Cultura e Società

LA CREAZIONE DIFFERENTE L’arte povera diventa nobile.

30/11/10

Un nuovo capitolo della storia dell’arte occidentale 

 

INTRODUZIONE di Silvia Vessella 

RICCARDO ROMANO : LA CREAZIONE DIFFERENTE L’arte povera diventa nobile.
Un nuovo capitolo della storia dell’arte occidentale

Lo psicoanalista Riccardo Romano, nella rivista del sito di "Outsider Art",attraverso le opere di art brut, arte irregolare, arte "amara", esamina la condizione della pensabilità .
Soprattutto in questa forma di arte, come nelle opere di alcuni pazienti psicotici, l’inconsapevolezza, al di fuori delle scuole,degli stili, nell’isolamento, si fa fomentatrice di trasformazione e condizione di pensabilità. E nel farsi dà spazio alla spontaneità, alla selvatichezza, alla giocosità. Il pensare così afferisce ad un ‘affettività espressa tramite una catena di illuminazioni, collegate dall’inconsapevolezza, che fungono da attivatori di capacità trasformativa.
L’arte "amara" allora si apre alla dimensione del mito, con il piacere del cantastorie.
Le fonti teoriche sono nel pensiero di Freud , nel Bion di "Addomesticare pensieri selvaggi" e del meccanismo mentale della "pubblic-azione".

 

Articolo :

LA CREAZIONE DIFFERENTE.L’arte povera diventa nobile.
Un nuovo capitolo della storia dell’arte occidentale.

Il titolo che ho dato a questo intervento, può far pensare che intendo occuparmi di questioni di critica e di storia dell’arte di cui non ho alcuna competenza tranne quella amatoriale. In effetti il titolo è una comunicazione affettiva da tifoso. Il tifoso non è soltanto un amante appassionato, ma è motivato dalla speranza che la squadra o il gruppo cui si sente legato, vinca o comunque si affermi. Dunque sono tifoso dell’art brut. In questo intervento cercherò di dimostrare l’importanza che la nobilitazione dell’art brut potrebbe avere, non solo per la storia dell’arte occidentale, che questo lo faranno pensatori più competenti di me, ma soprattutto per l’evoluzione del pensiero dell’uomo occidentale, e non solo, e per l’auspicabile trasformazione della struttura mentale verso la pensabilità, operazione abbandonata dall’arte ufficiale e che l’arte irregolare è chiamata a surrogare.
Partirò dall’approfondimento di alcune definizioni e peculiarità dell’arte di cui parliamo, così come sono state descritte dagli studiosi a cominciare da Eva Di Stefano, De Buffet ecc.. L’art brut è definita come arte irregolare, outsider art, arte primitiva, arte povera, ecc. Personalmente, in un lavoro per un convegno sull’art brut, l’ho definita arte amara per segnalare non la tristezza e la disperazione, ma la faticosità che è presente in ogni seria opera artigianale. Il sorriso amaro di chi produce con il solo piacere della realizzazione in sé. Di chi rinuncia ad ogni carezza e seduzione per l’osservatore, ed è tuttavia affascinante. La fascinazione senza cedimenti, più o meno espliciti, alla seduttività, ottenuta spontaneamente, realizza paradossalmente l’intento che l’arte contemporanea dell’antiestetica cerca di raggiungere intenzionalmente.
E quindi è designabile come arte pura, anche se dobbiamo stare attenti e sussurrare queste affermazioni perché come dice De Buffet, l’arte appena sente fare il suo nome scappa. Infatti dirò subito che il pericolo insito in ogni operazione di riconoscimento artistico rischia di condurre quel movimento artistico a snaturare la sua nobiltà. Possiamo utilizzare la metafora dei movimenti dinamici sociali per descrivere speranze e pericoli di questa acquisizione dell’art brut tra le forme d’arte annoverate ufficialmente tra quelle riconosciute. Nella dinamica dei gruppi sociali, quando una classe o un gruppo egemone e nobilitato fino a quel momento, entra in crisi, sia economica, sia di identità, sia di capacità evolutiva e di rinnovamento che non sia distruttivo, allora la componente più attenta di quel gruppo in crisi, tende a nobilitare quei gruppi outsider che pur tenuti fuori dal potere e dal riconoscimento, presentano delle caratteristiche di vivacità creativa e trasformativa che assorbita dalla vecchia classe si spera la rivitalizzi. L’art brut tenuta per lungo tempo ai margini come outsider o irregolare, adesso sembra che voglia essere nobilitata, anche se con la puzza sotto il naso, così come avveniva per i cafoni che venivano cooptati dalla nobiltà perché apportatori di ricchezza sostanziale e quindi benessere, ma accolti tuttavia con aria di disprezzo.
Le caratteristiche principali dell’art brut sono: la spontaneità, la selvatichezza, la giocosità, l’isolamento, che meritano di essere approfondite.

