Cultura e Società

La Repubblica 20 febbraio 2018. ” Cari mamma e papà, perché ho paura? di Massimo Ammanniti

22/02/18
Ansia/Angoscia

L’urlo, Edvard Munch

*Edvard Munch , L’Urlo 

La Repubblica, 20 febbraio 2018. Le idee Psicologia e bisogno di protezione “Cari mamma e papà perché ho paura?” di Massimo Ammaniti

la Repubblica, 20 febbraio 2018 

Cari mamma e papà perché ho paura?” Massimo Ammaniti

Introduzione: Il malessere sociale attuale mette in discussione il bisogno di sicurezza degli esseri umani. Bisogna ampliare l’ottica psicoanalitica al di là della visione di Freud? Il Prof. Massimo Ammaniti, Psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana, in armonia con il pensiero di  J. Bowlby e con le recenti acquisizioni delle neuroscienze, ritiene che  l’immagine del mondo comunicata dai genitori rappresenta la risorsa fondamentale per proteggere i bambini da quello che da Freud in poi si chiama “unheimlich” il familiare perturbante. (Maria Naccari Carlizzi)

la Repubblica, 20 febbraio 2018 

Massimo Ammaniti“Cari mamma e papà perché ho paura?”

Che cosa potrebbe pensare il marziano  approdato a Roma, protagonista  del famoso libro di Ennio Flaiano, se assistesse alla campagna elettorale delle ultime settimane. Giungerebbe alla conclusione che i leader politici che vediamo in televisione oppure nei social network potrebbero appartenere ad una specie umana non abbastanza sviluppata  nelle aree cerebrali del linguaggio, infatti ripetono  in modo ossessivo gli stessi slogan sulla sicurezza senza far capire  la complessità dei problemi e le possibili implicazioni.

Chi assiste ai toni allarmati dei politici, mentre parlano dei pericoli provocati dall’arrivo dei migranti per la  sicurezza del paese, assorbe inconsapevolmente il senso di una minaccia incombente per la propria vita e per quella della famiglia, con un grave rischio per l’identità nazionale e addirittura per il mondo occidentale. Nella campagna elettorale americana e in quella per il referendum della Gran Bretagna per la Brexit si è addirittura fatto uso in modo più scientifico dei “Big Data”, ossia delle informazioni raccolte dalle grandi banche dati sulle caratteristiche individuali e addirittura di personalità della popolazione. I messaggi rivolti dai leader venivano indirizzati alle varie fasce di cittadini utilizzando queste informazioni, non si puntava evidentemente sulle loro capacità cognitive  e di ragionamento si sollecitavano, piuttosto, le risonanze emotive più immediate di paura e di allarme.

Non si può negare che l’arrivo dei migranti possa creare problemi di ordine pubblico e di sicurezza, anche perché non è stato organizzato un piano di accoglienza efficace basato su corsi di apprendimento della lingua e della cultura italiana e di formazione lavorativa per i migranti. Se questo è senz’altro vero viene spesso utilizzato il pericolo dei migranti per scotomizzare i pericoli più gravi della mafia, che gestisce il traffico della droga ed esercita le estorsioni ai danni di commercianti ed imprese. E poi l’inquinamento delle città, i cibi pericolosi per la salute, la viabilità e le ferrovie spesso dissestate.

E’ lo Stato che non garantisce sufficientemente la sicurezza dei cittadini, spesso costretti a risolvere i problemi quotidiani da soli ricorrendo a compromessi e piccole illegalità, in cui sopravvive il più furbo e il più spregiudicato. Questa è la fonte di un malessere sociale quotidiano che suscita insicurezze in mancanza di certezza delle regole e di fiducia verso le istituzioni, ognuno tende a ripiegarsi narcisisticamente su stesso come ha messo in luce il sociologo Christopher Lasch nel suo libro “La cultura del narcisismo”.

