Cultura e Società

Intervista con Salomon Resnik, RIVISTA AREL, Febbraio 2012

20/02/17

RIVISTA  AREL   Febbraio 2012

http://www.arel.it/news/news-ed-eventi/salomon-resnik-e-lindagine-sullidentita

Nella sincerità tra la persona e la sua maschera sta l’identità

Intervista con Salomon Resnik

di Mariantonietta Colimberti e Emanuele Caroppo

Medico e psicoanalista argentino di fama internazionale, Salomon Resnik nonostante l’età avanzata (è nato nel 1920) continua ad essere presente nel dibattito culturale europeo e italiano. Da anni svolge la sua attività tra Parigi e Venezia e lo scorso 19 ottobre gli è stata conferita la laurea magistrale ad honorem in Scienze filosofiche dall’Università della Calabria.

INTRODUZIONE: sulla Rivista Arel una lunga intervista a Salomon Resnik che esprime il proprio punto di vista su cosa sia “onestà”, declinando il suo senso nel sociale, nell’etica e nel rapporto psicoanalitico. Conclude dichiarando che per lui la vita sia avventura e gioco, svelando le radici della sua vicenda: appassionata, libera e creativa. (Silvia Vessella)

WWW.AREL.IT

Mariantonietta Colimberti e Emanuele Caroppo

Professore, questo numero della nostra rivista è dedicato al tema dell’onestà. Cosa le suggerisce questo termine di primo acchito?

Il termine onestà risulta secondo me un po’ formale, viene da honor, onore, quindi invita al narcisismo e talvolta all’arroganza (se si parla in prima persona). È un termine legato all’etica, a un discorso da ethos a ethos: propone un dialogo con l’altro ma contemporaneamente con se stessi. È difficile e complesso ragionare su un’etica inconscia e sulla possibilità, o le difficoltà, di collegarla con la coscienza lucida in un contesto dialogico.

Mi viene in mente The Importance of Being Earnest, dove Oscar Wilde propone un confronto tra la persona chiamata Ernest, protagonista dell’opera, e l’aggettivo earnest, onesto. Il protagonista si chiama in realtà Jack, ma si finge Ernest quando dalla campagna si sposta in città, per potersi sentire più libero. Jack/Ernest in città s’innamora di Gwendolen, tutto finirà bene ma, prima delle nozze tra loro due, rimane ancora il problema del nome: Gwendolen dice infatti di voler sposare un uomo solo se si chiama Ernest. Dato che la zia di Jack dice che questi era stato chiamato come il padre defunto, di cui non ricorda il nome (Jack non era mai stato a conoscenza delle sue origini), Jack consulta gli elenchi militari e scopre che effettivamente il padre, e quindi anch’egli, si chiamava Ernest. Con questo gioco di parole, dove Jack non è né “earnest” (onesto) né “Ernest” (in inglese le due parole si pronunciano allo stesso modo) si pone il problema del doppio: chi è il vero e(a)rnest, cioè chi è il vero onesto nella vita e nel comportamento? Oscar Wilde, nella sua sincerità, dirà che entrambi fanno parte della sua identità.

D’altra parte essere sincero, quindi sin cerum, è impossibile, è come parlare di una verità assoluta. Heidegger, nel suo Von wesen der Wahrheit (trad. it. L’essenza della verità), propone un approccio fenomenologico all’essenza della verità. Che cosa è un tavolo? Qual è un vero tavolo? La risposta sarà: «Proprio ciò che lo fa essere tavolo». Pone il problema del significato universale del tavolo e la sua essenza, tutto quello che c’è di specifico e unico. Riprende il mito della caverna di Platone e propone un ripensamento sul concetto di eidos e di eidola. Quale è la verità o realtà del prigioniero che solo percepisce l’ombra della realtà del “foris”, concepita come realtà in sé? Quando vive l’esperienza di essere fuori nel mondo, esperimenta un sentimento di leggera cecità, che gli fa vivere una sorte di confusione tra il vero e il falso, o forse tra due forme della verità.

Italo Calvino, alla fine del racconto Il visconte dimezzato, propone un dilemma esistenziale fondante quando il cattivo e il buono o troppo buono, si uniscono tra due palle di cannone, una che divide e l’altra che unisce. Si risolve il dilemma nel senso che il vero visconte non è né troppo cattivo né troppo buono. L’importante è che ciò che lui è si mostri nella sua ambiguità reale.

