La psicoanalisi ora cambia passo. E si rinnova
INTRODUZIONE: Antonino Ferro si insedia oggi come Presidente della Società Psicoanalitica Italiana e delinea a Cristina Pulcinelli la Società che ha in mente per I prossimi anni. Più attenta al presente e orientata al panorama della psicoanalisi internazionale pur mantenendo ferma la specificità della psicoanalisi italiana. Una psicoanalisi fortemente ancorata alla clinica sia all’interno della stanza di analisi sia all’esterno, quando mette a disposizione lo strumentario psicoanalitico per comprendere i fenomeni della contemporaneità. E’ necessario – come aggiunge Stefano Bolognini, Presidente uscente della SPI e neo eletto Presidente dell’ International Psychoanalytical Associatio (IPA) – rafforzare i legami e la collaborazione con le strutture pubbliche. (Silvia Vessella)
l’Unità
3 marzo 2013
La psicoanalisi ora cambia passo. E si rinnova
Colloquio con Ferro, neo presidente dello Spi:«Più cura per l’infanzia e attenzione per i servizi pubblici»
Cristiana Pulcinelli
SPIINGERSI OLTRE I PROPRI CONFINI SPAZIALI E TEMPORALI. APRIRSI AL MONDO INVECE DI RIMANERE IN UN DORATO ISOLAMENTO. Guardare al futuro e non guardare solo ai fasti del passato. Si potrebbe riassumere così il progetto che Antonino Ferro ha in mente per la psicoanalisi del nostro Paese e che, in quanto nuovo presidente della Società psicoanalitica italiana (Spi), cercherà di realizzare.
Ferro, palermitano che vive e lavora a Pavia, è psichiatra e si è occupato soprattutto di analisi di bambini e di pazienti patologie gravi. È autore di numerosi libri tradotti in più di dieci lingue. Si insedierà proprio oggi nel corso dell’assemblea dei soci che si svolge a Roma e, prima della cerimonia, ci tiene a precisare quale futuro vede per la Società che andrà a dirigere. «Penso prima di tutto a una Società che dia maggior spazio all’internazionalizzazione, ovvero che sia più presente da un punto di vista scientifico sulla scena internazionale. La psicoanalisi italiana, infatti, è ad un livello di assoluta eccellenza, ma ha un handicap: l’inglese. La comunità scientifica internazionale ormai funziona solo in inglese, quindi la poca conoscenza sia della lingua inglese, sia del funzionamento internazionale della psicoanalisi, ci ha tagliati fuori. Gli italiani, così, non sono stati sufficientemente presenti nella letteratura internazionale e questo è un problema che dobbiamo affrontare in tempi brevi».
Maggiore dialogo con il resto del mondo, quindi. Ma sulla base di una visione «minimalista» della psicoanalisi, come dice lo stesso Ferro: «Molti colleghi sono legittimamente interessati alla psicoanalisi applicata alla letteratura, all’arte o al cinema. Il mio interesse invece è per la psicoanalisi come un metodo straordinariamente efficace di terapia della sofferenza psichica. In fondo, lo psicoanalista si occupa della sofferenza psichica un po’ come un ortopedico si occupa delle fratture. Questo è lo specifico dell’analisi e questo è il campo in cui dà il meglio di sé».
L’enfasi sull’aspetto terapeutico si coniuga poi, nell’idea di Ferro, ad una maggiore attenzione al mondo dei bambini e degli adolescenti. «Bisogna dare più spazio alla psicoanalisi dei bambini e degli adolescenti. Altrimenti c’è il rischio di vedere la loro sofferenza sequestrata dagli aspetti biologici. Faccio un esempio: se il bambino è agitato, la risposta più semplice potrebbe essere dare il Ritalin, mentre si deve tener conto della sofferenza psichica e, in questo campo, la psicoanalisi può dare risposte importanti»
A proposito di psicoanalisi rivolta all’infanzia, c’è un progetto della Spi nato prima della nomina di Ferro, ma che il nuovo presidente ci tiene a sostenere. Si tratta della formazione di centri clinici che dovrebbero diventare in seguito delle strutture terapeutiche convenzionate con i servizi sanitari pubblici. «Noi – prosegue Ferro possiamo mettere a disposizione le nostre competenze per offrire le capacità di cura anche fuori dalla stanza d’analisi. Certo, serve una controparte che sia ugualmente interessata al progetto».
La mancata relazione con le strutture di sanità pubblica è un problema non solo italiano, come spiega Stefano Bolognini, primo presidente italiano dell’International Psychoanalitical Association, l’istituzione fondata da Freud nel 1910. «La psicoanalisi in questi 100 anni è andata molto avanti dando un contributo sempre più specifico alla cura dei disturbi mentali ed emotivi. Però ha un problema di raccordo con altre aree della salute mentale, con le strutture psichiatriche e con la cultura della salute a livello politico. Così la psicoanalisi si è sviluppata soprattutto nel privato, senza un legame forte con la sanità pubblica. Esiste, dunque, come un mondo parallelo cui i pazienti ricorrono quando le hanno provate tutte. Il trattamento analitico diventa così l’ultima spiaggia, quando invece dovrebbe essere il primo tentativo da fare». Questo diventa anche un problema economico: “Nei paesi scandinavi, ad esempio, lo Stato dà contributi significativi al cittadino per la terapia psicoanalitica perché questo permette di risparmiare sui ricoveri e sulla somministrazione di farmaci».
In questo processo di svecchiamento c’è posto per un nuovo rapporto con le neuroscienze che negli ultimi anni hanno fornito un contributo importante alla conoscenza dei processi mentali? «Si tratta di due laboratori diversi: credo che debbano continuare a lavorare nel proprio specifico, lasciando acceso il citofono che li mette in contatto».