Introduzione: La psicoanalisi cambia davvero il cervello.
Studi sperimentali dell’Università del Michigan, sui quali ci aggiorna Cesare Peccaresi sulle pagine di Corsera, attraverso la risonanza magnetica funzionale apportano prove su come gli stimoli agiscono sul nostro cervello mutandolo. (Silvia Vessella)
Giovedi 19 luglio 2012
CORRIERE DELLA SERA.IT
SALUTE
La psicoanalisi cambia davvero il cervello
MILANO – A distanza di quasi un secolo dalla sua morte arriva la prova sperimentale di ciò che Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, aveva intuito senza mai poterlo dimostrare perché gli mancarono i mezzi tecnici per farlo: l’attività psichica inconscia plasma le strutture del cervello e le fa cambiare. Al 101° Congresso dell’American Psychoanalytic Association di Chicago uno studio dei ricercatori dell’Università del Michigan diretti da Howard Shevrin ha scoperto che l’attività elettrica cerebrale, specchio della conformazione dei neuroni, si modifica soltanto a seguito di stimolazioni conflittuali subliminali, cioè di stimoli che vanno ad agire sul nostro inconscio. Per i ricercatori americani non è stato difficile, ma Freud, che inizialmente era un neurologo, nel suo scritto Progetto per una psicologia scientifica raccontava dei suoi infruttuosi tentativi di correlare cervello e psiche. Finché, nel 1895, quando pubblicò i suoi studi sull’isteria, abbandonò le neuroscienze: probabilmente la pochezza degli strumenti d’indagine di cui disponeva hanno finito col focalizzare i suoi interessi sulle determinanti psicologiche che stanno alla base dei processi psicodinamici, piuttosto che su quelle cerebrali che allora non poteva valutare.
LA PROVA CHE FREUD AVREBBE VOLUTO – Sono stati scelti 11 soggetti con disturbi d’ansia che venivano sottoposti a trattamenti psicoanalitici durante i quali lo psicologo cercava di scoprire qual’era il conflitto inconscio alla base del disturbo. Nelle sessioni di trattamento individuava alcune parole chiave che potevano evocare il conflitto (per esempio “coltello” se erano stati vittima di un’aggressione o “automobile” se erano sopravvissuti a un grave incidente stradale). Poi un elettroencefalogramma particolarmente sensibile registrava l’attività elettrica cerebrale dei soggetti mentre riascoltavano le parole individuate dal medico: se lo stimolo verbale era sopraliminale, cioè durava almeno 30 millisecondi, l’attività del cervello non si alterava. Se invece era subliminale, cioè durava un millesimo di secondo, potendo quindi essere percepito solo a livello inconscio, l’attività elettrica cerebrale invece si alterava: la prova che l’inconscio lascia la sua impronta sul cervello era finalmente arrivata.
L’IMPRONTA DELL’INCONSCIO – L’elettroencefalogramma fu inventato nel 1929, 10 anni prima della morte di Freud, un lasso di tempo troppo breve perché potesse apprezzarne le potenzialità cliniche, ma il suo genio deduttivo lo portò ugualmente a capire che esistono processi psicologici inconsci governati da proprie regole cognitive che esercitano un’azione diretta su quelli consci e quando si rendono espliciti portano a un’organizzazione conflittuale della psiche. Il passaggio successivo è dimostrare che questi conflitti si esplicitano anche sulla struttura cerebrale e questo allora non lo poteva fare. Oggi psicoanalisi, psicologia cognitiva e neuroscienze convergono sempre di più nel dimostrare l’importanza dei meccanismi inconsci che, come pensava il padre della psicoanalisi, connettono psiche e cervello.
LE CONFERME VANNO ACCUMULANDOSI – «La psicoterapia dinamica, basata sugli stessi principi della psicoanalisi – spiega Claudio Mencacci, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano – presuppone che il comportamento sia plasmato dalle passate esperienze, da determinati genetiche e dalla situazione del momento, riconoscendo il significativo effetto esercitato sulla psiche dalle nostre motivazioni». Le conferme delle basi biologiche di psicoterapie e trattamenti psicodinamici continuano ad accumularsi e sono ormai almeno una decina gli studi clinici controllati che lo testimoniano: quello pubblicato nel 2009 su Science dai ricercatori del Karolinska Institutet di Stoccolma ha evidenziato come anche attività mentali del tutto normali possano cambiare la nostra struttura cerebrale. Bastano 5 settimane di esercizi mirati di memoria per determinare cambiamenti quantificabili dell’attività recettoriale dopaminergica della corteccia cerebrale prefrontale e parietale.
A FREUD MANCAVA LA RISONANZA FUNZIONALE – Oggi abbiamo ottimi strumenti come la risonanza magnetica funzionale che gli avrebbe fornito le conferme che gli mancavano perché fa vedere il funzionamento di un’area cerebrale in relazione all’alterazione che la interessa. «Uno studio olandese pubblicato l’anno scorso su Biological Psychiatry – conclude Mencacci – ha confermato che nei soggetti con depressione e ansia l’importante struttura cerebrale chiamata ipotalamo si riduce e ciò potrebbe costituire un comune fattore di vulneralibilità nelle due malattie. Inoltre, l’alterata attivazione delle aree dell’insula e dell’amigdala che si osserva in questi soggetti si correla alla loro anomala reattività che è ridotta per gli stimoli positivi (per esempio le lodi) e aumentata per gli stimoli negativi (rimproveri). In questo studio gli stimoli verbali non erano subliminali, ma come non pensare che questa incapacità a gestire le informazioni emotive non sia legata da una parte a deficit neurobiologici e dall’altra a conflitti inconsci o, meglio ancora, alle interconnessioni che ci sono fra loro?».
Cesare Peccarisi