format venne poi ripreso anche dall’edizione Hbo che è uscita nel 2008. Nello stesso anno uscì la seconda serie israeliana, nuovamente replicata negli Usa nel 2009, dove nel 2010 è stata trasmessa la terza e, per ora, ultima serie. La prima serie è stata poi replicata finora in altri tredici Paesi del mondo. In Italia nel 2013.

Ne è stato artefice e ideatore Hagai Levi, israeliano, figlio di una famiglia italiana, regista, scrittore e produttore, con esperienze di psi- coterapia fin da bambino. Al suo fianco ha lavorato fin dall’inizio Nir Bergman, regista e sceneggiatore israeliano, in analisi in quel momento. Il loro progetto si è infine avvalso della collaborazione come consulente di Roni Baht, israeliano, psicologo clinico e psicoanalista a orienta- mento relazionale.

Ci sono state varie occasioni nelle quali i tre protagonisti si sono confrontati con il pubblico e con gli specialisti. È stato ad esempio sottolineato lo stretto apparentamento che esiste tra il lavoro «maieutico» dello sceneggiatore e quello del terapista. Secondo Levi, sotto certi aspetti, il lavoro dello psicanalista e quello dello sceneggiatore sono molto simili, perché quest’ultimo cerca di comprendere le motivazioni del suo personaggio esattamente come il terapista tenta di scavare nel profondo dei suoi pazienti. L’unica differenza è che lo sceneggiatore compie un lavoro di costruzione sui personaggi, mentre lo psicanalista deve invece decostruire il comportamento del paziente. Senza dimenticare che nel prodotto finito sono innumerevoli e varie le figure coinvolte. Ad esempio penso che il montaggio svolga in questa serie televisiva un lavoro fondamentale, più che in ogni altra serie. È proprio il montaggio, infatti, che dà un taglio cinematografico alle scene e che ha permesso di ricreare il linguaggio non verbale dei personaggi, come l’incontro di sguardi e il gioco dei movimenti che si scambiano durante le sedute. Per la serie originale è stato scelto un luogo chiuso – lo studio del terapista – che però fosse attiguo alla sua abitazione, in modo da dare l’idea di una possibile contaminazione tra vita personale e professionale. Al tempo stesso si tratta di un luogo che non è mai completamente ermetico, ma si apre in ogni puntata verso l’esterno.

Nel format della versione italiana è mostrato uno psicoterapeuta di mezza età, Giovanni, noto e rispettato nel suo ambiente professionale, al lavoro con alcuni suoi pazienti. Il lunedì con Sara, una giovane e affascinante anestesista in difficoltà nelle relazioni sentimentali; il martedì con Da- rio, un carabiniere in congedo provvisorio dopo aver svolto una missione segreta dagli esiti drammatici; il mercoledì con Alice, una adolescente, giovane promessa della danza, alle prese con una sindrome post-traumatica; il giovedì con Pietro e Lea, una coppia in crisi da molti punti di vista. Il venerdì, infine, con un vero e proprio colpo di scena, ci troviamo a conoscere il lato debole dello psicoterapeuta, mentre va a parlare con una collega, Anna, per quella che è difficile definire come supervisione o terapia personale. Il tutto si ripete per sette settimane (nove nell’originale).

Come psicoanalisti della Spi (Società Psicoanalitica Italiana) abbiamo seguito l’evolversi delle puntate con due serie di commenti: una collaborazione settimanale con sky.it e un dossier specifico su spiweb.it.

Giovanni – secondo il mio stile e il mio modo di essere uno psicoanalista – commette degli «errori». Anzi, potremmo dire, i filmati delle puntate potrebbero benissimo essere usate per delle lezioni del genere «scoviamo l’errore…». In realtà, chi di noi non commette mai errori? D’altra parte Giovanni è anche un analista molto attento, ascolta con pazienza, cerca di sviluppare e stimolare la capacità di pensare dei suoi pazienti, partecipa ai loro racconti, si mette in gioco, coltiva il dubbio e la riflessione. Sembra davvero ben rappresentare, con le parole di Luciana Nissim, «due persone che parlano in una stanza».

A volte, poi, parla più con i gesti che con le parole. Non tutti, e non sempre, sono capaci di gesti e di comunicazioni di questo tipo e al momento giusto. Certamente è anche un semplice essere umano, ora in difficoltà, in un momento di crisi. A tratti è pure difficile aiutarlo come ci mostra bene il suo rapporto conflittuale con Anna, la sua supervisore/terapeuta. Aspetto che consente di capire maggiormente la complessità di una terapia e di una professione.

Un pregio particolare della serie, a mio avviso, è stato quello di mostrare un terapeuta al lavoro con un adolescente. Fin dalla prima visione di Be Tipul nel 2005 ebbi la sensazione che il personaggio dell’adolescente (Ayala) fosse il più riuscito. L’incontro con Sophie nella versione Hbo, esaltata dalla straordinaria interpretazione di Mia Wasikowska (ora una delle migliori e apprezzate attrici emergenti) fece il resto. La mia sensazione è quella di una relazione caratterizzata da una attenzione reale, partecipe e curiosa, desiderosa di osservare l’evolversi degli eventi prima di intervenire. D’altra parte lo stesso attore, in una bella intervista, ha espresso la sua sensazione e valutazione personale rispetto al fatto che l’episodio di Alice sia la cifra essenziale e centrale di tutto il progetto.

Penso proprio che la rappresentazione e la finzione scenica sembrano confermare che il lavoro con gli adolescenti ha davvero contribuito allo sviluppo del paradigma relazionale nella pratica analitica. È stata davvero la ricerca di un tentativo di accedere alla cura di situazioni cliniche inesplorate, tra le quali erano spesso annoverate quelli degli adolescenti.

Nel segno di Musatti

Il Centro Milanese di Psicoanalisi si riunisce oggi a Milano, all’Università Bicocca, per festeggiare i suoi 50 anni di vita con un convegno dal titolo: «La via milanese alla psicoanalisi: le radici nel futuro», A Milano con Cesare Musatti, un gruppo di giovani medici inizia a studiare l’opera di Freud. Nel 1963 nasce il Centro Milanese di Psicoanalisi, che trova la sua sede in via Corridoni e prende il nome dal suo fondatore Cesare Musatti. Il convegno sarà l’occasione per ricordare e ripensare il percorso che ha permesso alla psicoanalisi milanese di incontrare e fecondarsi con le ricerche psicoanalitiche europee .

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