Damien Hirst, 2022
Parole chiave: Transessualità, Psicoanalisi, Identità, Sessualità, Maternità
La Transessualità, Il diritto dei Genitori e il Diritto dei Figli. S.Thanopulos , HuffPost, 24/01/2024
È apparsa sulla stampa (Repubblica 21-01-2024) la notizia del primo caso italiano di gravidanza trans-genitoriale. Una persona di sesso biologico femminile ha deciso di cambiare identità sessuale e ha intrapreso un percorso di transizione: una terapia ormonale per accentuare i caratteri maschili e una mastectomia. Si preparava per l’isterectomia quando ha scoperto di essere in stato di gravidanza al quinto mese. L’articolo del giornale elenca alcune complicazioni che questa situazione inedita in Italia (e rarissima nel resto del mondo) comporta. L’impossibilità legale di interrompere in una fase avanzata una gravidanza non desiderata (almeno in modo consapevole). La conseguente impraticabilità di un’isterectomia progettata. I possibili danni che l’intervento ormonale per la transizione non interrotto all’inizio della gravidanza possa aver avuto sul feto e sulla persona gravida.
Il caso riportato sollecita, in realtà, più questioni di quante l’articolo pone. La gravidanza di cui si parla è il frutto di un rapporto sessuale tra un uomo e una persona con il corpo biologico di una donna, che si sente, tuttavia, anch’essa uomo. Questo pone un interrogativo serio sulla conduzione della transizione. Il processo di transizione ormonale e chirurgica che mira a un adeguamento dell’immagine del proprio corpo al corpo del sesso opposto, di cui si desidera disporre, può avviarsi solo se la transizione “psichica” è stata compiuta. Quando il soggetto che la vuole intraprendere è arrivato a una stabile percezione soggettiva di sé come appartenente a un’identità sessuale opposta a quella assegnatagli sulla base del sesso biologico. Se mentre si fa la transizione si ha un rapporto sessuale che la contraddice, qualcosa nella transizione psichica non è ancora compiuto. Un altro interrogativo lo solleva il fatto che, nell’automatismo di procedure tecniche chiuse in un unico obiettivo, della gravidanza nessuno si fosse accorto pur essendo passato tanto tempo.
Più in generale ci si deve chiedere, a prescindere da questo caso, fino a che punto le persone transessuali vengono propriamente informate sulla seria limitazione, perfino la deprivazione, sessuale che comporta la modificazione del loro corpo biologico. Quale sostegno si offre loro per scoprire la “plasticità psichica” del loro corpo che se conservato nella sua integrità fisica può essere usato per soddisfare anche la dimensione erotica opposta alla sua anatomia/biologia. Così da potere scegliere veramente tra l’investire sulla loro “carnalità”, che non è mai realmente dissociata dalla loro intima percezione e convinzione di sé, e l’inseguimento della forma sognata di quell’altro corpo che il destino biologico ha loro negato.
Tornando al caso citato, non è poca cosa l’avvenire della gravidanza. Se l’uomo transessuale avrà il bambino proseguirà nel suo progetto di isterectomia? Rivendicherà la funzione genitoriale? Lo farà come padre o come madre (rivedendo il suo proposito di transizione totale)? Pretenderà di essere un genitore indifferenziato che assume entrambe le funzioni in sé stesso? Quale sarebbe il ruolo del padre biologico, se egli lo rivendicasse, in tutti i casi?
Non sappiamo cosa farà. Sceglierà secondo il suo desiderio, le sue possibilità e il suo senso di responsabilità. È probabile che la gravidanza non sia al livello inconscio indesiderata. Non sembra del resto che il processo di transizione sia così cementato.
I sostenitori della “terapia affermativa” (la cui logica è che ogni cosa o è nera o è bianca) non prestano attenzione al destino della parte psicocorporea “abbandonata” nel momento in cui si decide che si appartiene all’“altra sponda”. Gli esseri umani, donne e uomini, hanno sempre una parte femminile e una parte maschile. L’equilibrio tra queste parti all’interno dell’egemonia di una delle due (in cui gioca un ruolo molto importante, ma non obbligante, l’elemento biologico) è fondamentale per costruire relazioni erotiche, affettive e mentali profonde, coinvolgenti e soddisfacenti. Quale importanza diamo alla parte femminile di una persona che nata “donna” ha deciso (per intima necessità che è la base di ogni scelta) che è “uomo”? Che fine fa questa parte nel processo di transizione se tutto ciò che è femminile della sua anatomia/biologia viene sradicato? Perché anche in questo caso estremo bisogna pure conservarla viva.