La spontaneità è la propensione a comunicare direttamente le emozioni, le angosce, le speranze, rinunciando a forme di mediazioni culturali e ad artifici tecnici studiati. La tecnica degli irregolari non è mai il fine del loro creare, è semplicemente il mezzo per esternare, è il mezzo di proiezione della loro interiorità. Le tecniche, per questo, sono le più diverse, da quelle arcaiche e povere, nel senso di essenziali, a quelle più sofisticate e ricche, a volte anche troppo piene. Spontaneità significa anche rinuncia al cerebralismo, ad ogni intenzionalità a significare. La simbolizzazione è a portata di mano e facilmente coglibile se ci si mette nelle stesse condizioni di innocenza di fronte al mondo.

Arte selvaggia, quindi non addomesticata. L’indomabilità appartenente a qualsiasi cosa, persona o evento, intanto è dovuta al fatto stesso di essere tenuto fuori: essere outsider. L’essere fuori dell’arte povera, quell’essere fuori dal mercato e dalla critica ufficiale è specifico perché si può essere irregolari non in quanto si sceglie di star fuori come accadde per i fauves, ma per condizione naturale. Le "Belve" come furono definiti, che pure sono stati annoverati tra gli artisti irregolari, decisero, scelsero di ribellarsi al conformismo cromatico degli impressionisti, si sforzarono di giungere a soluzioni cromatiche di un estremo naturalismo; ma appunto si sforzarono. L’arte invece degli artisti irregolari è naturalmente selvaggia, senza scelta o intenzione di questo tipo. Essa è non acculturata, spesso analfabeta e tuttavia con una grande capacità di comunicazione delle emozioni e quindi, necessariamente, con una grande capacità di trasformazione degli impulsi più primitivi. L’arte amara non rinuncia agli impulsi ma ha una grande capacità di trasformazione, quasi a smentire la concezione di Freud della necessità della rinuncia e della inibizione nella meta delle pulsioni per poter essere civili e felici. Addomesticare i pensieri selvaggi di cui scrivo altrove, citando Bion e Anche Freud, non va inteso come abbandono della spontaneità, ma significa attivare la capacità di trasformare. Freud dice che gli affetti: emozioni, sentimenti, passioni; sono trasformazioni delle pulsioni, quindi, per la loro comunicazione, esternazione, proiezione è necessaria una ulteriore trasformazione che pur non annullando la percezione della sensazione, la riscatta ed eleva a livello di esistenza superiore. La possibilità che questa trasformazione avvenga è dovuto ad un aspetto particolare, sottovalutato, dell’addomesticare. Addomesticare un uomo, un animale, un pensiero selvaggio, consiste nel fare entrare dentro casa, quindi operare un trasloco, nel trasformare una condizione da esterna ad interna. Si può verificare che il padrone della casa o il soggetto della psiche, sia rigidamente ancorato alla condizione esistente e quindi l’ospite sarà costretto ad abbandonare del tutto la propria identità diversa, snaturandosi, attuando una trasformazione regressiva, ancora più selvaggia, e distruttiva; oppure