Di Lorena Preta, psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana, è stato pubblicato un articolo appassionato sulle pagine della Cultura del 20 aprile, dove la studiosa ribadisce la necessità di intendersi, al di là di prese di posizione ‘ideologiche’ fuorvianti, sulla questione di cosa sia da intendersi per scienza. Richiamando il pensiero di Stephen Jay Gould, Preta sottolinea l’irrinunciabilità di una scienza critica, flessibile, alla quale ella ricorda ha dato un contributo la psicoanalisi, denunciando la presenza dell’ emozione dietro alla ragione, del pensiero anche nel mondo bizzarro dei sogni, della psiche là dove sembrava esserci solo un corpo dolente. È, come può vedersi nell’articolo, compito delle comunità scientifiche fare in modo che questa ibridazione di piani non diventi il delirio di qualcuno o la confusione babelica delle lingue.
Daniela Scotto di Fasano
LA SOFFERENZA E LA PSICOANALISI
Lorena Preta
Caro direttore, intervengo sollecitata dalla lettera di Gilberto Corbellini sulla psicoanalisi. Si tratta di problemi che riguardano: primo, una precisa idea di cosa significhi fare scienza; secondo, di cosa voglia dire curare, e non ultimo, quale sia l’ immagine dell’ uomo che queste idee sottendono. Chi mai potrebbe negare che il cervello è alla base di ogni nostra attività di pensiero e della vita emotiva, il problema è semmai capire in che modo queste aree si determinino a vicenda al punto tale da costituire un intreccio inestricabile che porta alla costituzione di quel fenomeno umano che Freud ha chiamato psiche. In questo processo complesso ogni separazione corpo/mente, ragione/affetto, diventa fuorviante e semplicistica. Certamente quando si vuole capire o intervenire sulla realtà di una sofferenza fisica o psicologica, è necessario effettuare una separazione provvisoria che aiuti a definire il campo di studio e di intervento, ma questo non può annullare la coscienza che al di là di questa divisione vi sia un tessuto comune che comprende più aspetti. Proprio per questa ragione c’ è bisogno di strumenti d’ indagine rigorosi ma non rigidi, capaci di passare da un ordine all’ altro mantenendo la coerenza. E’ quello che è successo alla nascita della psicoanalisi: Freud era un neurofisiologo intriso della scienza dell’ epoca, ma sapeva che il suo oggetto d’ indagine presupponeva “l’ invenzione” di un metodo d’ osservazione adeguato. Questo non è diverso da quello che sempre è successo nella vita scientifica e da quello che tuttora accade. Si producono immagini, si creano ipotesi, si lavora per formalizzarle e renderle coerenti, si annullano idee precedenti, spesso si utilizzano di nuovo. E’ un ciclo vitale che qualsiasi pensiero umano deve praticare, pena l’ asfissia e quindi la morte. La scienza degli ultimi trent’ anni, è stata fortemente caratterizzata dalla coscienza di questo intreccio inestricabile e dell’ importanza determinante dell’ osservatore. E invece che la ricerca assoluta della riduzione dell’ incertezza evocata da Corbellini, ha messo al centro della sua riflessione l’ instabilità, la contingenza e quindi la storia, che ci consegnano un mondo caotico ma allo stesso tempo governato da leggi imprescindibili. Si tratta di una scienza critica, “flessibile” come si augurava Stephen Jay Gould. Non viene il sospetto che a questa nuova ondata di pensiero abbia dato un contributo la psicoanalisi, denunciando la presenza dell’ emozione dietro alla ragione, del pensiero anche nel mondo bizzarro dei sogni, della psiche là dove sembrava esserci solo un corpo dolente? Non esiste pensiero non contaminato dagli affetti, non esiste scienza che possa prescindere dalle passioni che spingono la ricerca. Sta alle comunità scientifiche fare in modo che questa ibridazione di piani non diventi il delirio di qualcuno o la confusione babelica delle lingue. Nessun analista che pensi la teoria psicoanalitica ma che soprattutto faccia pratica terapeutica, potrebbe fare l’ errore di credere che una sofferenza possa essere solo fisica o psichica, essere trattata solo con i farmaci o solo con le parole, solo come un problema dell’ individuo senza pensare all’ ambiente circostante. Sono necessari dei sistemi integrati che rispecchino questo intreccio, la psicoanalisi lo sa, la clinica quando necessario lo prevede. La cura delle patologie gravi fa parte integrante della ricerca psicoanalitica che si muove tra elaborazione teorica ed esperienza con i pazienti. I criteri di valutazione dell’ efficacia degli interventi terapeutici non sono certo applicabili in base alle leggi della fisica o della biologia o secondo i parametri di guarigione adoperati per un corpo malato, ma si giustificano secondo le regole che la cura psicoanalitica prevede non diverse da quelle delle altre scienze, fatte di falsicabilità dell’ interpretazione, di rigore del setting, di evoluzionee di trasformazione del sistema costituito dalla coppia analitica. La scienza è un organismo vivo che ha come suoi organi le comunità scientifiche e come tessuto la cultura sociale nella quale è trapiantata, è necessario tenerne conto per liberarsi dal pregiudizio. E’ in gioco non solo la sofferenza delle persone, ma la visione stessa dell’ uomo. (L’ autrice appartiene alla Società psicoanalitica italiana)
20 aprile 2012, p. 50, sez. CULTURA