BALTHUS (Balthasar Kłossowski de Rola )
Parole chiave: Psicoanalisi, Adolescenza, Società, Sofferenza
Il mistero degli adolescenti e il dissesto della società
In un libro edito da Mimesis, Gustavo Pietropolli Charmet indaga e riflette sullo stadio della vita così delicato e complesso
di Davide D’Alessandro
Il mistero degli adolescenti e il dissesto della società
In un libro edito da Mimesis, Gustavo Pietropolli Charmet indaga e riflette sullo stadio della vita così delicato e complesso
di Davide D’Alessandro
Esistono i chiacchieroni e gli studiosi. I primi sono ospiti fissi in televisione, i secondi li trovi nei libri e nelle riviste specializzate. Gustavo Pietropolli Charmet appartiene, ovviamente, alla seconda categoria. Leggendo “Adolescenti misteriosi”, edito da Mimesis nella collana Biblioteca di Psicoanalisi, si colgono tutte le evidenze per le quali non si può affrontare un tema così delicato e complesso se non ti misuri ogni giorno con la sofferenza giovanile, se non ne percepisci i travagli e i misteri, se non sai collocarla all’interno di un ambiente sociale pericoloso e disfatto. Già, perché l’adolescente non è un individuo separato, distante da ciò che si muove intorno a lui, ma “è soprattutto un soggetto sociale, figlio della propria scuola, del gruppo di amici, di internet, del desiderio del suo nuovo corpo e di mille altre istanze che bussano prepotentemente alla porta di casa per prenderlo e portarlo fuori, insieme ai coetanei, all’esplorazio0ne del mondo. L’adolescente è come un neonato sociale: respira l’aria della società alla quale si affaccia e ne viene influenzato giorno per giorno”.
Lo sa bene chi si occupa di psicologia di comunità, chi la insegna, chi la studia, chi la pratica. Il soggetto gettato nel mondo lo influenza e, soprattutto, ne viene influenzato. La clinica personale, rivolta esclusivamente al dolore interiore del singolo paziente, senza tener conto del contesto di vita, delle relazioni, dell’ambiente che lo ospita, è una clinica depotenziata, che sale debolmente sul ring con una mano legata dietro la schiena, con la sconfitta addosso.
Spiega l’autore: “Nella psicoterapia con gli adolescenti è così diventato sempre più cruciale aiutarli a liberarsi dalla sudditanza ai miti della sottocultura sociale, in particolare quelli legati alla performatività, sia intellettiva (risultati scolastici, test di ammissione all’università) sia fisica (sport e palestra), all’adesione indifferenziata a certi ‘brand’ e stili di abbigliamento, agli ideali di bellezza ‘ritoccata’, digitalmente e non. In questo lavoro di decostruzione della nostra società mi sono state di grande aiuto – per certi aspetti, rivelatrici – alcune giovani anoressiche, invero le più acute osservatrici, sofferenti, della nostra società e della sua impronta patriarcale e artefatta”.
Le riflessioni di Pietropolli Charmet sono puntuali perché derivano dall’osservazione e dall’indagine dirette del fenomeno. I casi di studio sono casi universali che ci toccano e riguardano. Il disagio, come la malattia, non sono mai soltanto dell’altro; sono anche miei, se è vero che io sono anche l’altro. Nei casi ci si può ritrovare e rispecchiare. Si può ritrovare la nostra adolescenza, quella dei nostri figli, quella dei nipoti che verranno. Cambiano gli anni, le epoche, non cambia quel preciso stadio della vita che segna una fase cruciale di passaggio, il cosiddetto ingresso nel mondo adulto e maturo, se non si resta, come sempre più spesso accade, adultescenti, cioè adulti che recano ancora in sé i tratti dell’adolescenza.
Eppure, secondo Pietropolli Charmet, da anni si è intensificata la processione di adolescenti e genitori ai servizi di consulenza psicologica. I ragazzi stanno male e nessuno capisce cosa stia loro succedendo. Sembra quasi trattarsi di un’epidemia, un contagio diffuso che si esprime con i sintomi più vari, ma che potrebbe nascondere la stessa silente malattia. Non so nemmeno io di cosa si tratti, ma penso che abbiano tutti lo stesso dolore: non è la famiglia che li fa stare male, non è la loro infanzia che li ha fatti crescere male e presumo non sia responsabile del disastro neanche internet, che pure tutto accomuna. Penso che, con modalità diverse, esprimano tutti il medesimo dolore provocato dalle stesse cause. È la società che li disorienta e li fa stare male: bambini felici diventano adolescenti strani che sembrano malati”.
Come dire: piano con la parola malattia, piano con le etichette, piano con l’incasellamento nella solita categoria psichiatrica. Cerchiamo di indagare e di comprendere guardandoci dentro e intorno, ciò che siamo e ciò che trasmettiamo, la realtà che abbiamo creato, lo scenario che alimentiamo quotidianamente con le nostre nevrosi mai risolte.
Nessun giocatore, fuoriclasse o meno, può giocare degnamente la propria partita della vita su un campo dissestato, pieno di buche, con tanta gente comodamente seduta in tribuna pronta a puntare il dito, con poca gente disposta a scendere in campo umilmente per dare una mano a ripararlo.