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Freud, Scarabicchi e l’ultima poesia. Huffpost 29/10/21 di D. D’Alessandro

31/10/21
E. HOPPER, 1965

E. HOPPER, 1965

Parole chiave: Freud, psicoanalisi

Freud, Scarabicchi e l’ultima poesia. Huffpost 29/10/2021 di D. D’Alessandro

Huffpost, 29 ottobre 2021

Introduzione: Cosa hanno in comune psicoanalisi e poesia?

Freud considerava i poeti preziosi alleati per la loro capacità di comunicare liberamente gli aspetti più profondi dell’animo umano. In questo articolo Davide D’Alessandro accosta due libri: la poderosa biografia del padre della psicoanalisi di Peter Gay ”Freud. Una vita per i nostri tempi” e “ La figlia che non piange” un libro di poesia postumo del poeta marchigiano Francesco Scarabicchi.(Maria Antoncecchi)

Davide D’Alessandro, saggista

Huffpost, 29 ottobre 2021

Freud, Scarabicchi e l’ultima poesia

Di Davide D’Alessandro

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Ho davanti due libri. Il primo, che ritorna in libreria grazie a Bompiani, è il monumentale “Freud. Una vita per i nostri tempi”. Il secondo, edito da Einaudi, è il timido “La figlia che non piange” di Francesco Scarabicchi, il poeta marchigiano scomparso il 22 aprile scorso. I libri, mi dico, non vanno mai sovrapposti, ma tenuti uno accanto all’altro, poiché c’è il rischio che il primo schiacci e opprima il secondo. E sarebbe un’offesa, una grave offesa, perché se lo storico Peter Gay ha saputo, con rigore e disciplina, perdersi nei meandri del fondatore della psicoanalisi, lo Scarabicchi postumo è una perla di straordinaria grandezza in quanto di straordinaria misura, la sua misura, la misura di un uomo integro che non sprecava parole, attimi, emozioni.

“Sarò puntuale quando sarai notte, starò dalla tua parte a ravvisarti
gli anni di molte insonnie e passi calmi. Avrò quel viso che non so di avere,
dirò parole appena per fermarti, sull’unico confine che scompare”.

Questa è la poesia scelta dall’editore e posta in copertina, ma è un’altra a rapirmi e a ricordarmi che, in fondo, sono le parole a toccarci, a richiamarci a qualcosa che credevamo perduta. Eccola:

“Ti guarderò da questa vita attesa,
da una fermata d’autobus, da un destino che mi tiene lontano e sai che sono
più vicino che mai alla tua resa,
occhi che non si sporgono e non danno luce che a chi la chiede,
sguardi che vanno dove tutto è niente,
a una finestra d’angolo, ad un cielo
di musiche e di voci tutto intorno”.

Non è un caso che la poesia di Scarabicchi muova anche le corde di Massimo Recalcati, psicoanalista attento ai versi d’analisi e d’inferi, capaci di inoltrarsi nella memoria viva della fonte. I misteri mai risolti, le pene espiate, le nudità sospette, sono scarponi che pesano sulle viuzze del cuore. È una fatica immane calarsi nell’umano, da psicoanalista e da poeta, vedere cose che non sapevi di (pre)vedere, sentire battiti che non sapevi di (pre)sentire. Ma il poeta arriva prima, reca dentro di sé il principio di ogni elemento, di ogni scoperta. Se lo psicoanalista esplora, termine che Freud preferiva a cura, il poeta reca in sé l’esplorazione. Egli è l’esplorazione. Ma Freud e Scarabicchi li tengo insieme, non uno sopra l’altro, ma uno accanto all’altro. Distanti e vicini. Come la psicoanalisi e la poesia. La grande psicoanalisi e la grande poesia.

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