Cultura e Società

“I rappresentanti della malvagità non sono solo disonesti ed egoisti. Hanno anche bisogno di distruggere. Come Putin” Huffpost, 8/5/22 Intervista di D. D’Alessandro

4/05/22
"I rappresentanti della malvagità non sono solo disonesti ed egoisti. Hanno anche bisogno di distruggere. Come Putin" Huffpost, 8/5/22 Intervista di D. D’Alessandro

Robert Irwin, 1969

Parole chiave: distruttività, male, guerra

“I rappresentanti della malvagità non sono solo disonesti ed egoisti. Hanno anche bisogno di distruggere. Come Putin” Huffpost, 8/5/2022 Intervista di D. D’Alessandro

 Intervista a Luigi Zoja, psicoanalista esperto, lucido e sobrio, non amante degli effetti speciali. Il suo libro “Dialoghi sul male. Tre storie” aiuta a farsi largo tra le pieghe del male, ad ascoltare lo struggimento dell’umano e a ricavarne emozioni per guardarsi dentro attraverso l’altro. 

Huffpost 5 maggio 2022

Intervista a Luigi Zoja di Davide D’Alessandro

Introduzione: A differenza dell’aggressività, la distruttività è un attacco alle emozioni, alle relazioni umane, a qualsiasi oggetto buono e ha come unico scopo il piacere inarrestabile di trionfare sulle sue vittime. Luigi Zoja dialoga con Davide D’Alessandro sul male e le sue conseguenze. ( Maria Antoncecchi )

Davide D’Alessandro, saggista

Huffpost 5 maggio 2022

“I rappresentanti della malvagità non sono solo disonesti ed egoisti. Hanno anche bisogno di distruggere. Come Putin”

Intervista a Luigi Zoja di Davide D’Alessandro

“Dialoghi sul male. Tre storie”, di Luigi Zoja, edito da Bollati Boringhieri, è appena uscito e ha già riscosso notevole apprezzamento. Intanto perché Zoja è psicoanalista esperto, lucido e sobrio, non amante degli effetti speciali, poi perché il libro aiuta a farsi largo tra le pieghe del male, ad ascoltare lo struggimento dell’umano e a ricavarne emozioni per guardarsi dentro attraverso l’altro.

È riuscito a pensare una definizione del male? Che cos’è?

“Se l’avessi già, non mi sarei messo a pensarci su. Comunque sono psicanalista, non teologo o filosofo. Diciamo che mi sono convinto – proprio empiricamente convinto – di 2 caratteristiche del male. Intanto, non è solo privatio boni. I rappresentanti della malvagità non sono solo disonesti ed egoisti. Hanno anche un attivo bisogno di distruggere. Verso fine guerra, primavera ’45, Hitler emana il Nero Befehl (Ordine Nerone) in cui dispone la distruzione di tutte le strutture ancora vitali della Germania, opere d’arte incluse. La ragione ufficiale era che gli alleati non potessero impadronirsi di niente. Ma la sua fede assoluta che la Germania ci sarebbe stata ancora, 1000 anni dopo? In realtà non gli importava tanto la Germania, quanto lo sfogo delle sue perversioni. Guardiamo Putin. Nei suoi lanci di missili c’è (come in Hitler) una ‘eccedenza distruttiva’, che è controproduttiva dal punto di vista della conquista: anche se riuscisse a impadronirsi di tutta l’Ucraina, intascherebbe una terra bruciata che porta più costi che vantaggi.

Poi, un tema che ho a volte sviluppato è la ‘asimmetria del male’. Fra due folle che si fronteggiano, basta un piccolo incidente e finisce in un bagno di sangue. Un esempio si ha con la ‘freccia di Pandaro’, che mette fine alla tregua fra Troiani e Greci. Ma l’analista incontra il fenomeno spesso. Un perverso sessuale abusa un bambino o una donna per qualche istante di piacere. Dopo – se va bene – sono necessari anni di terapie per far tornare la vita psichica nelle vittime. Del resto, la tecnica non fa che accrescere questa asimmetria. In un attimo, un folle può far partire dieci missili. Poi ci vogliono generazioni per riportare i popoli alla convivenza”.

Il suo ultimo libro è piaciuto molto ad Andrea Bajani e Gianrico Carofiglio, due narratori. Perché ha scelto di “narrare” il male, di ricorrere ad alcune storie?

“Perché – ne ho a volte scritto – nella terapia si aiuta il paziente dando alle sue sofferenze un ordine narrativo più che interpretativo. Tanto è vero che aiutano sia le analisi junghiane che freudiane o lacaniane: l’importante è che il dialogo analitico sia un dialogo alla ricerca di senso. Comunque, ho iniziato a prendere appunti a Buenos Aires, assistendo al ‘teatro de la identidad’. Come aiuto per i figli dei desaparecidos, li si faceva raccontare quanto sapevano, o anche immaginavano, delle loro tragiche origini. Poi, si cercava di farglielo portare anche in scena. Facendo supervisione ai giovani colleghi argentini in formazione, sono rimasto colpito dalla altissima percentuale di figli dei desaparecidos in terapia. Quasi una categoria clinica nuova e un radicale problema di identità”.

