Cultura e Società

“Educare alla morte è possibile a tutte le età” Huffpost, 30/4/22 Intervista di D. D’Alessandro

4/05/22
"Educare alla morte è possibile a tutte le età" Huffpost, 30/4/22 Intervista di D. D’Alessandro

LUCIO FONTANA 1961, particolare

Parole chiave: morte, educazione, psicologia

“Educare alla morte è possibile a tutte le età”.

Huffpost, 30/4/2022 Intervista di D. D’Alessandro

A colloquio con Ines Testoni, docente di Psicologia all’Università di Padova, che lavora da tanti anni sulla death education, per fare i conti con il temibile e aumentare il benessere della persona

Huffpost 30 aprile 2022

Introduzione: É possibile affrontare il pensiero della morte e del morire? La morte, come dice Ines Testoni in questa intervista di Davide D’Alessandro, è l’ultima esperienza con la quale misurarsi, un mistero inquietante che la cultura degli scorsi decenni ha cercato di cancellare per concentrarsi esclusivamente sul presente. (Maria Antoncecchi)

Davide D’Alessandro, saggista

Huffpost 30  aprile 2022

“Educare alla morte è possibile a tutte le età”

A colloquio con Ines Testoni, docente di Psicologia all’Università di Padova, che lavora da tanti anni sulla death education, per fare i conti con il temibile e aumentare il benessere della persona

di Davide D’Alessandro

Sorprendo Ines Testoni mentre è freneticamente impegnata a preparare l’atteso Convegno internazionale, che si terrà a Padova dal 19 al 21 maggio, dal titolo: “Eternità tra spazio e tempo: dalla coscienza al cosmo”. Eccellenti studiosi si confronteranno su parole e temi complessi ma decisivi, in un contesto epocale dove la morte, questa (s)conosciuta, è tornata prepotentemente a dominare, inquietando chi l’aveva messa da parte, esorcizzandola o, peggio, cancellandola dai propri orizzonti. Testoni, che è tanatologa di prim’ordine, alla morte ha dedicato libri rilevanti, sotto lo sguardo amichevole e gentile di Emanuele Severino, suo maestro di riferimento sull’infinito e l’eternità, suo maestro per l’eternità.

Negli ultimi due anni, tra pandemia e guerra, la morte è tornata ben visibile davanti ai nostri occhi. Suscita l’angoscia di sempre o meno?

“L’angoscia non è misurabile perché è un sentimento indefinito molto negativo, quindi è difficile dire se sia più o meno intensa rispetto al periodo pre-pandemico. Possiamo invece misurare l’ansia e la letteratura internazionale dimostra che i livelli di distress sono aumentati molto durante e dopo la pandemia. Possiamo considerare altresì come indicatore attendibile di questo incremento il fatto che nel PNR siano stati stanziati dei fondi per il supporto psicologico”.

“Se vuoi sopportare la vita, disponiti ad accettare la morte”, scrisse Freud. È possibile educare alla morte?

“Lavoro sulla death education ormai da due decenni, realizzando progetti mirati lungo tutto il corso dell’età evolutiva e del ciclo della vita adulta, misurando gli effetti di tali interventi formativi. Questo tipo di attività è stato avviato negli Stati Uniti negli anni settanta del secolo scorso, e io sono stata la prima a proporla in Europa. Il successo di queste esperienze costantemente monitorate ha fatto sì che ora vengano finanziati progetti europei finalizzati all’acquisizione di una competenza adulta sulla morte e il morire, da parte di minori e di adulti. Non è facile, ma si può fare e quando lo si fa bene, il benessere aumenta anziché diminuire, come pure crescono i livelli di maturità, a tutte le età. Dirigo il Master in Death Studies & The End of Life da 15 anni senza soluzione di continuità, perché il bisogno di capire e riflettere su questi temi è forte e parimenti censurato. Il problema più grande da gestire è riuscire a mobilitare un pensiero critico non deprimente. Purtroppo, da un lato, il pensiero critico che va per la maggiore oggi è pessimista e questo causa molta paura ad affrontare in modo consapevole gli argomenti relativi alla finitudine. Dall’altro lato, le religioni hanno ormai dimostrato di non saper più gestire il sacro se non con la violenza e quindi di essere più interessate agli interessi politico/economici piuttosto che a quelli spirituali. Quindi le loro spiegazioni non sono più in grado di rassicurare quando si debbano fare i conti con il temibile. Nel Master vengono affrontati tutti gli argomenti che riguardano la morte in modo articolato, facendo perno sulla competenza necessaria per comprendere in che cosa consista la discrasia tra pensiero critico contemporaneo e contenuti di fede”.

L’Occidente ha rimosso la morte, la filosofia di Severino l’ha vinta o, comunque, oltrepassata. È esagerato esprimersi così?

“Quanto dice è assolutamente corretto. Severino mostra in modo inconfutabile in che cosa consista l’errore di credersi mortali e in che cosa consista l’inganno delle religioni che tolgono quanto ci appartiene essenzialmente (l’eternità) per restituircelo in modo condizionato e sminuito”.

