Cultura e Società

Il senso di colpa è di sinistra? Intervista a Giovanni Foresti – Repubblica 19 nov 2011

28/11/11

INTRODUZIONE: in un‘intervista su D di Repubblica dal titolo
accattivante  Giovanni Foresti,
presentando un libro scritto a più mani “Psicoanalisi in giallo. L’analista
come detective”,  si confronta con
l’intervistatore il giornalista Giacomo Papi sul  tema della fortuna della lettura dei libri
gialli presso i lettori della  sinistra.
Egli ipotizza che con la lettura del
giallo si tenti di esorcizzare un senso di smarrimento di fronte alla
perdita del contenitore ideologico con una sorta di risoluzione salvifica
offerta dal giallo, che mette in scena la punizione.

Responsabile di tutto: la
coscienza morale. (Silvia Vessella)

LA
REPUBBLICA  19 nov.2011

Attualità

GIACOMO PAPI

Il senso di colpa è di sinistra?

nuove diagnosi.
Perché detective e delitti hanno preso il posto dei sogni di mondi migliori?
Uno psicoanalista lo spiega con un complesso

 

Scusi il
ritardo, dottore, è molto che aspetta?

“Saranno dieci minuti. Non si preoccupi”.

Non mi
preoccupo, ma mi sento colpa: in ritardo a un appuntamento con uno
psichiatracome lei, Giovanni Foresti, che studia la relazione tra gialli e
senso di colpa e che ha appena pubblicato un saggio sulle somiglianze tra il
metodo del tenente Colombo e la psicoanalisi. Secondo lei l’ho fatto apposta?

“Ancora non lo so, ma stia tranquillo, a fine intervista farò la mia
diagnosi”.

Allora
iniziamo. Partirei da una mia privata ossessione. Come mai dal 1990 a oggi gli
investigatori privati e gli scrittori di gialli e thriller in Europa sono
prevalentemente di sinistra? Manuel Vázquez Montalban e il suo Pepe Carvalho,
Camilleri e Montalbano, Stieg Larsson, Fred Vargas… Potrei continuare. Prima
il giallo era un genere maschilista, realista, darwinista. Più orientato a
destra. È possibile che con la caduta del muro gli scrittori di sinistra si
siano buttati sul giallo perché è il genere più adatto a ricomporre un ordine
infranto?

“Quello che lei nota è vero, ma è tutto. A un certo punto la sinistra
fa suo un genere fino ad allora screditato. Negli anni 70 i gialli si
compravano in edicola, in libreria non si trovavano neppure. Se il lettore
colto li leggeva lo faceva con cattiva coscienza e non ne parlava volentieri,
come fosse un vizio privato da coltivare in penombra”.

Siamo già
arrivati al senso di colpa…

“In un certo senso sì. Evidentemente oggi il giallo impatta con
l’immaginario collettivo di una sinistra che si sente orfana di tante cose.
Innanzitutto perché ha perso il contenitore simbolico di un’ideologia che
prometteva la risoluzione salvifica delle contraddizioni sociali. Di fronte a
questo smarrimento soddisfa il proprio bisogno di salvezza affidandosi a un
investigatore che risolve l’ingiustizia e trova il colpevole. Dalla lotta di
classe siamo finiti a giocare a guardia e ladri”.

 È lo stesso bisogno alla base della
fascinazione di gran parte della sinistra italiana per i giudici?

“Detto che spesso i giudici sono gli unici in Italia a svolgere una
lotta sociale incisiva, è vero che in qualche misura alla giustizia sociale si
è sostituita la giustizia tout court, la giustizia dei tribunali. Per chi
immagina un ripristino della giustizia e un movimento progressivo della
società, il giallo può rivelarsi un contenitore simbolico efficace perché si
concentra sulla lotta dei buoni contro i cattivi e mette in scena una
narrazione alla fine della quale di solito la giustizia trionfa”.

Questo spiega
la relazione del genere con il bisogno di giustizia, non con il senso di
colpa…

“Tenga presente che i contenitori simbolici consentivano anche di
contenere certe aspettative e bisogni come l’esercizio dell’aggressività e
della critica, a cui l’ideale della lotta di classe dava un senso positivo. Il
giallo consente di giocare il tema della violenza con delle finalità buone e
cattive: ci sono delle organizzazioni criminali, ci sono degli assassini e ci
sono degli altri che li combattono cercando il colpevole di attività
reprensibili. E qui arriviamo al secondo versante, perché io sono persuaso che
uno dei problemi della sinistra resti il terrorismo. Non parlo di un livello
concreto, rimaniamo al di là della propaganda della destra (non c’è dubbio che
le grandi organizzazioni storiche della sinistra siano state e siano ancora
protagoniste di una lotta efficace contro il terrorismo), tuttavia qualcosa
negli anni Settanta è successo. Si è passati dalla gara a spararla più grossa a
sparare davvero. Non credo che in Italia la sinistra abbia fatto del tutto i
conti con questo”.