che il padrone sia capace di accettare il principio basilare di ogni relazione umana, ma anche semplicemente fisica, tra un elemento e un altro, tra un soggetto ed un oggetto, e cioè che la relazione comporta un cambiamento sia nell’oggetto cui si applica ma anche nel soggetto che lo applica. Così un uomo, qualunque cosa voglia addomesticare, non dovrebbe solo pretendere che l’oggetto dell’addomesticamento cambi condizione, ma dovrebbe accettare di modificare la propria umanità o la propria animalità o la propria pensabilità. Questo si evidenzia nell’artista attraverso la trasformazione evolutiva di quello che i critici chiamano stile. Man mano che l’artista attua una trasformazione nel suo rapporto con la natura egli ce lo comunicherà in un certo modo che sarà diverso, anche se leggermente, al modo di comunicare una successiva esternazione dovuta ad un nuovo livello di trasformazione. Lo stesso problema si può osservare al livello di movimenti artistici. Se l’art brut, outsider in quanto selvaggia vuole essere accolta in casa dall’arte ufficiale, quest’ultima dovrebbe accettare di essere cambiata dall’avvento di quella, e per questo ci sono grandi resistenze, per cui si vorrebbe che l’arte irregolare divenendo regolare abbandonasse semplicemente la sua natura spontanea e selvaggia, anzi qualche critico per evitare l’impatto difficile da digerire dà per scontato che la rinuncia alla spontaneità sia già avvenuta. Mi riferisco a quanto afferma qualche critico che dice: " Parlare oggi come avanguardia dell’Arte Povera è sintomo di grande confusione. L’Arte Povera è già storia. Mentre i temi della discussione sono nel nuovo dialettico confronto fra spazi e arte". Che è come dire far morire velocemente qualcosa ancor prima che nasca. Che l’arte povera sia e speriamo venga riconosciuta come un’avanguardia, lo possiamo dedurre proprio dalle affermazioni dell’esperto circa il nuovo dialettico confronto tra spazi e arte. Ma di cosa si è occupata l’arte da quando è apparsa tra gli uomini se non del rapporto con gli spazi? E questa sarebbe l’avanguardia? Se vogliamo accostare il concetto di avanguardia artistica al concetto da me usato di addomesticamento, dovremmo ammettere che l’avanguardia sta davanti a noi e che se volessimo addomesticarla dovremmo innanzitutto raggiungerla, cioè attuare dei cambiamenti noi per primi, anzichè di richiedere una modificazione nell’altro. La natura selvaggia dell’art brut è tale per cui, più che opporsi a qualsiasi classificazione, non è assolutamente una sua preoccupazione. Si dice anche che l’impossibilità di una qualche categorizzazione degli artisti irregolari, come mostrano anche i numerosi modi di definirla, impedirebbe di considerarla un movimento artistico individuabile, ma si dimentica che ad esempio il surrealismo, che pure è definito come movimento artistico definibile e differenziale, ha come suo assunto fondamentale, come unico principio che li accomuni, quello di essere fedeli a se stessi, in assenza di qualsiasi scelta comune formale o sostanziale.

