Pubblicato su Repubblica il 27/11/2013
DOLORE DIGNITÀ Così le relazioni umane ci salvano dall’ indifferenza
Al cuore del nuovo libro di Eugenio Borgna c’ è una riflessione molto tesa sulla sofferenza e la malattia, sulla loro significazione umana, con un continuo rimando alla lezione di Rilke: il dolore riconduce nella interiorità la esteriorità della nostra esperienza del mondo. E il compito di un medico sarebbe anche quello di riconoscere alla persona che “cade” nella malattia la ricerca oscura di un “altro” destino, comunque l’ esigenza e la via di una trasformazione, paradossalmente più vicina alla vita rispetto a certe sue sonorità tanto vuote e assordanti. Certo, se Borgna fosse solo uno psichiatra, per quanto straordinario, La dignità ferita (Feltrinelli) avrebbe potuto deragliare tra i vagoni plumbei di una disciplina che spesso sembra difettare di ogni vita. Ma Borgna, quel signore che nella stagione basagliana ha smantellato il manicomio di Novara, è un intellettuale innamorato di poesia e di letteratura, e quindi di musicalità delle parole, di filosofia – delle più ardite esplorazioni della mente piuttosto che di tecnicismi astratti. Con lui il pericolo di ritrovarsi per le mani un orrendo, illeggibile manuale non c’ è mai stato, ne ha scritti tanti di libri bellissimi, difficilmente poteva esserci ora il rischio dell’ aridità concettuale e della noia. Qui – in queste pagine appassionate, coinvolgenti – del corpo ferito dalla malattia si parla innanzitutto come dell’ espressione di un’ intimità dell’ anima oltraggiata dalla perdita della fiducia e della speranza. Borgna cita Guerra e pace di Tolstoj: il profondo dolore di Natascia suggerisce che ogni malattia, non solo quella psichica, ha una sua propria forma legata a diversi stati d’ animo, alle emozioni meno trasparenti e dicibili. Lo stesso Thomas Mann, nei Buddenbrook, scrivendo del tifo che colpisce un adolescente, entra a pieno titolo nelle enigmatiche correlazioni tra anima e corpo, convinto già allora che ogni malattia somatica sempre si accompagna a risonanze psichiche decisive nell’ aiutarci a resistere o meno alla malattia. Per dirla con la sobrietà elegante di Borgna, «non sono cose dimostrabili, ma il vivere e il morire sono intrecciati l’ uno all’ altro; e talora si muore quando non c’ è più il desiderio di vivere, e talora non si muore quando ci sia il desiderio di vivere: questo, forse, è possibile immaginarlo». Fonte originaria dei diritti umani, al centro del lessico della sinistra di ogni tempo, la parola “dignità” che qui impegna l’ autore – non solo sul versante della relazione terapeutica – oggi sembra particolarmente ferita dall’ indifferenza e dal male nelle sue infinite forme di espressione. Scrivendo delle sue fondazioni storiche e filosofiche, ma anche delle lacerazioni della dignità, è forte il “j’ accuse” di Borgna nei confronti della sua disciplina amata-odiata che in anni non lontanissimi (e ancora oggi con altre modalità) si è così colpevolmente alleata alla sociologia e alla politica teorizzando la distinzione tra una vita degna di essere vissuta, quella “normale”, e la vita che invece non lo sarebbe, contrassegnata dalla difficoltà del fare, dall’ impossibilità dell’ eterna efficienza. E invece, puntualizza Borgna citando Kant, ogni essere umano è o dovrebbe essere sempre un fine e mai un mezzo, ogni uomo conta aldilà di ogni sua particolare connotazione: possiamo offenderne la dignità, non rispettandola, anche con le parole che diciamo o che soprattutto non diciamo, ma può anche darsi che non riusciremo maia privarlo del tutto di quel suo sentimento così soggettivoe mai del tutto violabile. Certamente sanguinano le ferite alla dignità delle persone, quando escludiamo di avere tempo per quella minima attenzione – appartiene all’ ordine della grazia, diceva Simone Weil – che consenta di andare incontro alle loro attese e alle loro angosce. Qui il pensiero di Borgna non esita ad allargarsi a una sfera decisamente politica, con una denuncia del silenzio, di quella che lui chiama l’ indifferenza del cuore, davanti all’ estremo dolore degli ultimi della terra – così vicini così lontani – che tutto lasciano alle spalle nella speranza spesso impossibile di cambiare la propria vita, anzi di salvarla. Secondo l’ autore, non si coglie il dramma di ogni forma di malinconiae di solitudine umana, proprio come di ogni forma di emigrazione, se innanzitutto non si rispetta la presenza di una struggente nostalgia di vicinanza umana e di qualche accoglienza. Ci sono modi di essere, forme di vita, che aiuterebbero a mantenere la dignità e a testimoniarne la grazia, con la possibilità di creare relazioni umane dotate di senso, più autentiche e creatrici. Qui Borgna chiama in soccorso un grandissimo come Iosif Brodskij, il Nobel russo per la letteratura nell’ 87, che poco prima di morire in un suo bellissimo saggio ricollegava la dignità umana alla gentilezza e alla civiltà dei modi: un modo di conoscere le personee di prendersene cura, di evitare sempre le parole che feriscano, un ponte che consente di uscire dai confini angusti della soggettività a favore di invisibili alleanze e comunità di destino. Non proprio un discorso astratto, visto che le relazioni quotidiane sono radicalmente influenzate dalla presenza o dall’ assenza della gentilezza, nei modi di essere e nei modi di parlare. Eppure sì, il tutto rischia di suonare come qualcosa di nostalgico, in un mondo dove trionfa la disfatta di ogni mitezza (del sorriso e delle lacrime, non esita a scrivere Borgna), in un carosello senza fine di parole, silenzi, gesti che fanno male, non arginano affatto paure e fragilità, lasciando un senso penoso di vuoto e di smarrimento. Cosa possa fare la psichiatria per il rispetto della dignità, è nella tesi radicale di questo libro coraggioso di Eugenio Borgna: una scienza umana e sociale – non solo naturale – può e deve indicare l’ importanza psicologica, e anche politica, di relazioni interpersonali che non siano divorate dalla funzionalità ma animate dalle “ragioni pascaliane del cuore”, consegnando un qualche senso al dolore e a volte alla disperazione. Una tesi nel segno dell’ ottimismo, che lo stesso Borgna non trascura come pura ma necessaria illusione.
Luciana Sica