Cultura e Società

Freud a Gaza. Le possibilità della psicoanalisi di fronte all’indicibile. Considerazioni a partire da un libro di D. D’Alessandro

15/10/24
"Freud a Gaza" di D. D'Alessandro

MALAK MATTAR , 2021


Parole chiave: Psicoanalisi, Morte, Gaza, 7 ottobre 2024

Freud a Gaza

Le possibilità della psicoanalisi di fronte all’indicibile.

Considerazioni a partire da un libro

di D. D’Alessandro

Che cosa può la psicoanalisi di fronte al male, al terrore, all’indicibile? Che cosa può la psicoanalisi di fronte alla tragedia del 7 ottobre scorso e a ciò che ne è derivato e sembra non avere fine? Che cosa può la psicoanalisi di fronte al puzzo nauseabondo della morte, di chi cade, bambino o adulto, donna o uomo, per mano di altri uomini sconsiderati privi di occhi per vedere e di orecchie per ascoltare?

“Freud a Gaza. Un testimone auricolare: lo psicoanalista”, edito da Petite Plaisance, a cura di Marco Francesconi e Daniela Scotto di Fasano, è un libro ma non è soltanto un libro; è una chiamata alla riflessione profonda, individuale e collettiva, una chiamata che fa riferimento a due termini decisivi, testimone auricolare, per uno come me nutrito da decenni dall’intelligenza visionaria di Elias Canetti. Se il testimone auricolare “non affatica la vista, in compenso ha un udito tanto più fine”, l’analista vive osservando e ascoltando e fa bene Alfredo Lombardozzi nella postfazione a ricordare una efficace immagine fornita da Roberto Tagliacozzo, secondo il quale l’analista doveva stare “con un orecchio fuori della stanza di analisi”; perché è fuori che si agitano le cose del mondo, è fuori che scoppiano le bombe, che si alza il fuoco, che saltano in aria corpi e cose, è fuori che si rende evidente l’epifania della brutalità degli umani e delle cose stesse, ma è dentro che si riverberano, che angosciano, che distribuiscono pensieri di morte.

Gli eccellenti contributi di Anna Beltrametti, Silvana Borutti, Alessia Fusilli De Camillis, Mariano Horenstein, Lorena Preta e dei già citati Francesconi, Scotto di Fasano e Lombardozzi, aprono alla possibilità, alla risorsa e, perché no, alla convinzione, più che alla speranza, di una psicoanalisi costitutivamente strutturata e orientata al pensiero critico, a stare dalla parte dei “perseguitati”, anche se io prediligo la parola “sofferenti” e ritengo che a Gaza, come in ogni altra parte del mondo, Freud dovrebbe arrivare prima che quel luogo diventi teatro di morte. Dopo, può essere tardi. Troppo tardi.

Si chiede Preta: “Portiamo Freud a Gaza come lui a suo tempo pensava di portare in maniera onnipotente la peste in America? O ci ritroviamo noi stessi tra le rovine di Gaza come degli increduli, impreparati osservatori o testimoni auricolari e per non soccombere cerchiamo di tracciare percorsi di pensabilità e di rappresentabilità dell’indicibile?”.

Ma noi siamo a Gaza anche mentre riteniamo di essere altrove. Noi siamo a Gaza anche mentre guardiamo, comodamente sdraiati sul divano, la nostra imperdibile partita di calcio. Noi siamo a Gaza perché ci è impossibile essere altrove, oppure riteniamo che la colpa non ci tocchi, non ci appartenga, essendo sempre di altri, altri diversi da noi, più cattivi, più infami, più disumani?

La psicoanalisi ci insegna che ciò che è nostro è dell’altro, e viceversa. Ascoltando l’altro, prestando attenzione alla voce e al silenzio dell’altro, ascoltiamo la nostra voce, il nostro silenzio. Freud a Gaza, e nelle tante altre Gaza che inquietano la terra, è una possibilità di continuare a coltivare l’indignazione, se ne è rimasta, e a credere nella cura, intesa come trasformazione, cambiamento.

È necessario, urgente, sapere chi siamo e di che cosa siamo capaci. Se non riusciamo a mutare il corso degli eventi, se Gaza è inesorabilmente e ripetutamente davanti ai nostri occhi, vuol dire che siamo ancora lontani, molto lontani, dal comprendere chi siamo e di che cosa siamo capaci.

Tutti, non soltanto e sempre gli altri.

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