La giocosità è una caratteristica spontanea di tutti gli artisti. Consiste in uno scambio proficuo e continuativo, tanto da diventare creativo, tra l’attività mentale del fantasticare e l’abilità manuale del fare. Il gioco è un sistema. È un sistema che può essere chiuso o aperto, ma che richiede delle regole che, dopo essere state create, bisogna conoscere e rispettare. Il gioco è l’emblema massimo della creazione differente. Ci sono vari esempi nella storia dell’arte di giocosità, ma quella di cui voglio parlare perché molto vicina all’art brut, è quella surrealista che ci apre le porte della giocosità degli irregolari e ci fa vedere anche le differenze tra i surrealisti e gli irregolari. L’importanza dell’attività ludica è un leitmotiv negli scritti di Breton.
Il gioco è una forma di attività individuale e collettiva che assume un’importanza determinante per la creatività dell’artista. Breton nel saggio "l’un dans l’autre" ricorda i principali giochi del gruppo dei surrealisti che possiamo riscontrare come forme artistiche anche negli irregolari. "fra i giochi che ci sollecitarono in modo più o meno durevole menzoniamo quelli della votazione scolastica(da +20 a -20) [dei grandi personaggi della storia], dell’analogia (se fosse), delle definizioni (che cos’è), dei condizionali (se…quando), del cadavere squisito (scritto o disegnato) dell’intervento dell’irrazionale (nella conoscenza d’un oggetto), del visitatore (aprite?) ecc". Breton passa poi a enumerare i vari procedimenti sul piano plastico, col fine di attuare l’automatismo verbale anche nel gesto: collage, frottage, fumage, coulage, decalcomania spontanea, disegno alla candela ecc. procedimenti che vennero subito messi dal loro inventore alla portata di tutti. Procedimenti e tecniche che tutti gli artisti irregolari applicano spontaneamente e liberamente.
Se il gioco è un sistema più o meno chiuso, crea inevitabilmente un’area di appartenenza di chi partecipa al gioco ed un fascino misterioso per gli osservatori esterni. La partecipazione esclusiva al gioco può essere di un gruppo più o meno grande, ma anche il gioco può essere un’esclusività del singolo. Mi sembra che la giocosità degli irregolari appartenga più spesso al gioco personale che al gioco collettivo. A conferma della delicatezza della questione da molti si discute se sia giusto indirizzare la creatività degli artisti con disturbi mentali, al fine della loro riabilitazione, verso regole tecnico estetiche condivise. O piuttosto non sia preferibile lasciare che il gioco sia privato e autoreferenziale e cercare di capire le regole interne, affidandosi alla naturale capacità degli artisti di attuare trasformazioni terapeutiche. Gli artisti creano oggetti che contengono le qualità per attivare la pensabilità. E questa dote è particolarmente presente negli artisti irregolari. Un esempio della necessità di conoscere le regole del gioco perché un osservatore comprenda appieno la portata della comunicazione è dato da una mia esperienza.
Mi è capitato nel corso degli anni ogni tanto di imbattermi in certi quadri o disegni di Breton o altri dal titolo "il cadavere squisito". Pensavo che si trattasse della solita bizzarria dei surrealisti per cui cercavo di cogliere l’essenza del titolo dal contenuto del quadro e siccome sforzandosi si trova sempre uno straccio di significato mi accontentavo, ma non avevo capito nulla e peggio non potevo cogliere la portata artistica creativa. L’ho capito di recente grazie ad una mostra in cui veniva raccontato e spiegato il gioco di cui ero ignorante. Fu sperimentato prima il gioco di parole e poi di immagini. Il gioco consisteva nel fatto che una persona scrivesse su di un foglio un sostantivo, poi ripiegasse il foglio, tanto da rendere invisibile ciò che aveva scritto alla successiva persona che scriveva un aggettivo, ripiegando a sua volta il foglio e così via con una terza che doveva scrivere al buio un verbo e poi una quarta, un complemento oggetto e poi una quinta, un aggettivo del complemento oggetto. La prima frase che risultò alla fine di questo procedimento fu "Il cadavere squisito berrà il vino nuovo.". gli esiti sono sempre sorprendenti per la loro qualità insolita e molto spesso poetica ed è straordinario come qui l’arbitrario diventi razionale ed evochi una realtà altra.
Dopo di ciò, applicarono lo stesso metodo ai dipinti per cui un pittore dipingeva una porzione di tela o di foglio, al secondo veniva occultato lo spazio già dipinto e dipingeva un’altra porzione della tela che a sua volta veniva nascosta al successivo fino a completare lo spazio della tela, ricavandone infine un immagine complessiva e complessa ma interessante nel suo significato di svelamento del mistero e come dice Breton di accentuare straordinariamente i rapporti che uniscono il mondo esterno e quello interiore. Mi sono soffermato su questo gioco perché potremmo usarlo per capire certi artisti psicotici che senza saperlo applicano questa tecnica di far dipingere su di uno spazio comune tutte le parti di sé che in quanto scisse non sanno e non vedono nulla delle altre parti, ma costruendo tuttavia un insieme inquietante ma significativo di strati profondi della mente. Questi quadri vennero denominati dal primo esperimento "Il cadavere squisito". I surrealisti usarono spesso altri giochi perché erano certi che così facendo avrebbero avuto accesso ad una visione del mondo diversa e più profonda.

