Il Manifesto, 13 luglio 2019
La “disforia” dell’identità sessuale
Di Sarantis Thanopulos
Il Manifesto,
13 luglio 2019
INTRODUZIONE: I cambiamenti culturali avvenuti in questi anni aprono nuove riflessioni sul tema della disforia di genere. L’aumento delle richieste di interventi chirurgici così come l’utilizzo di farmaci in grado di ritardare lo sviluppo sessuale rischiano di creare nuovi dogmi annullando la complessità del rapporto tra corpo e psiche. Sarantis Thanopulos, interrogandosi su questo tema, contribuisce con questo articolo ad ampliare il dibattito che si è sviluppato in questo periodo. (Maria Antoncecchi)
Sarantis Thanopulos, psichiatra, psicoanalista, membro ordinario della Società Psicoanalitica Italiana con funzioni di training.
Il Manifesto,
13 luglio 2019
La “disforia” dell’identità sessuale
Verità nascoste. La concezione dell’identità sessuale come combinazione tra anatomia e cultura, estromette l’essenziale: il legame tra psiche e corpo, la materia pulsionale del gesto erotico -che nessuna tavola anatomica può catturare ed è l’oggetto reale del condizionamento culturale
La Repubblica ha ospitato recentemente il confronto tra due psicoanalisti, Lorena Preta e Vittorio Lingiardi, sul tema della «disforia» dell’identità sessuale – il sentirsi incastrati nel sesso/corpo sbagliato – in bambini prepuberi.
La disforia, che rientra spontaneamente nella grande maggioranza dei casi, è diventata fonte di ansia per molti genitori. Preta ha posto l’accento sui medici compiacenti che, somministrando farmaci capaci di bloccarne lo sviluppo, attuano una «sospensione» della definizione sessuale, preambolo di una «riattribuzione di genere». Collegando il disagio identitario a istanze inconsce non immediatamente decifrabili, che richiederebbero il tempo di un’elaborazione, Preta ha deplorato l’attitudine a offrire a un malessere individuale e sociale soluzioni tecniche.
Lingiardi ha messo l’accento sul rispetto della condizione individuale, invocando una psicoanalisi accogliente, non spaventata dalle metamorfosi delle identità sessuali. Piuttosto che privilegiare un modello di cura, in mezzo a concezioni contrastanti sull’origine del malessere, sarebbe opportuno seguire un approccio cooperativo, con un ascolto attento rivolto al singolo caso e alla soggettività.
La scienza, la filosofia, la psicoanalisi non sono, in effetti, canoni di vita. Ognuno deve sentirsi libero di gestire (con i mezzi a sua disposizione) il proprio modo di essere nel mondo. Tuttavia molte condizioni esistenziali sono oggi dettate dalla negazione del lutto e il corpo contraffatto si sta equiparando al corpo vero. Interferire con lo sviluppo psicocorporeo nell’infanzia, bloccandolo o modificandolo medicalmente, sulla base di convinzioni o comportamenti ancora da evolvere, che così si rendono definitivi, è un abuso. I genitori non devono reprimere il disagio identitario del loro bambino, né assumerlo come un dato di fatto (fato), ma cercare di comprendere cosa sta accadendo tra loro e lui, allargando, il più possibile, l’area del confronto.
La concezione dell’identità sessuale come combinazione tra anatomia e cultura, estromette l’essenziale: il legame tra psiche e corpo, la materia pulsionale del gesto erotico -che nessuna tavola anatomica può catturare ed è l’oggetto reale del condizionamento culturale. Ginevra Bompiani, intervenuta nel dibattito dalle pagine di questo giornale, ha parlato di intreccio tra immaginario e dato corporeo e dell’invenzione creativa che il primo opera sul secondo. La manipolazione sociale dell’immaginario annulla l’invenzione.
Bompiani ha colto il punto: la manipolazione dell’immaginario conduce alla manipolazione del corpo. Sostenere che l’anatomia non debba essere un destino, per poi compiacere la costruzione di un’anatomia fittizia (la peggiore delle normalizzazioni e il più irremovibile dei destini), è una forte incoerenza che lascia spazio all’onnipotenza: la creazione artificiale di stereotipie identitarie. Ha ragione Bompiani nel dire che la scelta identitaria contestata non deve diventare una corazza da indossare.
Si può rispettare, accogliere i transessuali, senza compatirli, né assecondare la loro visuale. Della loro condizione si può «prendere cura», se sono interessati, a partire dal reciproco lutto che è necessario fare. La dissociazione tra il dato corporeo e la rappresentazione psichica del proprio sesso interferisce con lo sviluppo del corpo erotico e limita seriamente la profondità del coinvolgimento e della soddisfazione sessuale. Una perdita significativa (più radicale nel caso dell’asportazione chirurgica dei genitali) che andrebbe elaborata insieme alla rinuncia alla nostra pretesa di una connessione senza falle tra corpo e psiche nella determinazione dell’identità sessuale.