La verità della persona, quello che mi ha preoccupato dal mio primo libro Persona e psicosi, è il grado di sincerità tra la persona e la sua maschera (o il suo grado di coerenza dialettica). Quello che dà alla persona la sua vera identità secondo me è il suo stile di vita, forse con le sue contraddizioni, ma comunque dando un’immagine di un vero se stesso. Italo Cavino, amico mio da diversi anni, era una persona vera, ma a volte come i suoi personaggi: a momenti esistente e a momenti quasi inesistente, come un suo altro personaggio, il cavaliere inesistente.

Proviamo allora a parlare dell’onestà nel rapporto psicoanalitico. Quand’è che uno psicoanalista è onesto nella sua relazione con il paziente? Quando controlla il suo controtransfert o quando lo esplicita? Quanto l’onestà ha a che fare con la verità?

Nel piano dell’esperienza psicanalitica stessa, onestà con se stessi significa un’apertura verso settori non sempre facili da accedere. Tale ricerca mette in conflitto l’essere con il desiderio inconscio e con il potere nel sistema di scambi in una società post-contrattuale. Karl Robert Eduard von Hartmann (Berlino 1842-1906) introduce nella filosofia, e in particolare nel campo della metafisica, la nozione d’inconscio come una realtà in sé che completa la nozione d’inconscio di Schopenhauer (Salomon Resnik, Biographie dell’inconscient, p. 72). Per lui si tratta anche di una realtà corporea là dove il corpo è “la maison de l’etre”. Nei mistici, come santa Teresa d’Avila, il corpo è la dimora sacra dell’anima (parla di “castello interiore”). Il libro di von Hartmann Filosofia dell’inconscio(1), che appare nella metà del XIX secolo, propone un’apertura e una riflessione filosofica profonda sulla verità e quindi onestà o meno dell’essere se stessi. Egli propone quindi una dimensione dell’inconscio fatto corpo, che ha le sue radici sulla terra, sul convivere con la natura (secondo l’espressione di Bion quando gli chiedo il suo parere sulla realtà dell’inconscio, vedi conferenza di Bion a Parigi nel mio libro Biografie dell’inconscio). D’altra parte io penso e sento che a volte c’è un dialogo implicito, empatico e onesto, tra il mio corpo vissuto e il corpo della natura che mi circonda. Ho finito di scrivere un libro intitolato L’arte del dettaglio in parte sulla mia esperienza con il paesaggio di Capri, soprattutto sul mio dialogo con le pietre dell’isola. Penso che le pietre siano le più antiche testimoni del big bang e quindi archivio “onesto” e prezioso di quello che hanno “visto”, assorbito e archiviato nella loro “essenza” litica.

In psicoanalisi si pone anche il problema della natura e materia del transfert e della onestà o meno, con la quale il discorso tra inconscio e conscio si esprime. Penso anche alle vicissitudini contraddittorie dell’essere umano in analisi, tra pulsione di vita e pulsioni di morte, citando Freud. Per tollerare il transfert negativo bisogna anche accettare talvolta, con dolore, di non essere amato dal paziente. Altrimenti è un falso transfert negativo. Si tratterebbe filosoficamente, in termini hegeliani, di un confronto tra due negativi. Che cosa possono dare di positivamente onesto e utile?

Si pone, quindi, in psicanalisi la questione dell’onestà o meno con la quale si accetta un paziente e viceversa si è accettati dal paziente. Questo non può essere solo interpretato in termini di transfert positivo o negativo, ma anche come una forma implicita di empatia o dispatia. Forse le diverse forme di espressione del pathos fanno anche parte della psicopatologia normale del transfert. Il problema della scelta del paziente e la scelta dello psicanalista o psichiatra propone una disponibilità onesta o meno. Una cosa è analizzare il transfert positivo o negativo, o due aspetti di un insieme dinamico, e un’altra cosa è occuparsi talvolta di una persona che uno non ha scelto né ama d’emblée o subito. Si tratta di analizzare il ciclo di empatia, cioè le vicissitudini del pathos tra simpatia, antipatia e apatia, come diverse forme del ciclo patico.

C’è differenza tra l’onestà che si richiede a un medico dell’anima e quella che si richiede a un medico del corpo? Anche qui, che relazione c’è tra l’onestà e la verità?

