REPUBBLICA 23 marzo 2016
Il mistero Freud
Massimo Ammaniti
INTRODUZIONE: Massimo Ammaniti sulle pagine di Repubblica recensisce il libro di Éliette Abécassis: Un secret du Docteur Freud. Il libro racconta il controverso rapporto di Freud con il commissario nazista Sauerwald. Dalle pagine del libro si evince quanto questi, che doveva scompaginare tutta la costruzione freudiana della Società Psicoanalitica, in realtà rimanga legato al Maestro e ne assicuri la salvezza.(Silvia Vessella)
Repubblica 23 marzo 2016
Massimo Ammaniti
Nonostante Sigmund Freud non credesse nel valore delle biografie, che tradirebbero la verità, la sua vita è stata ripetutamente ricostruita e raccontata dai suoi allievi, dal suo medico personale Max Schur, dai suoi pazienti e da studiosi in campo storico. In un saggio di qualche anno fa, lo storico e psicologo David Cohen aveva cercato di ricostruire le ultime settimane di Freud a Vienna, dopo l’annessione dell’Austria alla Germania nazista nel 1938, e la sua travagliata partenza per Londra, dove sarebbe morto l’anno successivo. Attorno a questa partenza di Freud si addenserebbe un mistero: mentre i suoi allievi e i suoi familiari avevano già abbandonato Vienna per sfuggire alle persecuzioni naziste contro gli ebrei e alla condanna della psicoanalisi, accusata di essere “una scienza ebraica”, Freud che in quei giorni aveva raggiunto gli ottantadue anni, vi rimase più a lungo. Che cos’è che lo spinse a ritardare la sua partenza, nonostante le perquisizioni della Gestapo nel suo appartamento di Berggasse 19 e l’arresto e l’interrogatorio della figlia Anna? A tentare di rispondere a questo interrogativo, esce adesso in Francia un romanzo della scrittrice francese di origine marocchina Éliette Abécassis: Un secret du Docteur Freud.
Il segreto del Dottor Freud ha un nome, il commissario nazista Anton Sauerwald, di origine austriaca, che deve indagare su Freud e la sua famiglia, sui loro conti e le loro proprietà, perché le famiglie ebree possono disporre solo di pochi soldi e il resto viene incamerato dal governo di Hitler. Ma il compito di Sauerwald è ancora più impegnativo: deve smantellare la Società Psicoanalitica di Vienna, che ha rappresentato nei primi decenni del Novecento un faro non solo per gli psicoanalisti e gli psichiatri di tutto il mondo, ma anche per l’intero mondo della cultura, da Albert Einstein a Thomas Mann. La Casa Editrice Psicoanalitica fondata da Freud deve essere ugualmente chiusa, perché i suoi libri hanno “infettato” il mondo. Ed è sempre Sauerwald che dovrebbe concedere a Freud e ai suoi familiari il visto per lasciare l’Austria.
Nel marzo del 1938 Freud riunisce quanti sono rimasti della Società Psicoanalitica di Vienna — c’è anche la psicoanalista francese Marie Bonaparte, principessa e moglie del pretendente al trono di Grecia — e ne decreta lo scioglimento, raccomandando ai suoi membri di lasciare Vienna. Ma Freud, nonostante i suoi anni e il suo precario stato di salute non si perde d’animo: «Dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme il rabbino chiese l’autorizzazione di aprire una scuola per lo studio della Torah», esempio della capacità degli ebrei di non piegarsi di fronte alle persecuzioni.
Quanto al Commissario Sauerwald, a cui si fa cenno brevemente nella biografia di Max Schur, aveva aderito al partito nazista fin dal 1933, si era laureato in chimica e aveva impiantato una fabbrica che produceva esplosivi che venivano poi utilizzati per gli attentati terroristici dei nazisti. Inizialmente si era mostrato con Freud e i suoi familiari molto intimidatorio, aveva frugato nei loro conti, aveva sequestrato le loro carte e i loro beni, aveva controllato i bilanci della casa editrice secondo i voleri di Berlino, che avrebbe voluto cancellare la psicoanalisi e bruciarne tutti i libri.
Passano le settimane, i familiari di Freud, fra cui la cognata Minna, lasciano Vienna, come molti altri psicoanalisti ebrei, ma il grande maestro resta in città, nonostante le sollecitazioni e le implorazioni di tutti i suoi amici. Forse Freud spera di salvare il suo enorme archivio e la grande eredità della psicoanalisi. Anche perché il nazista Sauerwald mostra qualche cedimento, si mostra più disponibile, addirittura nasconde i documenti dei conti bancari svizzeri della famiglia Freud, correndo il rischio di essere scoperto dalla Gestapo e finire in un campo di concentramento.
Ancora una volta l’occhio clinico di Freud coglie i segni del cambiamento, questa volta in Sauerwald: probabilmente il contatto col maestro è stato decisivo, ne ha scoperto l’umanità e ha imparato a rispettarlo.
Finalmente dopo ripetute lungaggini burocratiche e le incombenze finanziarie coperte tutte da Marie Bonaparte, Freud riesce ad ottenere il visto, con l’aiuto di Sauerwald, e parte in treno, l’Orient Express, per raggiungere Londra, dove viene accolto con grandi onori.
Ma la storia non finisce qui: l’anno successivo Sauerwald si reca infatti a Londra da Freud, ufficialmente per verificare la situazione finanziaria lasciata a Vienna, in realtà per non perdere il legame con lui. Addirittura accompagna a Londra il chirurgo viennese Pichler, che già aveva operato Freud per il suo tumore alla bocca, visto che quel male è tornato di nuovo. Forse è proprio lui a pagargli la sua parcella.
Freud muore e di Sauerwald non si hanno più notizie. Fino a che Harry Freud, nipote del grande maestro nonché membro dell’esercito americano che ha liberato Vienna, cerca in ogni modo di far incriminare il commissario nazista, da poco uscito da un campo di prigionia. È un uomo distrutto, malato di tubercolosi: viene imprigionato per due anni e deve essere giudicato dal tribunale popolare per crimini di guerra, e per essersi appropriato dei beni della famiglia Freud.
A questo punto la moglie di Sauerwald, che è a conoscenza del segreto del marito, si rivolge alla principessa Bonaparte e ad Anna Freud per scagionarlo. Anna scrive una testimonianza decisiva in suo favore: «La verità è che dobbiamo le nostre vite e la nostra libertà a Sauerwald, che usò la sua posizione di commissario per proteggerci». La testimonianza è decisiva, Sauerwald viene scagionato. E si può anche aggiungere, in conclusione, che la psicoanalisi è riuscita a conquistare perfino l’animo di un fanatico nazista.