Si dà oggi grande rilievo al “diritto alla genitorialità”. E si cerca, senza che ce ne sia sufficiente consapevolezza, di ridefinire la genitorialità in funzione della domanda di accedere a questo diritto, arrivando a categorizzazioni astrate dall’esperienza di vita e in alcuni casi astruse. La domanda di genitorialità, che ha creato un “mercato” nel campo della procreazione assistita e dell’adozione, viene da persone che non possono accedere alla genitorialità in modo diretto, cioè attraverso un rapporto erotico eterosessuale. Varrebbe la pena ricordare che il diritto di poter essere genitori ha senso solo se ci sono le condizioni perché si possa prendere cura dei figli sulla base del reciproco piacere di stare insieme che non è possibile se si privilegia il bisogno e si ignora il desiderio. Nel campo del rapporto tra genitori e figli è il diritto dei secondi a legittimare il diritto dei primi.
La genitorialità non la si può limitare nel perimetro di una relazione eterosessuale fondata sull’esistenza reale di un corpo di donna e di un corpo di uomo in grado di procreare. Al tempo stesso, non la si può dissociare da questa relazione. Una donna single o un uomo single possono svolgere una buona funzione genitoriale se il loro rapporto con i figli è associato dentro di loro a un legame erotico con un’altra persona reale o potenziale. Ugualmente possono accedere a una buona genitorialità le coppie omosessuali quando la componente femminile e quella maschile del loro desiderio si intrecciano bene nella loro relazione. La presenza fisica di un corpo di donna e di un corpo di uomo non è strettamente necessaria alla funzione genitoriale, né lo è il legame eterosessuale tra i genitori. Più in generale le due correnti naturali del desiderio (l’eterosessualità e l’omosessualità) sono presenti (in proporzioni diverse) in ogni essere umano, in tutti i legami erotici e nelle relazioni tra i genitori e figli. La genitorialità può vivere in forme diverse, nessuna delle quali può prescindere dall’eterosessualità e, a dire il vero, anche dall’omosessualità. Il suo edificio è, tuttavia, fondato sull’esistenza di un corpo di donna e di un corpo di uomo e di un legame erotico tra di loro. Il fondamento non è un canone per la costruzione che si erige su di esso, che può configurarsi e “vivere” in modo non predeterminato (secondo un unico modulo), ma il legame tra di loro non può essere spezzato.
La possibilità dei transessuali di fare da padri o da madri (a volte capita anche che abbiano avuto figli prima di cambiare identità sessuale) è più complicata. Tutto dipende dal rapporto che hanno con la componente della loro identità sessuale abbandonata. Se questa parte è denegata o continua ad essere accettata dentro di loro. I seahorses dads, “papà cavallucci marini” sono un caso a parte. Sono uomini transessuali che conservano il loro utero allo scopo di poter procreare e di registrarsi successivamente al parto come padri del loro bambino. Il primo a intraprendere questa strada è stato Thomas Beatie, americano di Oregon, che a partire dal 2008 ha messo al mondo 3 figli. In Europa il primo parto da parte di un transessuale ha avuto luogo a Berlino. I “papà cavallucci marini” aspirano alla realizzazione concreta del fantasma dell’“uomo incinto”. Per farlo si appoggiano al loro utero che serve come puro strumento riproduttivo (l’analogia con la “gravidanza surrogata” è evidente).
Qui il progetto di genitorialità è autoreferenziale. Insegue un particolare tipo di partenogenesi: l’auto-generazione maschile dell’essere umano, la creazione dell’altro (donna o uomo) come clonazione, riflesso di sé.
C’è chi vede in questo gesto di onnipotenza (che vuole abolire in un colpo solo la differenza dei sessi e tra le generazioni) un’emancipazione del soggetto, un “nuovo umanesimo”. Si vuole fondare la genitorialità (la cui specificità non è nel voler bene o nel soddisfare i bisogni) sul diritto di autodeterminazione del genitore, senza tenere conto del diritto dell’autodeterminazione della figlia/del figlio. E senza tenere conto dell’importanza dell’etero-determinazione reciproca tra genitori e figli che riflette nella loro relazione una condizione centrale dell’esistenza umana: la co-costituzione con l’altro di ogni soggettività.
Ci sono diversi modi di fare i genitori, ma pensare che “tutto fa brodo” va nella direzione di un mondo in cui tutti sono “figli di nessuno”.