Il tema della sicurezza sta divenendo una delle maggiori preoccupazioni del mondo occidentale, ribaltando la concezione di Sigmund Freud che riteneva che i veri pericoli per l’uomo derivassero dalle pulsioni sessuali ed aggressive inconsce che potevano travolgere la stabilità dell’Io. E mentre Freud riteneva che la motivazione fondamentale fin dai primi anni di vita fosse la ricerca edonistica del piacere, negli anni ’60 del secolo scorso ha preso sempre più corpo una concezione diversa secondo cui il bisogno di sicurezza rappresenta l’obiettivo primario di ogni essere umano. L’artefice di questa profonda inversione è stato lo psicoanalista inglese John Bowlby, che è giunto a queste conclusioni rifacendosi agli studi sulle scimmie dei coniugi Harlow, che avevano osservato che i piccoli macachi di fronte al pericolo ricercavano il contatto fisico con i manichini materni soffici e non il latte. Bowlby ha costruito la cornice della teoria dell’attaccamento utilizzando anche gli sviluppi più recenti della biologia evoluzionistica e della teoria della comunicazione mettendo in luce che la specie umana, come anche altre specie animali, erano riuscite a sopravvivere e ad affermarsi in virtù del particolare legame che si stabilisce fra i bambini e gli adulti che si occupano di loro. E questa ipotesi di Bowlby è stata confermata in questi ultimi decenni attraverso studi sistematici nei bambini e nelle età successive da ricercatori come Mary Ainsworth, Allan Sroufe, Mary Main, solo per citarne alcuni.

Fin dalla nascita i piccoli nascono predisposti a ricercare la protezione dei genitori e degli adulti  che sono fondamentali per il raggiungimento del senso di sicurezza,  che favorisce l’acquisizione della fiducia e dell’apertura verso gli altri.

Ulteriori conferme a queste osservazioni psicologiche sui bambini derivano dagli studi neurobiologici, effettuati sia negli Stati Uniti che in Italia, che hanno mostrato che in alcune aree del cervello, in particolare nella corteccia orbito-frontale, sono attivi dei circuiti cerebrali che favoriscono i legami di attaccamento, anche se la maturazione di questi circuiti dipende dalle esperienze positive e rassicuranti che si hanno coi genitori.

E quando nei bambini piccoli la protezione viene meno oppure intervengono situazioni negative, il senso di insicurezza prende il sopravvento e si generano emozioni negative come allarme, paura ed ansia. Un’altra possibile reazione è la rabbia e l’aggressività che vengono dirette verso i pericoli esterni, ma anche verso di sé. Vale la pena di ricordare che intorno al primo anno i bambini di fronte ad una persona sconosciuta reagiscono con “l’ansia dell’estraneo” descritta da René Spitz,  perché è una figura diversa dai genitori . Allora sono insiti nella natura umana il rifiuto e la paura verso gli estranei? Anche in questo caso  la ricerca ha messo in luce che se  i genitori si mostrano amichevoli verso l’estraneo il bambino gli si potrà avvicinare senza paura, mentre se si mostrano diffidenti i bambini cresceranno sospettosi ed impauriti, anche se a volte questo viene mascherato con l’arroganza e l’intolleranza.

Queste ricerche ci aiutano a comprendere meglio anche le dinamiche sociali dell’intolleranza e del razzismo che possono avere radici nella storia personale e familiare, ma che possono essere amplificate dal clima di paura e di insicurezza a livello sociale, a volte opportunisticamente  sollecitato , col rischio che ancora una volta “il sonno della ragione generi mostri”, come scrisse il pittore spagnolo Francisco Goya .

Massimo Ammaniti

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

Psicoanalisi e Letteratura, l’inestricabile intreccio di D. D’Alessandro Huffpost, 12/12/2024 

Leggi tutto

Psicoanalisi fuori dalla stanza. Intervista a C. Carnevali, Resto del Carlino 5/12/2024

Leggi tutto