Cultura e Società

Il Manifesto 20/3/21 “Per chi cantano gli eroi?” di S.Thanopulos

26/03/21
Anselm Kiefer 2000

Anselm Kiefer 2000

Il Manifesto,20/3/2021

Per chi cantano gli eroi?

di S.Thanopulos e P.Pascarelli

Il Manifesto 20 marzo 2021

Introduzione: Sarantis Thanopulos, Presidente della Società Psicoanalitica Italiana,  e Pietro Pascarelli, psichiatra, psicoanalista , dialogano  sulla funzione del mito  che, con la sua dimensione individuale e collettiva, consacra l’Eroe e le sue gesta. (Maria Antoncecchi)

Sarantis Thanopulos, Presidente della Società Psicoanalitica, psichiatra, psicoanalista, membro ordinario AFT della Società Psicoanalitica Italiana con funzioni di training.

Pietro Pascarelli, psichiatra, psicoanalista

 

Il Manifesto 20 marzo 2021

Per chi cantano gli eroi?

Sarantis Thanopulos/Pietro Pascarelli

Pietro Pascarelli: “Parto dal titolo di una poesia di Vito Riviello, e da altri suoi versi in cui una saltatrice “vola salendo [ ] a quel centimetro che nessuno ha stabilito”, per parlare di un nascere senza fine stabilita. Il soggetto nasce dal mito dell’eroe che da solo uccide il padre despota, segnando un nuovo inizio: “Il mito è [ ] il passo con cui il singolo esce dalla psicologia collettiva” (Freud 1921). Lo fa chi ha la parola poetica che dischiude la soglia del senso (per Robert Frost la poesia è il suono del senso). E ha il coraggio di inventare (non ha paura della morte, sul piano simbolico), è libero di falsificare la vulgata immemoriale sul parricidio come gesto di massa. Fissando l’attenzione su un atto individuale nella scena collettiva, determina una cosa rivoluzionaria: dicendosi nasce come soggetto e con l’identificazione che suscita mostra per ciascun componente del collettivo la funzione di unità significante, e insieme di utilizzatore di significanti, di parlante. La riuscita dell’atto poetico, con la costruzione di un Sé singolare e sociale, si basa su una comune nostalgia: ”Gli uditori comprendono [  ] il poeta; in virtù del medesimo anelito verso il padre primordiale possono identificarsi con l’eroe” (Freud 1921). Nasce il soggetto e insieme, dov’era l’orda, un collettivoEssi, integrati, si affacciano simultaneamente sul medesimo senso cosmico. Il soggetto non c’è senza un tempo condiviso e senza il collettivo in cui si irradia e viceversa. Altre enunciazioni poetiche e relazioni rigenerano senza fine il soggetto — così rapidamente da sottrarlo al predominio di mancanza e lutto che si inscrivono nella memoria dei corpi — ma anche presentano al gruppo nuovi miti, nuovi condottieri e singolarità. Ogni atto soggettivo, ogni interazione e significazione si proietta sullo schermo del patrimonio simbolico e di un nomos collettivo, e riflette il processo inverso, la ricaduta demoltiplicata sulla psiche soggettiva di quanto il collettivo nella sua mente rielabora per andare verso il soggetto, e oltre se stesso.”

Sarantis Thanopulos: “Caro Pietro, il soggetto eroico, affascinante e fascinoso, che si emancipa dal padre divino, uccidendolo, è declinato al maschile: la donna come compagna paritaria gli è estranea, la uccide per errore, l’abbandona deliberatamente in un’isola, la lascia nella casa natia ad aspettare il suo ritorno. Quando capita che l’eroe sia anche antieroe, come Ulisse, una donna gli insegna l’attesa, al posto dell’intrepida/impulsiva azione, e il senso della persistenza, al posto dell’eternità. Gli eroi rivaleggiano con il Padre Immortale dei primordi, con le loro gesta lo imitano e aspirano a prenderne il posto, ma sanno che avanzando nel sentiero della gloria si incamminano a essere mortali. Nella loro contraddizione faticano a essere padri, mariti, smettere i panni del guerriero nel letto coniugale. Sono incompiuti. Compiersi li spaventa.

Per chi cantano dunque gli eroi? Cantano per se stessi, contemplando la loro nascita senza fine stabilita. Incedono con il loro passo/canto verso l’orizzonte di questa fine e si illudono di eccederla. Immortalano il loro gesto, vivendo nella sua eco attraverso di noi. Si eclissano come soggetti desideranti e si obliano. In Sette su Tebe, il tramonto degli eroi che anticipa di molti secoli Cervantes e Brecht, Eschilo sottrae la poesia dalla retorica dell’eroe (addolcita dal presentimento della fine), affidando al coro femminile la chiaroveggenza di cui ogni poesia, per essere tale, si accredita. Come onde i guerrieri forestieri incombono sulla Città/Nave, come onde le cittadine si muovono  disarmate, ma vive nella loro paura che Eteocle censura aspramente. La paura segue il ritmo del desiderio declinato come dolore e diventa premonizione del lutto (motore della soggettività), anticipazione sofferente della riparazione.”

 

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