NORIA MABASA
Parole chiave: naufragio, indifferenza, empatia, perturbante
Il naufragio della solidarietà e delle relazioni umane. Il Manifesto 17/7/2023 di Sarantis Thanopulos
Il Manifesto,1luglio 2023
Introduzione: Di fronte al più grande naufragio avvenuto negli ultimi anni nel Mediterraneo al largo di Pilo veniamo sopraffatti dal dolore e dall’orrore ma nello stesso momento ci rendiamo conto di una mancanza di risposte emotive (circa 600 morti, di cui 100 bambini) che fanno pensare ad una diffusa “erosione empatica” (Simon Baron-Cohen) che ci lascia sgomenti. Alcune riflessioni di Sarantis Thanopulos Presidente della Società Psicoanalitica Italiana, su questo tema che rischia di essere un fenomeno sottovalutato.(Maria Antoncecchi)
Il manifesto, 1luglio 2023
Il naufragio della solidarietà e delle relazioni umane
Sarantis Thanopulos
Seicento persone sono annegate al largo di Pilo, regno del saggio Nestore, amico di Ulisse. È improbabile sapessero che non lontano da dove sono morte si era recato Telemaco alla ricerca di notizie sul padre. L’incrocio ironico del loro destino con il destino del più celebre navigatore e naufrago della narrativa occidentale (che lasciando di nuovo Itaca è andato a morire al confine del mondo di allora, dalle parti di Gibilterra), non dice nulla ai senza terra che ora alloggiano nella profondità del mare, ma misura la distanza che separa la nostra sensibilità dalle nostre radici. Già prima di aver toccato i fondali marini le decine di migliaia di migranti annegati in questi anni nel mediterraneo erano sprofondati nella nostra apatia.
La nostra storia e cosparsa di odio, conflitti distruttivi, genocidi. L’odio per il nemico ha motivato, e tuttora motiva, l’atrocità e il sadismo. Tuttavia, come Hanna Arendt ha avuto la chiaroveggenza di dire, la più temibile fonte di atrocità è l’indifferenza. Uccide senza rumore e senza sangue, cancella le esistenze umane con più efficacia della gomma che cancella le parole scritte su un foglio con la matita. Invano Arendt ci ha ammonito del pericolo, il diniego della malattia che aveva fatto strada tra di noi ha prevalso. Siamo convinti che le catastrofi siamo legate ai drammi e ai patemi d’animo, così non ci accorgiamo che il peggior nemico per la nostra esistenza viene dall’anestesia. Senza dolore e senza sconvolgimenti emotivi nulla, pensiamo, può essere distrutto. Siamo delle talpe che, come formiche instancabili, scavano il terreno sopra le loro teste, ignare del crollo che potrebbe seppellirle.
Centinaia di esseri umani sono morti davanti ai nostri occhi ciechi (minati dalla morte del desiderio che li abita). Sono mancate solo le navi dei turisti pronti a godere lo spettacolo. Frontex (l’agenzia europea della guardia costiera e di frontiera), la Grecia e l’Italia se ne sono lavate le mani e l’Europa nel suo insieme ha guardato altrove. Una nave malandata capitanata da delinquenti, sovraccarica di disperati e sul punto di affondare da un momento all’altro, ha attraversato il mediterraneo senza che nessuno l’abbia fermata. Nessun paese avrebbe permesso la navigazione ai suoi cittadini in condizioni così estreme, ma dei diseredati, degli apolidi non gliene importa niente a nessuno. Di fatto non li consideriamo esseri umani, perché l’essere umano è in eclissi dentro di noi. Lo capiremo meglio (e sarà molto tardi) quando la stessa indifferenza colpirà dei nostri concittadini e noi stessi.
Le guardie costiere, fedeli al loro nome, sono diventate guardiani della nostra atarassia e sempre di più guardiani della morte, lasciata in pace a fare il suo lavoro. Le leggi del mare sono tramontate: nessuno soccorre a priori i naufraghi. Che muoiano se si trovano fuori dalle “linee guida”. A meno che non siano miliardari che giocano d’azzardo con le proprie vite. Per loro la guardia costiera americana ha mobilitato forze imponenti e ha speso sei milioni di dollari in pochi giorni.
Sui i profanatori delle tombe, attratti dalla morte degli altri, dai segreti di vite spente per sempre che mai saranno rivelati, perché riflettono i nostri lati nascosti dalla vita è da noi stessi, i media di tutto il mondo hanno accesso le luci dello spettacolo, hanno messo in movimento i soliti dispositivi di eccitazione che consumano adrenalina velocemente, bruciando le nostre risorse emotive.
Si eclissa nella società la funzione del “perturbante”: lo sconvolgimento del nostro modo di essere di fronte alla perdita dell’altro che nasce nel punto in cui questa perdita rischia di farci perdere il senso della differenza e della vita. La capacità di perturbarsi diventa attrazione morbosa per la morte che crea in-differenza. Godiamo della morte dell’altro: il brivido della morte ci afferra ma noi risorgiamo. Per diventare morti viventi.