Tutto quello che non ha funzionato nella storia di Marco, in transizione ma incinta
P. Tavella, HuffPost, 23/01/2024
E’ possibile ci sia uno sberleffo del corpo, un guizzo di rivolta nel caso di Marco, la donna in transizione verso una identità maschile che ha scoperto di aspettare un bambino alla vigilia dell’isterectomia. Di certo ci sono elementi sconosciuti – e giustamente – all’opinione pubblica. Sarebbe inquietante se, come sembra dalle informazioni generiche che abbiamo, davvero fosse stata autorizzata la transizione in una persona con una vita eterosessuale attiva, perfettamente in grado di concepire, eppure non avvertita sulla necessità di usare contraccettivi. E’ lecito sospettare che forse i medici non avessero un’idea ben chiara della personalità della paziente che sottoponevano a terapie farmacologiche mascolinizzanti e i cui organi riproduttivi (a quanto pare sani e in piena efficienza) stavano per essere demoliti e parzialmente sostituiti con protesi. Si può dire, quindi, che qualcosa non ha funzionato. Come minimo questa persona non è stata resa consapevole del rischio di concepire. E poi: come si possono giustificare azioni mediche irreversibili compiute senza neanche un banale test di gravidanza?
Il tema della transizione, così come quello, drammatico, dell’uso dei bloccanti della pubertà, attualmente è assai controverso. Proprio poche ore fa la notizia che il Ministero della Sanità ha inviato gli ispettori all’ospedale fiorentino di Careggi. La decisione fa seguito all’inchiesta del Corriere della Sera scritta da Alessandra Arachi, e all’interrogazione di Maurizio Gasparri. Arachi ha intervistato le responsabili del reparto dell’ospedale fiorentino dedicato alla disforia di genere, dove vengono somministrati bloccanti della pubertà come la triptorelina ai pazienti che accedono al centro, e la cui età media è 11 anni. Una di loro, Jiska Ristori, ha rilasciato dichiarazioni che appaiono sconvolgenti ad anime semplici come la nostra: “La presa in carico per i percorsi di affermazione di genere non prevede una psicoterapia. Esattamente come succede nelle persone cisgender alle quali non viene richiesta una psicoterapia per definire la propria identità di genere, questo vale anche per le persone trans». Vuole dire che si procede sulla base di quello che dichiarano dei bambini di 11 anni?
Eppure i rischi per la salute nell’uso della triptorelina sono stati messi in evidenza dal Comitato Bioetico nel 2018, e la comunità scientifica internazionale è allarmata dalle conseguenze negative e irreversibili del loro utilizzo per bloccare la pubertà. In molti paesi dove si agiva in base all’antico protocollo affermativo olandese adesso si contano i danni, e le vittime. Si cerca di tornare indietro, per adottare un approccio più cauto e accurato, proprio nell’interesse delle persone coinvolte. Ora il caso di Marco suggerisce che sul tema della disforia e della transizione forse anche in Italia ci sarebbe bisogno di una riflessione meno ideologica, e meno influenzata da interessi che non siano quelli dei pazienti.
Per me è difficile perfino scriverne, perché mi pare ovvio che chi concepisce un figlio è una donna, chi porta avanti la gravidanza è una donna, chi partorisce il figlio è sua madre. Non è un’opinione, si tratta della forza invincibile della realtà. Ormai il dibattito sulla maternità ha qualcosa di molto strano, ma in questi giorni sui social media e su alcune testate compaiono opinioni che rasentano il delirio, per esempio che questa donna incinta è un uomo gay. Non “si sente” un uomo gay, che sarebbe stiracchiato ma ammissibile, proprio lo “è”. Come se la forza del pensiero, dell’immaginazione, del desiderio, fosse più forte del reale, una tesi che neppure i maghi del “manifesting” su Instagram osano sostenere. La storia di Marco è complicata, Marco è disforico, una donna che vuole essere un uomo, e la disforia è un grave disagio, ma non è pazzia. Invece chi chiama “uomo” una donna incinta crede in qualcosa che non trova riscontro nei fatti, una fra le definizioni correnti di pazzia. La transizione è una rettifica anagrafica, come la legge consente, ma il sesso non può cambiare geneticamente, resta per sempre quello con cui si nasce. I farmaci, la chirurgia mutano l’aspetto esteriore, trasformano l’equilibrio ormonale, ma altro non possono. Lo dimostra proprio la storia di Marco, rimasto biologicamente e pienamente di sesso femminile.
Ammettiamo pure che si voglia rispettosamente assecondare qualcuno convinto di appartenere al sesso maschile pur portando avanti una gravidanza al quinto mese. Si può fare, per non sconvolgere e ferire chi già è in seria difficoltà, si può fare perché chi è gravida non va turbata, perfino per non dover discutere con gli estremisti che vogliono imporre il credo religioso dell’uomo incinto. La realtà transessuale è complessa e in divenire, dunque è buon senso lasciare aperta la porta alla definizione di nuove sensibilità. Ma non si può questionare sul sesso di chi sta per partorire: a prescindere dal pensiero magico, anche il figlio che nascerà ha diritto di sapere chi è sua madre.