L’isolamento è una condizione molto penosa per un artista per quanto da lui ricercata. Ancora più penosa se imposta dall’esterno da condizioni ambientali o da qualche istituzione. L’isolamento di cui si parla è per gli irregolari, sia nei confronti degli altri artisti, condizione che impedisce che si crei un contenitore comune di intenti, fallimenti, aspirazioni, tentativi, empatia, comprensione e complicità; comunanza che fa resistere di più allo scoramento dell’artista alle prese con il limite della sua capacità di tradurre all’esterno ciò che si agita all’interno; ma un isolamento può esserci anche nei confronti del pubblico, tranne qualche singolo amatore. L’artista ha bisogno del proprio pubblico come l’ossigeno perché solo così si sente riconosciuto e quindi rassicurato sulla sua natura ed identità ed anche perché dico io il pubblico è lo specchio della sua pubblic/azione.
Il meccanismo mentale della pubblic/azione, di cui parla Bion, è l’atto di rendere pubblico un pensiero o un emozione. La pubblic/azione può avvenire tramite la parola, o il disegno, il suono, il colore, la scrittura, quindi anche attraverso i mezzi artigianali propri degli artisti. La pensabilitá ne è quindi la premessa ma non obbligatoria, perchè è possibile una pubblic/azione senza pensabilità. Inoltre bisogna fare un passo avanti all’interno della pensibilità, nel senso di giudicare il valore del contenuto della pubblic/azione derivante dalla pensabilità. La trasformazione di sensazioni fisiche endogene ed esogene, di emozioni, di fantasie in pensabilità non ci dice se il contenuto della pensabilità che viene pubblic/ato sia il peggio o il meglio di noi stessi. Su questo incide il contesto educativo della società, nel senso più genuino del termine: cioè di trarre da. Bisogna vedere che cosa tiriamo fuori dai giovani se il meglio o il peggio, e così bisogna vedere cosa facilitiamo a tirare fuori e a pubblic/are, se gli aspetti mostruosi e distruttivi o le componenti vitali e costruttive. Così pure, questo vale anche per gli artisti. La mia idea è che diversamente da quanto accade per molti autori per così dire regolari di arte contemporanea, gli irregolari, gli artisti dell’arte brut, riescono a pubblic/are, insieme all’amarezza, al dolore, alla paura, ai fantasmi persecutori, anche la speranza il riscatto e l’amore per la natura e per la vita. Ed inoltre le opere degli irregolari sono, più di quelle degli altri pittori contemporanei, ascrivibili ad oggetti della pensabilità, anzi puri oggetti fomentatori di trasformazioni, riparando l’impensabilità diffusa nell’arte contemporanea. Nelle opere degli irregolari possiamo rinvenire la naturale presenza di tutte le dimensioni dell’oggetto della pensabilità. La dimensione della sensorialità e della memoria è presente nell’arte povera con il riferimento esplicito alla percezione dei sensi. L’esperienza di fronte alle loro opere è quella di sentirsi toccati, invasi da odori, colori, forme tangibili. Riguardo alla disciplina dei sensi, cioè all’estetica, la loro posizione è che l’anti estetica non è dovuta ad un rifiuto, ma alla possibilità di accedere ad un’estetica diversa capace di esprimere con una maggiore autenticità i propri bisogni e desideri, capace di memorie nel senso di rigurgiti dell’inconscio. A proposito della memoria si può sottolineare che gran parte della produzione artistica dell’art brut, può essere annoverata come facente parte della pittura della memoria, così è definita ad esempio la pittura di Gauguin. Cioè quella pittura che non riproduce la realtà esterna così come si vede, ma riproduce una visione interna così come si ricorda o si immagina. La dimensione delle passioni e degli affetti è presente nelle opere degli irregolari attraverso l’inconsapevole e non cercata comunanza di sentimenti, esprimibile con le parole di Breton: "il mondo intero si illuminerà di nuovo perché ci amiamo, perché una catena di illuminazioni passa attraverso di noi". Si tratta dell’amore illuminazione.
Quando si osservano diverse opere di artisti dell’arte povera, dell’arte amara, dell’art brut, dell’arte irregolare e di qualsiasi categoria: contadini, malati mentali, carcerati, analfabeti, si ha forte l’impressione che circoli tra loro un’affettività comune come appunto una catena d’illuminazioni. L’emozione palpabile e incoercibile è dimostrata dalla reazione comune di fastidio o di fascino o di perturbante: uneimlich, il non familiare da cui deriva la vera motivazione della concezione del diverso, dell’estraneo, dell’outsider.
La dimensione del mito è presente tra gli artisti dell’arte amara, nella loro propensione a raccontare storie. Storie dell’inferno, della dannazione, dell’abisso della solitudine, dell’ingiustizia, ma raccontate come miti, con il piacere del cantastorie che può parlare di ciò che ha visto e vissuto.
La dimensione dell’etica è presente nell’autenticità delle loro opere, nell’esporsi in prima persona, nella responsabilità di essere se stessi e riconoscibili senza falsificazioni o mascheramenti.
Infine possiamo affermare che se c’è una cosa che accomuna gli artisti dell’art brut e li caratterizza come movimento artistico è l’inconsapevolezza di essere un insieme di artisti distinguibili da altri. Questa inconsapevolezza, è ciò che io chiamo il non pensato, condizione indispensabile per la pensabilità. Paradossalmente perché si realizzi la pensabilità è necessario astenersi dal già pensato che risulterebbe zavorrante nell’operazione della creazione differente.

Riccardo Romano

 

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