Che cosa le ha insegnato Severino che non sarà possibile dimenticare?

“Che siamo già da sempre salvi rispetto alla morte e al dolore e che nessuno ci può ricattare rivendendoci tale ricchezza originaria dopo averci fatto credere che non ci appartenga. Inoltre mi ha insegnato (ma non solo a me) in che senso nessun discorso critico rispetto alle religioni è meno erroneo delle stesse religioni”.

Perché tanti uomini di cultura, pur leggendo Severino e restando ammaliati dal suo pensiero sull’eternità, alla fine se ne tengono distanti, facendo emergere riserve?

“Il pensiero di Severino è tanto lucido e chiaro quanto difficile da seguire perché controintuitivo. Tutte le volte che si perde la capacità critica di mettere in questione ciò che ci sembra ovvio, e che di fatto è solo prodotto di semplificazioni cognitive date dall’abitudine a pensare in un certo modo, si ha l’impressione di perdere il filo del discorso. È quindi difficile mantenere costantemente presente l’intero scenario severiniano all’interno del quale sviluppare riflessioni originali in grado di rispondere alle grandi questioni che ci stanno a cuore. Per questo molti intellettuali si arrendono. Ma non tutti. Leonardo Messinese, che lei ha già intervistato, è qualcuno che non demorde e che come me pensa che Cristo non potesse essere meno intelligente di Severino, quindi che la soluzione tra Cristianesimo e indicazione severiniana sia possibile. Giulio Goggi è un altro pensatore geniale, molto amato da Severino, che può certamente portare avanti nel modo migliore il pensiero del Maestro. Dal suo punto di vista però tra il pensiero di Severino e il cristianesimo ci sono aporie colossali forse irrisolvibili”.

A pensare alla morte aiuta di più la filosofia o la psicologia?

“La riflessione sulla finitudine nasce con la filosofia e si sviluppa nelle conseguenze esistenziali con la psicologia. Sono due modi diversi di considerare lo stesso oggetto, che però si fecondano vicendevolmente”.

Quanto è importante la Psicologia palliativa?

“La Psicologia palliativa è un ambito della ricerca/intervento che guadagna un sempre maggiore interesse, perché ci siamo finalmente resi conto che i tempi del fine-vita si dilatano sempre di più grazie alle conquiste mediche. Se dunque vogliamo che tale periodo non sia una nemesi terrificante è necessario trovare un linguaggio appropriato per relazionarci con chi deve fronteggiare l’ultimo compito evolutivo, il più difficile, il più importante e quello per il quale abbiamo a disposizione meno strumenti. La Psicologia palliativa serve a costruire e offrire tale linguaggio”.

È più pericoloso il nichilismo metafisico o quello di Nietzsche, Leopardi e Gentile?

“Il nichilismo non è necessariamente pericoloso. È un modo di manifestarsi dell’errore, il quale può essere anche splendido e, dice Severino, addirittura terapeutico. Ciò che è veramente pericoloso è il cinismo. Ma su questo dovrei aprire un discorso molto complesso che non si può riassumere in poche righe”.

Non le sembra che a uno sviluppo esorbitante della tecnica non si accompagni, di pari passo, uno sviluppo almeno consapevole del pensiero?

“Le confesso umilmente che io amo la tecnica proprio perché ci mette a disposizione strumenti eccezionali per pensare, inimmaginabili nel passato. Ho fatto teatro per qualche tempo e ho quindi studiato il lavoro di guitti e saltimbanchi. Pensare che nel medio evo i villaggi aspettavano questi gruppi di teatranti di strada per avere notizie di quanto accadeva in un altro paese mi fa capire la portata della ricchezza di cui possiamo godere oggi. Nella seconda metà del secolo breve dovevamo ancora fare i conti con l’analfabetismo anche in Italia. No, no, benedico la tecnica tutti i giorni, quando mi metto a lavorare al computer e quando vado dal medico che mi permette di avere aspettative di vita che i miei avi non osavano neppure vagheggiare. Ma anche quando vado al supermercato e vedo tutto quel ben di Dio. Ora dobbiamo fare in modo che a tale ricchezza accedano tutti gli esseri umani del mondo, anche se in modo differenziato, nel rispetto delle loro identità culturali. Non solo noi. Questa è la sfida che ora la tecnica deve vincere e che l’insegnamento di Cristo promuove”.

Severino, in un’intervista poco prima di morire, mi disse che la Follia stava andando verso il suo punto più alto. Smascherarla, dunque, non è servito a fermarla?

“No no, secondo Severino non abbiamo ancora raggiunto l’apice della Follia, che consiste nel paradiso della tecnica, quello appunto in cui tutti potranno accedere a quella ricchezza che dicevo prima. A quel punto sarà possibile vivere in pace e quindi dedicarsi allo studio e al pensiero serenamente. E la riflessione inevitabilmente ci porterà a comprendere il senso dell’errore e recuperare interamente la consapevolezza di che cosa significhi essere già da sempre salvi”.

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