Il Manifesto 4/7/2020
Padri che sembrano imitare Medea
di Sarantis Thanopulos
Il Manifesto
4 luglio 2020
Introduzione: Il gesto drammatico di uccidere la moglie e i figli è l’espressione di un progetto di morte che include prima di tutto l’annientamento del Sé e delle parti vitali piuttosto che la manifestazione di un amore malato come erroneamente si crede. Ne parla, in questo articolo, Sarantis Thanopulos Psicoanalista, membro ordinario AFT della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psychoanalitycal Association. (Maria Antoncecchi)
Il Manifesto
4 luglio 2020
Padri che sembrano imitare Medea
Sarantis Thanopulos
L’uomo che ha ucciso i suoi due figli e si è suicidato, dopo aver scritto alla madre che non li avrebbe visti più, è l’ennesimo caso di un femminicidio indiretto: l’uccisione psichica della donna, lasciata viva a contemplare le rovine del suo desiderio. Del femminicidio si è per secoli parlato in termini di “delitto passionale” e se ne parla ancora in tal senso usando termini poco cambiati: l’uccisione della donna come “oggetto di possesso”. Una mistificazione: l’eccesso di passione o la possessività sono nel femminicidio l’eccezione, non la regola. L’assassinio della donna da parte dell’uomo è nella sua forma tipica l’effetto di un’azione desoggettivante che nel momento del suo compimento diventa affettivamente indifferente. È, in primo luogo, distruzione dei sentimenti, caduta in uno spazio privo di attesa e di ulteriore intenzione.
L’uccisione dei propri figli per distruggere sul piano affettivo/erotico la loro madre, smentisce la retorica attribuzione del femminicidio a una volontà di possesso assoluto sulla donna attraverso la sua morte. I padri figlicidi che risparmiano sul piano fisico la madre, per farle bere fino all’ultima goccia un calice amarissimo, sembrano capovolgere lo schema di Medea. Non è la donna che colpisce il suo uomo uccidendo i loro figli, per distruggere la sua virilità e sradicarlo dentro di sé come oggetto desiderato. È l’uomo che attacca la donna attraverso i figli per distruggere la sua femminilità. L’analogia, tuttavia, finisce qui. L’uomo che colpisce in questo modo la donna l’ha già sradicata eroticamente dentro di sé. Non aggredisce l’oggetto d’amore da qui si sente tradito, il vissuto del tradimento resta lì per mettere in moto il meccanismo ossessivo che spersonalizza la sua azione, non la determina. Ciò che effettivamente compie con il figlicidio è un suicidio con cui non si dà la morte, ma diventa tutt’uno con essa. L’atto finale è la tombale affermazione di sé come nulla. “Medea” cerca nell’autarchia un rimedio contro le ferite della vita. Il padre figlicida/suicida trova nella morte il trionfo assoluto, definitivo sul desiderio di vivere.
Tutti gli aspetti simbolici che si possono vedere nella distruzione dell’altro, associata alla decostruzione di sé, indicano la spoliazione progressiva di significato che rende l’agire incolore, meccanico, con o senza sangue. L’attacco alla fertilità della donna, l’induzione di un aborto simbolico che agisce a posteriori e lascia beante, sanguinante per sempre lo spazio della maternità, mira a un’isterectomia psichica. Ma il compiersi dell’atto realizza in modo definitivo anche l’auto-castrazione psichica dell’omicida. Mutilando la donna in questo modo terrificante l’uomo mutila radicalmente se stesso della propria possibilità di presenza nello spazio di congiunzione-disgiunzione dei corpi che definisce la vita come intesa erotica. Il vuoto che ha aperto nella madre lo risucchia. Torna nel grembo materno, diventato tomba, si svuota del senso di sé. Viene la morte e non ha occhi. L’abisso con cui si è identificato lo avvolge e lo penetra.
Il femminicidio psichico è uno dei segnali più inquietanti di una patologia affettiva degenerativa che si sta diffondendo tra gli uomini colpendo la loro parte femminile: una frigidità erotica, a volte mascherata dal priapismo, a volte estrinsecata come impotenza erettile o eiaculazione, ma sempre e comunque incapacità di un godimento erotico profondo, vero. L’uomo accecato dal suo privilegio sociale paga un prezzo altissimo in termini di insoddisfazione erotica perenne e la sua volontà di dominio sulla donna, che attacca il significato erotico della maternità, lo rende prigioniero di uno spazio materno arido, desertificato: eterno figlio auto-castrato, un morto che cammina pensando di essere padrone di sé.