Però in una
certa sinistra degli anni Settanta c’era un po’ di compiacenza verso i cattivi,
“ladri, puttane e poco di buono”, che oggi pare scomparsa
.
“Indubbiamente il lettore sta dalla parte della legalità e della
giustizia, ma il senso di colpa è ovvio solo in apparenza. Se lo si studia
clinicamente è tutt’altro che banale. È per esempio del tutto contro intuitiva
la nozione di senso di colpa inconscio. Il soggetto non lo sa, ma il senso di
colpa è presente e agisce in lui. È un fenomeno che si vede bene nei bambini
quando fanno qualcosa perché vogliono essere puniti. È il caso del delinquente
che compie il male perché si sente colpevole. La spiegazione di Freud è che si
cerca la punizione per risolvere un problema psichico interiore che ha a che
fare con un senso di colpa inconscio. Il problema è che oggi viviamo in una cultura
che fatica a organizzare una risposta efficace. I genitori non sanno più dire
di no. Perché il senso di colpa passi dallo stato incosciente a oggetto della
coscienza occorre un’agenzia sociale in grado di somministrare la punizione.
Soltanto in questo modo consente la metabolizzazione della colpa. La sequenza è
colpa-punizione-pentimento-perdono. Oggi questa sequenza si è incagliata”.

Sì, ma il
giallo che cosa c’entra? “Il giallo mette in scena la punizione”. Sta
dicendo che il successo dei gialli dipende dal fatto che mostrano una punizione
in un mondo in cui nessuno sembra più in grado di punire
?

“I gialli mostrano una colpa specifica che consiste in condotte
criminose specifiche. La colpa si deve a delitti concreti. Non sei in colpa
perché mangi come un ossesso, devasti il pianeta e i tuoi figli saranno più
poveri di te. Sei in colpa perché hai rapinato o ucciso, e non la farai franca
perché c’è qualcuno sulle tue tracce e sarai punito. Avrai il sollievo della
punizione, quindi potrai pentirti e ottenere il perdono. Cioè metabolizzare la
colpa”.

Dalla sua
analisi, emerge il profilo di una società molto poco nichilista, in cui i
cosiddetti valori – il bene e il male, per intenderci – continuano ad agire a
tal punto da dover essere sublimati e tradotti in altri linguaggi dalla cultura
popolare.

“Il senso di colpa implica il
riconoscimento di valori precisi ed è molto più diffuso di quanto tendiamo a
pensare. In previsione del nostro incontro ho rivisto il primo episodio di
Colombo, che calza perfettamente con quanto stiamo dicendo. La colpevole è
Leslie Williams, un avvocato donna che ha ucciso il marito. Alla fine il
tenente Colombo le spiega come ha fatto a incastrarla: “Lei non ha una
coscienza, avvocato. Lei non riesce a capire gli altri””.

Significa che
la sua colpa, più ancora dell’omicidio, è non provare senso di colpa? C’è una
relazione così stretta tra senso di colpa e compassione?

“Aver provato senso di colpa ed essersi sentiti perdonati aiuta ad
aver compassione, pietas, altrimenti ci si limita a biasimare gli altri per le
“loro” colpe. La coscienza delle emozioni, la coscienza detta
“morale”, nasce dalla possibilità di identificarsi affettuosamente
con gli altri comprendendone motivazioni e limiti”.

Quello che più
mi affascina in Colombo è che manca il momento della punizione. In Colombo
l’umanità del colpevole non è mai negata. Voglio dire: può esistere
ricomposizione dell’ordine e metabolizzazione della colpa senza umiliazione,
senza punizione pubblica? A vedere i filmati della fine di Gheddafi si direbbe
che siamo ancora lontani.

“Nel lavoro analitico dovrebbe essere sempre così. La ricomposizione
dovrebbe fare a meno del momento dell’umiliazione. E tutta l’arte consiste nel
fare emergere la colpa senza mortificare il colpevole. Per questo quelle di
Colombo sono inchieste cliniche”.

Tornando a dove
siamo partiti, c’è un motivo analitico per cui la sinistra, almeno in Italia,
sembra più propensa della destra a sentirsi in colpa?

“Ci sono due varianti del disturbo narcisistico. La tipologia più
evidente è arrogante, ipocritica, autocelebrativa (su Repubblica si è scritto
molto di egolatria). C’è un lavoro di Freud del 1917, due pagine appena,
intitolato Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicologico. Sono le
prime osservazioni sui casi in cui il lavoro analitico non funziona. Il primo
tipo di carattere – Freud ricorre al Riccardo III di Shakespeare – riguarda
persone che si sentono diverse dagli altri (e lo sono davvero), che rovesciano
in una specie di trionfo superomistico la loro deficienza. È difficile evitare
riferimenti all’attualità politica. La seconda variante è tormentata,
introversa ed eternamente insoddisfatta (è l’infelicità dell’anima bella, già
descritta da Hegel che ne criticava l’incapacità di comprendere il corso-del-mondo:
Weltlauf). La differenza più evidente fra le due posizioni (e anche fra destra
e sinistra) è il machismo e la cultura dell’aggressività. La destra ha un
rapporto assai disinvolto con l’aggressività. La sinistra non ha ancora
superato sensi di colpa personali e collettivi, più o meno giustificati (oggi
per la corruzione ed egoismi particolaristici; in passato per lo stalinismo o
il terrorismo)”. È per questo,
dottore, che continuo a sentirmi in colpa di averla fatta aspettare? Ha fatto
la sua diagnosi?

“Milano è una città grande e trafficatissima. Quindi no: non deve
sentirsi in colpa. Eppure…”.

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