Repubblica.it – Integrazione – 30 giugno 2017
Donne migranti e integrazione: “Sono loro le vere mediatrici culturali”
INTRODUZIONE: Un’intervista a Adelia Lucattini, psicoanalista della Società psicoanalitica italiana, in cui la collega spiega come le donne possano essere potenti generatrici di pace. (Silvia Vessella)
Repubblica.it
SARA FICOCELLI
Depositarie e custodi della “memoria” privata-familiare e socio-culturale del proprio Paese, sono dotate della capacità di custodire, nutrire, far crescere, accudire, portare alla luce. E quindi di “generare” pace. Ne abbiamo parlato con la psichiatra Lucattini.
ROMA. Che cosa accomuna le donne del Mediterraneo, siano esse europee, nordafricane, medioorientali, cittadine del vecchio continente o migranti? La maternità. Che non è soltanto la capacità specifica di generare nuove vite, ma anche quella psichica di custodire, nutrire, far crescere, accudire, portare alla luce. La possibilità di trasmettere la cultura e le tradizioni della propria famiglia, della propria etnia, del proprio Paese di origine. Un patrimonio dal valore inestimabile, soprattutto alla luce del continuo esodo di migranti, in fuga da zone di guerra e miseria verso un orizzonte di speranza. Secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati – Unhcr, nel gennaio 2016 solo in Grecia sono arrivati circa 36mila rifugiati (nello stesso mese del 2015 erano 5500) e di questa massa di persone in fuga oltre la metà è rappresentata da donne e bambini.
Il rapporto tra maternità e tradizione. “Le donne – spiega Adelia Lucattini, psichiatra psicoterapeuta e Psicoanalista esperta in bambini e adolescenti – sono depositarie e custodi della “memoria” privata-familiare e culturale-sociale del proprio Paese, grande o piccolo che sia. Anche nelle società patriarcali, dove hanno una posizione subordinata, sacrificata, ancillare o vivono segregate dentro le mura di “ginecei” reali o sociali, sono comunque sempre le “garanti” degli aspetti più intimi e antichi della vita familiare e della trasmissione alle generazioni successive”. Ma che rapporto c’è tra maternità e tradizione? La gravidanza e il parto sono eventi che rendono le donne “ricettive” rispetto alla vita e all’estraneo, che nel corso dei mesi diviene “familiare” e poi “proprio”. “La mente – continua l’esperta – fa spazio alla presenza di un altro che inizia a vivere dentro di sé, concedendogli piano piano diritto di cittadinanza nella propria vita. Questo vale anche per le donne che non hanno avuto figli, in attesa di adozione o insegnanti, ad esempio. L’attesa delle pratiche burocratiche per l’adozione o la preparazione in vista del nuovo ciclo scolastico, la necessità della giusta disposizione ad accogliere i bambini di un nuovo ciclo, equivalgono a una vera e propria gestazione mentale e fisica”.
La trasmissione di legami affettivi e identitàri. In ogni situazione le donne partecipano quindi agli eventi con la mente e con il corpo, in un’unità inscindibile, e la recettività “attiva” della mente le rende particolarmente sensibili nell’accogliere, ricordare e trasmettere la narrazione della storia familiare, anche nei suoi aspetti psicologici inconsci. “La trasmissione di legami affettivi e identitari che affondano le radici nelle primissime relazioni madre-bambino e che sono la base per lo sviluppo di capacità di resistenza alle difficoltà e di far fronte a novità anche dolorose, che sviluppano la cosiddetta resilienza, sono un patrimonio unico ed inestimabile che le di cui le donne sono portatrici sempre, sia in famiglia in patria che in nuovi contesti”, spiega Lucattini. Una prerogativa fondamentale di cui il nostro Paese, che rispetto all’emergenza sbarchi è in una pessima situazione, dovrebbe fare tesoro. “La cosa più importante è che l’Unione europea non lasci l’Italia da sola”, ha detto proprio ieri il commissario Ue agli Affari Interni, Dimitris Avramopoulos, a margine della presentazione delle prospettive migratorie Ocse.
L’importanza della memoria. La memoria affettiva, la certezza dei propri ricordi e delle proprie origini, costituiscono dunque quegli elementi di forza che permettono di sopravvivere anche a eventi catastrofici. Le immagini, i canti, le speranze, i progetti, i desideri custoditi dentro la propria mente non potranno essere strappati via da nessuna tempesta e da nessun pirata, trafficante, aguzzino o carceriere. I ricordi, la memoria di sé stessi, delle persone e dei luoghi amati sono per sempre, anche se non si dovesse far mai far ritorno a casa. Perché “casa” è dove c’è vita, memoria, amore. E quale ruolo gioca, dunque, la memoria nella vita delle donne migranti? “Le adulte e le adolescenti sono depositarie di quella familiare e culturale del proprio Paese e mediatrici attive o silenziose rispetto alla cultura di quello che le ospita. La ricettività attiva di cui sono capaci – spiega l’esperta – permette loro di comprendere più facilmente, intuitivamente, il contesto culturale in cui si muovono nei Paesi accettanti. E, proprio perché custodi dell’identità personale e familiare, possono favorire il processo di integrazione anche i loro figli: chi ha un’identità certa, più facilmente apprende una nuova lingua, si abitua a nuovi ambienti, osa assaporare nuovi cibi, è incuriosito da abitudini e usanze di un paese diverso. Chi sa chi è non ha paura di confrontarsi o di “confondersi” con l’altro ma anzi può essere attratto, stimolato”.
Donne “generatrici” di pace. Le donne, portatrici della memoria familiare e storica del proprio Paese, sono dunque un elemento importante nei processi di integrazione culturale, e anche per questo “generatrici” di pace. “Certamente a loro spetta un doppio lavoro e un duplice compito interno: elaborare i propri lutti e traumi, e farsi promotrici e garanti del “futuro” anche per i figli, proprio perché depositarie della memoria privata e delle tradizioni pubbliche del paese di provenienza. Indubbiamente – spiega Lucattini – i traumi richiedono una lunga elaborazione con l’aiuto di esperti, ma non intaccano la capacità di essere portatrici di vita e di speranza”.