Per me non c’è differenza, perché come psicoanalista di bambini e adulti mi sono occupato soprattutto del linguaggio del corpo. D’altra parte, è un problema umano e di civiltà. Solo che dal punto di vista psicanalitico, non basta dire “sono onesto”. È necessario poter entrare in contatto con gli aspetti onesti e non onesti di ognuno, civili e non civili, umani e non umani. In questo senso il grande filosofo Nietzsche, in Umano, troppo umano, parla del valore del mettersi in questione, di essere consapevoli delle proprie menzogne e delle proprie virtù. Ci sono persone che si dicono oneste a se stesse e soprattutto che ripetono “io dico sempre la verità”… attenzione, sono disoneste e paranoidi.

Guardiamo le cose da punto di vista del paziente. Anche a lui è richiesta una forma di onestà? Qual è?

Senz’altro. Ma si tratta di un livello inconscio che richiede un metodo analitico che lavora sul non conscio e tenga in conto della reciprocità del fenomeno di empatia. Cioè di un’espressione onesta, se si vuole, dell’uno e dell’altro, che venga dal profondo o che è patente e non visto per la sua intensità, come un eccesso di luce che acceca.

Lo svelamento conseguente a un cammino psicoanalitico appartiene alla categoria dell’onestà? Può, questo stesso svelamento, mettere in crisi l’esistenza reale del paziente?

Qualche tempo fa un giovane mi ha detto: «Sono problematizzato perché amo mia moglie, ma nel sogno sono infedele». Naturalmente, il mondo dei sogni del quale mi sono occupato, chiamato da Freud “via regia” all’inconscio, costituisce un confronto importante tra il desiderio o pulsione, naturalmente inconscia, e il principio di realtà. Anche per quanto riguarda il significato di un’istituzione come il matrimonio. Si tratta del grado di onestà dell’altro che ci abita e che relazione ha con quello che è…

Cos’è per lei l’onestà intellettuale?

Non ha senso parlare di onestà intellettuale senza concepire globalmente l’apparato psichico e la globalità dell’essere. Dipende da che tipo d’intellettuale si parla. Un paziente schizofrenico grave, parlando del suo delirio come di una filosofia propria, dice: «Tutto quello che penso, scrivo e dico, è onestamente logico, è bene articolato, secondo i principi del pensiero filosofico». Poi aggiunge: «Non c’è nessuna emozione. È pensiero puro…».

Cosa significa l’onestà in una dimensione sociale?

È difficile parlare di onestà in termini sociali in un momento dove si scopre il contenuto inconscio di un pensiero capitalista e anche pseudo-comunista che reifica la relazione con l’altro. Là il lavoro di Karl Marx sull’alienazione mi pare fondamentale nella misura in cui oggi più che mai l’uomo non riesce a differenziarsi dalla merce stessa e viene mercificato o reificato.

La vita è necessariamente un continuo dilemma psicosociale.

Lei ha conosciuto molti grandi della psicoanalisi e del pensiero psicoanalitico: Melanie Klein, Bion, Winnicot, altri ancora. Chi di loro le è sembrato più “onesto” e perché?

Per finire voglio dire due cose: io ho conosciuto queste persone, ho lavorato con loro nei miei anni a Londra e tra di noi abbiamo avuto qualche volta un dialogo più cristallino o più opaco, a seconda del giorno e delle circostanze. L’altro giorno un paziente psicotico, che è anche psichiatra aggiornato, parlava di tutti questi personaggi da voi citati in modo conflittuale. Io ho risposto che si trattava di diversi aspetti analitici, aspetti di se stesso, in conflitto e che avevano la maschera di tutti questi personaggi. Valeva la pena mettere via le maschere con prudenza, e fare in modo che si confrontasse con le sue proprie contraddizioni e conflitti di “concorrenza” di gelosia e di invidia, tra diverse parti di se stesso.

Voglio dire anche che oggi mi confronterò con una realtà surrealista a Venezia: andrò stasera in un ristorante che si chiama precisamente Dona onesta (vicino al mio studio, nello stesso quartiere che è Dorsoduro). Mi piace la vita come avventura e come gioco.

Nota

(1) Eduard Von Hartmann, Philosophy of the Unconscious, Kegan Paul, London 1931.

Vedi anche: Dossier “Per una nuova ecologia” 

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

"Freud, il lessico della psiche in nuove versioni" di A. Luchetti, il Manifesto ALIAS, 20/10/2024

Leggi tutto

Il mistero degli adolescenti e il dissesto della società, D. D’Alessandro, Huffpost 31/10/2024

Leggi tutto