Cultura e Società

La strage nel silenzio:nel 2014 il record dei suicidi, LA REPUBBLICA, 3 aprile 2014

28/04/15

REPUBBLICA – VENERDI’ – 3 APRILE 2014

LA STRAGE NEL SILENZIO: NEL 2014 IL RECORD DEI SUICIDI
GIACOMO PAPI

INTRODUZIONE: Giacomo Papi fa una piccola storia dei suicidi degli ultimi anni e si interroga su quanto la crisi abbia inciso sul loro aumento. Antonino Ferro, presidente della Società psicoanalitica italiana, prova a fare il punto chiarendo che il suicidio più che alla crisi economica o alla povertà va imputato ad un fallimento nel mondo interno “È fallita la sua azienda interna, i suoi progetti, la sua identità”. Ed è questo che può provocare la catastrofe. La crisi può agire da detonatore, ma è la vergogna che fa desiderare la propria scomparsa. (Silvia Vessella)

REPUBBLICA – VENERDI’ – 3 APRILE 2014

LA STRAGE NEL SILENZIO: NEL 2014 IL RECORD DEI SUICIDI
GIACOMO PAPI

Sono passati tre anni, ma assomigliano a decenni. C’era Mario Monti, Elsa Fornero al lavoro, e non passava giorno senza che qualcuno si suicidasse per la crisi. Non si parlava d’altro. Tv e giornali, soprattutto di Berlusconi, accusavano Monti che accusava i governi precedenti, soprattutto di Berlusconi: «Le conseguenze umane», chiosava il premier, dovrebbero «far riflettere chi ha portato l’economia in questo stato e non chi da questo stato sta cercando di farla uscire». Il compianto Giorgio Stracquadanio su Radio24 inventava l’espressione «suicidi di Stato». Poi, come accade alle cose umane, le polemiche si placarono e i suicidi passarono di moda, entrò in scena il femminicidio. Invece non fanno che aumentare – 89 nel 2012, 149 nel 2013, 201 nel 2014 – a un tasso di crescita del 125% in due anni. I dati di LinkLab, il laboratorio di sociologia della Link Campus University di Roma diretto da Nicola Ferrigni, a cui si deve l’unico monitoraggio serio, raccontano che se la ripresa sta arrivando, molti sono ancora nel tunnel. Come ogni anno, i picchi sono ad aprile e luglio, «forse per bilanci e tasse», ipotizza Ferrigni. Come ogni anno, a uccidersi sono quasi solo uomini (187 contro 14 donne), soprattutto tra i 45 e i 54 anni. Ma se nel 2012 i suicidi si concentravano nel nord, in particolare in Veneto, oggi sono distribuiti su tutto il territorio italiano. I dipendenti si sono dimezzati (erano il 12,8% nel 2013, sono il 5,5 nel 2014) e per la prima volta i disoccupati (48,3%) hanno superato gli imprenditori (40,3%).
I suicidi economici segnalano un disagio ampio e invisibile. Gli psicologi parlano di un generico aumento della depressione in un tempo che in apparenza punta sulle emozioni. Gli emoticon sostituiscono l’alfabeto e in fondo a ogni articolo puoi dire cliccando se ti sei sentito allegro, perplesso o indignato. Ma statistiche sugli stati d’animo non ne esistono. Bisogna affidarsi a indicatori indiretti come i suicidi, appunto, o il consumo di antidepressivi che sale inesorabilmente al tasso del 2,5% medio annuo: nei primi nove mesi del 2014, segnala l’ultimo rapporto dell’Aifa, l’Autorità nazionale sul farmaco, gli antidepressivi sono diventati «una delle principali componenti della spesa farmaceutica pubblica».
«Ci stiamo battendo per ottenere dei dati», si lamentano all’Ordine nazionale degli psicologi, «ma senza risultati». In effetti il ministero della Sanità ti rimbalza alle ASL che non rispondono se non per dirti che non hanno risposte. Unica eccezione la Regione Lombardia dove dal 2007 al 2014 le persone che hanno chiesto aiuto al Dipartimento di salute mentale sono passate da 1200 a 1600. Stabilire quanto abbia inciso la crisi è impossibile. «Da anni si registra un decremento di pazienti privati», spiega Raffaele Felaco dell’Ordine, «i soldi non ci sono anche se le tariffe sono scese. Però un confronto con lo psicologo è importante perché quando si arriva al pubblico si è già in casi avanzati». Gli ultimi dati sull’economia non fanno intravedere una prospettiva? «Noi siamo solo un’antenna», risponde, «ma la percezione prolungata di una crisi senza sbocco ha aggravato gli aspetti depressivi nelle personalità predisposte. Il formarsi di una percezione sociale richiede tempo e quindi ci vuole tempo perché cambi».
