Il Piccolo, 29/12/2020. Edoardo Weiss, psicoanalista allievo di Freud che curò il “circolo vizioso” di Svevo e Saba
Cinquant’anni fa il 14 dicembre 1970, moriva a Chicago il grande medico formatosi a Vienna e fuggito negli Stati Uniti a causa delle leggi razziali
Il Piccolo,
29 dicembre 2020
di Paolo Marcolin con la collaborazione di Rita Corsa
Introduzione: Definito da Freud “ tenace pioniere”, Edoardo Weiss contribuì in modo fondamentale alla diffusione della psicoanalisi in Italia. Nel cinquantenario della sua scomparsa, lo storico quotidiano triestino, con la collaborazione della dott.ssa Rita Corsa, studiosa della sua vita e della sua opera, ricordano in questo articolo il ruolo di Edoardo Weiss nella storia della psicoanalisi italiana e nell’ambiente culturale dell’epoca. (Maria Antoncecchi)
Rita Corsa, psichiatra, psicoanalista membro ordinario con funzioni di training della Società Psicoanalitica Italiana e dell’ IPA
Il Piccolo,
29 dicembre 2020
Edoardo Weiss, psicoanalista allievo di Freud che curò il “circolo vizioso” di Svevo e Saba
Cinquant’anni fa il 14 dicembre 1970, moriva a Chicago il grande medico formatosi a Vienna e fuggito negli Stati Uniti a causa delle leggi razziali
di Paolo Marcolin ( con la collaborazione di Rita Corsa)
La psicoanalisi piombò a Trieste come un direttissimo da Vienna, trovando il suo avamposto in un tavolino del Caffè Garibaldi. Nel locale sotto il municipio, tra le sette e le nove di quasi ogni sera, si riunivano Saba, Svevo, Bazlen, Guido Voghera, Vittorio Bolaffio, Giani Stuparich, Giorgio Fano. A quel gruppo di amici, scrittori, poeti, pittori, la scoperta dell’inconscio sembrava poter offrire una salvezza al loro male di vivere. Pendevano dalle labbra di Edoardo Weiss, il medico che aveva appreso da Sigmund Freud e da Paul Federn come svelare i meccanismi nevrotici e, rendendoli manifesti, risolverli. Poi andavano a casa e tornavano alla pittura o alla pagina, ma niente in loro e nelle loro opere sarebbe stato come prima.
Weiss, ricordava Giorgio Voghera, non possedeva una personalità affascinante, non era un gran parlatore, aveva un eloquio lento e quasi inceppato, il suo discorso procedeva senza impennate e fuochi d’artificio, ma col suo sguardo “straordinariamente penetrante” trasmetteva la forza di una teoria cui sarebbe rimasto fedele per tutta la vita. Weiss fu un pioniere: prima portò la psicoanalisi a Trieste, quindi la fece crescere a Roma, dove fondò la Società Psicoanalitica Italiana; come tutti i pionieri venne compreso da pochi all’inizio e forse non
ricordato come sarebbe giusto oggi, a cinquant’anni dalla morte, avvenuta a Chicago il 14 dicembre 1970.
Se Trieste, come ha scritto Bazlen, è stata una cassa di risonanza, l’aver amplificato il suono delle teorie freudiane è stato il contributo più alto offerto dalla città alla cultura italiana. Saba, che andò in analisi da Weiss, lo considerava l’uomo della provvidenza e disse che le sue ‘Scorciatoie’ erano sgorgate proprio dalla scoperta dell’inconscio. Svevo gli regalò una copia della ‘Coscienza di Zeno’ e nella dedica alluse al contributo fondamentale della psicanalisi, anche se Weiss, poco prima di morire, prese le distanze: “quel libro non c’entra nulla con Freud”.
Weiss aveva conosciuto il Maestro nel 1908, quando non aveva neanche vent’anni e, trasferitosi a Vienna per studiare medicina, bussò al suo studio. Aveva letto l’«Interpretazione dei sogni» e aveva deciso dove dirigere i suoi interessi. Medico militare nell’esercito austriaco durante la guerra, una volta tornato a Trieste prese servizio all’ospedale psichiatrico di San Giovanni, dove si occupò tra gli altri di Bruno Veneziani, cognato di Svevo.
Intanto tra gli amici triestini che avevano scoperto la psicoanalisi l’interesse culturale era diventato un circolo vizioso: confondevano terapia e amicizia e si scambiavano racconti, interpretazioni dei sogni e lapsus, diagnosticandosi a vicenda le nevrosi; ricorrevano continuamente all’amico psicoanalista, gli telefonavano anche la notte per chiedere un parere. Così, quando Weiss lasciò per sempre Trieste, nel 1931, tra i motivi ci fu anche il bisogno di sfuggire a questa cerchia soffocante. Anche dal punto di vista professionale a Trieste, dove organizzò nel 1925 il primo congresso italiano di psichiatria, Weiss raccolse poco, non era riuscito a fondare una scuola, a far crescere degli allievi.
Una volta a Roma, dove aprì uno studio, Weiss si occupò di stendere alcune voci sulla psicoanalisi della Treccani, un lavoro commissionatogli da Emilio Servadio, che dell’enciclopedia era uno dei redattori e che sarà il continuatore del verbo weissiano in Italia, quando le leggi razziali costringeranno Weiss a rifugiarsi negli Stati Uniti. Negli anni romani Weiss riuscì a creare quel gruppo che gli era mancato a Trieste e a far nascere la Rivista italiana di psicanalisi e a fondare la prima Società psicoanalitica italiana. Due ‘creature’ cui teneva moltissimo, al punto che non esitò ad avere dei contatti con Costanzo Ciano e a prendere in analisi la figlia di Giovacchino Forzano, regista di film di regime. “Debolezze di un uomo in cui la battaglia per un’idea diventa qualcosa per cui vale la pena investire con passione tante risorse della propria vita”, sostiene la psicoanalista triestina Rita Corsa, che alla vita e al pensiero di Weiss ha dedicato il libro ‘A Trieste con Freud, alle origini della psicoanalisi italiana’ e in un altro saggio si è occupata anche della moglie di Weiss: ‘Vanda Shrenger Weiss. La prima psicoanalista in Italia’. Alla professoressa Corsa si deve anche la scoperta delle cartelle cliniche, conservate nell’archivio di stato di Trieste, che Weiss aveva compilato per Bruno Veneziani e per il pittore Arturo Nathan.
A mezzo secolo dalla sua scomparsa, il pensiero di Weiss mantiene ancora oggi la sua modernità. Il medico triestino fu uno dei primi teorizzatori della psicosomatica; negli Stati Uniti, dove fece conoscere la psicologia dell’Io, lavorò con Franz Alexander, conosciuto come il padre della disciplina che mette in relazione i conflitti della mente e i disturbi del corpo. Attuali sono inoltre le sue indicazioni riguardo l’approccio con il paziente psicotico, la cui esperienza diretta risale agli anni trascorsi al manicomio di San Giovanni. Una modernità che deve molto anche allo sforzo che aveva dovuto fare per esprimersi in una lingua straniera. Se oggi Weiss è più conosciuto all’estero che in Italia lo si deve infatti anche alla chiarezza cui fu costretto, lui cui faceva difetto quella limpidezza di scrittura che aveva invece Freud, dall’uso dell’inglese.