Agostino Racalbuto
Parole chiave: Racalbuto, Psicoanalisi, Simbolo
In ricordo di Agostino Racalbuto, maestro di psicoanalisi
L’analista siciliano ha lasciato lezioni e idee che continuano a essere valorizzate attraverso il lavoro di allievi liberi di esprimersi, mai fagocitati o costretti a ripetere il suo verbo
di Davide D’Alessandro
È facile dire che i maestri non vanno idealizzati o, peggio, idolizzati; ma, di grazia, che maestro è uno che non sia stato almeno qualche volta idealizzato? Importante è che lui non abbia fatto alcunché per esserlo, che non abbia favorito o, peggio, costretto l’allievo a idealizzarlo. Sarà accaduto qualcosa di simile con Agostino Racalbuto, psicoanalista freudiano nativo di Catania, ma affermatosi a Padova, dove si specializzò in Neuropsichiatria Infantile e vi insegnò Psicologia dinamica all’Università, prima di lasciare la città veneta e la vita troppo presto, a 56 anni, per un aneurisma cerebrale.
I tanti amici e gli allievi del Centro Veneto di Psicoanalisi, di cui fu anche Presidente, lo hanno ricordato più volte dalla scomparsa, ma è ritornando sui suoi libri, soprattutto “Tra il Fare e il Dire”, che se ne scorgono portata, spessore e lezione. I maestri, quelli veri, danno e lasciano lezioni senza darne e senza lasciarne, con l’atteggiamento dello studioso che non smette di ricercare, di collaborare con gli altri per affinare il proprio pensiero, per renderlo vivido e fruibile. Di tutto ciò, quelli che restano, sono grati.
Ne ho trovato traccia nello scritto di una di loro, Valeria Pezzani, che fu sua allieva prima di diventare analista della Società Psicoanalitica Italiana: “Il mio diventare psicoanalista lo devo in gran parte a lui: è stato per prima cosa il mio docente di Psicologia dinamica, al secondo anno di Università, e credo che proprio durante questo corso sia nato in me l’interesse (investimento) per la psicoanalisi. Un interesse che ha posto le basi nel suo modo di raccontare le relazioni primarie, in particolare quella magica relazione madre/bambino che avviene ‘al di qua delle parole’. La ricchezza di quelle lezioni stava nella capacità di Racalbuto di descrivere quel particolare tipo di amore, quello della madre nei confronti del bambino, e tanto più quello del bambino nei confronti della madre, che lungi dall’essere un dato di fatto, è stato raccontato nel suo evolversi, come qualcosa da costruirsi nella relazione. Come tutto nella vita, questo amore non è sufficientemente pregnante né significativo se non conosce anche sentimenti che amorevoli non sono, come sentimenti di odio, di dolore, di infelicità e impotenza. Racalbuto riusciva a evidenziare la complessità dell’articolazione della vita dell’individuo umano, che può conoscere qualcosa solo se questo esiste in relazione a qualcos’altro che da esso si differenzia; non potremmo conoscere cos’è un’alba senza il tramonto, l’amore senza l’odio, il piacere senza il dolore e, in definitiva, chi siamo se non conosciamo l’altro”.
Questa testimonianza è presente in “Al di là delle parole. La cura nel pensiero di Agostino Racalbuto”, a firma di Maria Vittoria Costantini e Maria Pierri, edito da Franco Angeli. Ma è in un precedente volume, sempre di Franco Angeli, a cura di Maria Pierri e dello stesso Agostino Racalbuto, “Maestri e allievi. Trasmissione del sapere in psicoanalisi”, che il tema torna e si riafferma secondo canoni e valori destinati a rinnovarsi nel corso del tempo.
Scrive Carla Cremonese nella presentazione: “Questo testo si propone di riflettere sul rapporto maestro-allievo, valorizzando l’unicità e la specificità di quell’esperienza libidico emotiva e culturale che viene proposta dalla formazione psicoanalitica, proprio mentre il dilagante e multiforme campo della psicoterapia propone attualmente un numero imprecisato di scuole ad indirizzo psicoterapeutico, la maggior parte delle quali in grado di offrire percorsi formativi certamente più agevoli e brevi del training analitico”.
Ma un rapporto che si fonda sulla trasmissione di un sapere non può essere breve. Dura, intanto, il tempo di una vita, per poi propagarsi ed estendersi ulteriormente per altri rami che, come ha ricordato Stefanio Bolognini, non disconoscono il tronco. Il tronco, ovviamente, è Freud ma, dopo Freud, c’è stata una ricchezza di vedute, di studi, di esplorazioni che hanno contribuito ad alimentare il pensiero psicoanalitico. Racalbuto si inserisce in questa traiettoria, intercettato da allievi intelligenti che cercano di rilanciarne le idee con rispetto e spirito critico. Soltanto così l’allievo-erede onora il maestro, soltanto così il maestro può essere soddisfatto dell’allievo-erede. Era stato lui stesso a mettere in guardia: “Uno dei rischi nella trasmissione del sapere psicoanalitico è quello di un eccesso (l’hybris è sempre un pericolo!) di affetto, di legame ad personam. Ricordiamo che la filiazione riuscita è quella che permette a genitore e figlio di mantenere un ambito di indipendenza reciproca, di libertà di scelta, di relativa obiettività di giudizio. L’eccesso di affetto, un Eros che fa un legame monotematico, appartiene alla ‘diade’ ed esclude una terzietà oggettivizzante; per tali trasmettitori del sapere (analisti, supervisori, docenti, genitori) ogni scarafone è bello a mamma soie”.
Esemplare. Come dev’essere un maestro.