Wang, Sophie e Telma sono tre donne, provenienti da tre paesi diversi, da tre storie diverse. Perché tutte donne?

“Devo dire che me ne sono accorto solo a cose fatte. Ho fatto solo scuole maschili e ho avuto solo maschi come fratelli. Ancora adesso, fra i pazienti, sono più facilmente le donne a sorprendermi. Forse la ‘drammaticità maschile’ è comunque troppo vecchia, scontata. Ho parlato di temi storico-politici, che sono la più evidente traduzione nella realtà quotidiana dei problemi morali. Ma, senza accorgermene, ho messo tre donne in questi ruoli storico-politici”.

Che cosa può la psicoanalisi nei confronti del male?

“Non rinunciare a pensare. Insegnare a non avere paura di ‘sporcarsi le mani’. Il male attivo si vede subito, è scontato. Il male vero e insidioso è l’ignavia di cui ci dice Dante (o di Pilato)”.

Com’è possibile affacciarsi sull’abisso senza che l’abisso si impadronisca di chi lo guarda?

“In effetti esiste una ‘infezione psichica’, come diceva Jung. Chiunque abbia empatia viene, in una certa misura, contagiato dal male che osserva. Siccome il voltarsi dall’altra parte non è la soluzione, tutto alla fine sta nel cosa farsene di questa infezione. Se sei aggredito, come individuo o come popolo, diventi aggressivo. Capisco che il Papa voglia far pregare insieme una infermiera russa e una ucraina. Ma quando? La psiche ha bisogno di certi tempi per elaborare i traumi. Si tratta di contenere il male dentro di noi. Dialogare non solo sul male, ma anche col male”.

Decenni di esperienza analitica l’hanno messa a confronto con le follie dell’umano. Riteneva ancora possibile assistere nel 2022 alle immagini di Bucha?

“No. Di solito prendo in considerazione le opzioni umane, che includono assurdità e malvagità. Ma mi sono sbagliato. Psicologia vuol dire conservare il massimo senso della realtà. Ho insegnato anche in Russia, anche in Ucraina: dove i colleghi dicevano: ‘la Crimea e il Donbass sono solo l’inizio’. Ho creduto alla mia visione ottimista, e ora mi sento in colpa. Almeno stiamo aiutando alcuni colleghi rifugiati da Kyev a rifarsi una vita a Milano”.

C’è chi al male soccombe, chi si ribella, chi lo accetta come destino naturale. Qual è l’atteggiamento da tenere?

“Non sono un guru né ho una autorità morale. Diciamo che a livello individuale bisogna riconoscere che una certa dose di male esiste in ognuno e dobbiamo negoziarci, non illuderci di eliminarlo. Come S. Francesco col lupo, che alla fine diviene un normale abitante di Gubbio. Ma a livello storico, collettivo? Il neo-nazismo o ipernazionalismo ucraino ovviamente esisteva, ma riguardava forse un 1-2% della popolazione. Ora siamo alla profezia che si autoavvera. Per una generazione non esisteranno alternative moderate: è psicologicamente questa la lettura realistica. Un prossimo governo ucraino, se esisterà e anche se formalmente fosse moderato, potrebbe essere tentato di procurarsi tecnologia nucleare, se non entra nella NATO. Sarebbe comprensibile”.

È sempre il singolo che compie il male? La responsabilità è sempre individuale?

“Direi che singolo e collettività sono entrambi condizioni necessarie e non sufficienti. I dittatori, i mostri, spesso agiscono da soli anche perché si sono auto-procurati un isolamento. Ma sono cresciuti in una cultura e in una società, non nel vuoto”.

Ma il male non è anche l’oscurità che rende possibile la luce?

“Ovviamente. Ma fra quanto? Io ho una certa età, e non so se vedrò vere soluzioni al disastro climatico che vengono messe in piedi. Né soluzioni alle derive antidemocratiche nel mondo. D’altra parte, anche quando queste ‘soluzioni’ saranno state elaborate potrebbe essere tardi”.

Sul male non ha già detto tutto Munch con “Il grido”?

“Forse ‘ha detto che non può essere detto’ dal punto di vista pittorico. Poi resta da dirlo con mezzi letterari, musicali ecc. C’è sempre da fare”.

Che cosa comporta evitare il confronto con l’Ombra, cercare di sfuggirle?

“Ho cercato di rispondere prima, parlando di S. Francesco col lupo”.

“Se c’è il male non può esserci Dio”. Concorda?

“Se c’è il male, non può esserci il Dio che vorremmo. Ma non perdiamo molto. Non perdiamo la possibilità di religioni vere, perdiamo solo il buonismo”.

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