È un circolo vizioso: la crisi contribuisce alla depressione che a sua volta contribuisce alla crisi. Non è patologia, è una disperazione diffusa su cui la psicologia può intervenire. Si domanda Felaco: «Quanta sofferenza c’è in persone che non hanno più neppure la speranza di trovarlo un lavoro? Magari non presentano una patologia psichica strutturata, ma una sofferenza sì, e la loro sofferenza che effetti ha sulla società? È questo il contributo degli psicologi, invece si preferiscono rimedi semplici e pagabili, come gli antidepressivi che sono dannosi perché rimandano il problema».
Nel 1918 al V Congresso di Psicanalisi di Budapest, Sigmund Freud proclamò: «Il povero ha diritto all’assistenza psicologica come all’intervento chirurgico». Il complesso di Edipo è universale, ma per Freud la psiche non c’entra con la miseria. Antonino Ferro, presidente della Società psicoanalitica italiana, non ha dubbi: «Dubito che dal nostro osservatorio si possa inferire qualcosa sulla società. Certo, è un momento difficile, ma a Londra, sotto le bombe, i suicidi crollarono. La verità della nostra specie è la nostra mente, non il denaro. E quando la realtà diventa brutta, la nostra mente diventa più forte».
Anche le tariffe degli psicanalisti sono calate – «anche meno di 20 euro, a volte», conferma Ferro – e spesso si fa ricorso a terapie più brevi – «sarebbero necessarie 3-4 sedute a settimana» –, ma in Italia le richieste non sono diminuite, come è avvenuto negli Usa. «Non dico che è bella la crisi o che rimanere senza lavoro non conta», continua Ferro, «dico che quando il paziente mi comunica di essere stato morso da un cane, l’ultima cosa che devo pensare è che il cane lo abbia morso davvero. Perché un paziente viene a dire a me che ha perso il lavoro? Io non andrei dallo psicoanalista. Se un paziente mi dice che la sua azienda è fallita e poi si suicida, la sua azienda non c’entra. È fallita la sua azienda interna, i suoi progetti, la sua identità. Forse, prima o poi, si sarebbe suicidato lo stesso».
Ammettere un rapporto tra psiche e ricchezza per la psicanalisi significherebbe attribuire al denaro la potenza originaria dei fantasmi. «Forse la crisi può agire da detonazione perché diventa lo specchio in cui si vede la propria situazione interna», concede Ferro, «ma i vissuti catastrofici non appartengono mai alla sfera della realtà. Vede, la mente umana è sempre la stessa. Di volta a farla crollare sarà la guerra in Gallia, le Crociate o la Grande depressione». Non ci si può ammazzare per paura di diventare poveri. Se accade – e accade – è perché questa paura avvolge dentro di sé il terrore di essere esclusi e diventare invisibili, che non a caso viene esorcizzato in decine di reality show attraverso il rito quotidiano delle nomination e del televoto.
La vergogna è il sentimento che nell’adolescenza presiede all’elaborazione del senso di identità. Sul versante relazionale si traduce nell’alternativa tra l’accettazione degli altri e la pubblica disapprovazione. È la vergogna che fa di noi quello che siamo, perché implica il giudizio di un Super Io critico e si fonda sul fantasma di una platea immaginaria che ci osserva e giudica per decretare i nostri fallimenti e successi. Per questo i suicidi di tipo economico non sono mai solo economici. Si intrecciano a motivazioni profonde che hanno a che fare con l’immagine di Sé e, forse, anche con i modelli culturali che hanno contribuito a formarla. «Il fantasma degli altri è uno specchio che rimanda un’immagine intollerabile di noi stessi», spiega Ferro. Chi si vergogna vorrebbe sparire. Chi si vergogna distoglie lo sguardo, volta la testa, cerca di fare più piccolo il suo corpo nel tentativo di ritrarsi in se stesso. In molte lingue l’etimologia della parola vergogna – dal latino vereor – rimanda al nascondersi, al desiderio di scomparire per preservare se stessi dallo sguardo impietoso degli altri. L’enfasi sul successo, la crisi economica e la visibilità universale promessa dai social network, forse hanno provocato un’epidemia di vergogna, e reso più violento l’impulso a sparire.
Uno degli ultimi si chiamava Davide Cantone, aveva 47 anni. Si è ucciso l’11 marzo con un colpo di pistola alla tempia nella sua azienda a Verrua Po, vicino a Pavia.
Quando è successo che il lavoro è diventato il nostro specchio? Nessuno oggi sarebbe più eroico di un fallito felice.

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