Cultura e Società

Dai nonni si ereditano anche le emozioni. IO-Donna 10/8/2022 Intervista a A. Iannitelli

20/08/22
MARIO SCHIFANO, 1981

MARIO SCHIFANO, 1981

Parole chiave: transgenerazionale, dolore mentale, inconscio familiare

In Introduzione al Narcisismo (1914), Freud sottolinea: “l’individuo conduce effettivamente una doppia esistenza: una in cui egli è fine a se stesso e l’altra come membro di una catena a cui è assoggettato contro la sua volontà o almeno senza la partecipazione di questa”. Molti autori, successivamente, si sono occupati di trasmissione transgenerazionale di fantasie inconsce che, attraverso l’identificazione proiettiva, passano dalla psiche dei genitori a quella dei figli che diventano gli eredi inconsapevoli  di eventi negati o dissociati. Come sostiene la dottoressa Iannitelli, in questo articolo, è possibile rintracciare la loro presenza e ‘combattere’ il proprio destino.
(Maria Antoncecchi)

Dai nonni si ereditano anche le emozioni 

Intervista ad Angela Iannitelli,  Psichiatra e Psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana (SPI) di Antonella Rossi

Non solo altezza, familiarità alle malattie o colore degli occhi. Nel Dna lasciano tracce i traumi e la capacità di resistere alle avversità dei nostri antenati. Lo sostiene un libro da poco uscito in Italia. Un patrimonio che può influenzare in negativo le nostre vite. Ma anche la strada per spezzare per sempre il filo del destino 

Per gli antichi era il destino, un ineluttabile già scritto dalle origini lontane. Oggi sappiamo che oltre al colore dei capelli, al taglio degli occhi e a quell’insieme di caratteristiche che lega ognuno di noi ai nostri antenati esiste un inconscio familiare tramandato di generazione in generazione come i caratteri fisici.

Sono storie spesso taciute, segreti intessuti di dolore, vergogna, molto frequentemente traumi, ma anche risorse, che ogni giorno mettiamo in campo per rispondere ai colpi della vita.

Come emozioni e dolore si trasmettono ai posteri

«Tutto quello di cui non abbiamo consapevolezza viene rivissuto… trattenuto nella nostra mente e nel nostro corpo, rendendosi palese attraverso quelli che chiamiamo sintomi: mal di testa, ossessioni, fobie, insonnia», scrive la psichiatra statunitense Galit Atlas nel libro L’eredità emotiva, edito da Raffaello Cortina Editore.

Ma come è possibile subire le conseguenze di eventi di cui non conserviamo memoria e che non abbiamo vissuto in prima persona? La risposta, sostiene Atlas, e non solo lei, la dà l’epigenetica, la scienza che si occupa di come le informazioni scritte nel Dna sono influenzate da quel che accade nel corso della vita. Sono queste condizioni che attivano, inibiscono o modulano la cosiddetta “espressione” genica. L’insieme di reazioni biochimiche lascia un’impronta che può essere trasmessa ai discendenti.

Il passaggio delle emozioni dei nonni

«Esiste, ormai è un dato supportato da decenni di studi, una trasmissione transgene razionale, una sorta di incistamento nell’inconscio, come se un fantasma si muovesse nella vita del soggetto; possiamo parlare, per esempio, di un trasporto del dolore mentale, un passaggio del dolore alle generazioni successive» spiega la dottoressa Angela Iannitelli, Psichiatra e Psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana (SPI), a Roma. Un concetto ben espresso nel mito di Edipo. «Non sa di essere stato abbandonato, ma una sera, a un banchetto, viene apostrofato come “bastardo”. Questa parola trova in lui una consonanza. Spinto a cercare la verità, innesca la serie di eventi che lo portano a compiere il proprio destino, dall’uccisione del padre al matrimonio con la madre» dice l’esperta.

Nonni e nipoti, il pericolo dei segreti di famiglia

Resta da capire come il trauma lasci tracce mnemoniche nell’organismo di chi lo ha subito. «Se l’evento è stato di grande rilevanza, può arrivare a influenzare stabilmente l’espressione di alcuni geni, coinvolti per esempio nella reazione immunitaria, nel modo di rispondere allo stress o alla paura» spiega la dottoressa Giulia Balerci, psicologa cognitivo-comportamentale ad Ancona. «È per questa via che può trasmettersi ai figli la memoria biologica delle esperienze vissute» aggiunge. «Da questo punto di vista, posto che il peso del trauma è sempre rilevante, fa la differenza se viene elaborato o no.
E quando in famiglia qualcosa si tace, il danno deriva anche dal fatto che il silenzio impedisce di elaborare la situazione, percepita ma ignota, lasciando alla persona il fatto che al disegno della propria vita manchi un tassello. Questo non detto, oltretutto, dà spazio all’interpretazione. Può succedere, ad esempio, che un bambino attribuisca il modo di comportarsi dei genitori a cause del tutto immaginarie. Così, oltretutto il materiale emotivo non elaborato continua a “lavorare” nella propria vita» sottolinea Balerci.

Conoscere tutto non sempre fa bene

La trasmissione non è qualcosa che si attiva inesorabilmente, tuttavia. Per emergere occorre che si verifichino le circostanze che la risvegliano. Che ancora una volta, non sono deterministicamente regolate: ogni trauma è a sé, impatta in modo diverso, sia in base all’evento che lo ha causato sia alla fase della vita di chi lo ha subito. «Una persona può sviluppare risposte adattative e ” funzionare” bene nonostante sia stata vittima di un evento doloroso o violento. Così come è diverso il significato che gli può attribuire. Anche quando si raggiunge la consapevolezza di un trauma all’interno della propria esperienza, che sia stato vissuto direttamente o “ereditato”, non per questo cambia da un momento all’altro il modo in cui lo si percepisce.
Si può addirittura arrivare a individuarne la presenza senza mai arrivarne a scoprire le cause: le difese che una persona può costruire possono essere talmente strutturali da essere intoccabili e salvifiche» prosegue Iannitelli. Non è detto, dunque, che conoscere ogni frammento della propria storia sia sempre un bene.

Ricostruire la propria storia attraverso i nonni

«Può succedere che una persona abbia rimosso completamente un trauma importante, come può capitare che attraverso sogni o associazioni libere ci sia un’epifania. Le situazioni vanno rispettate e valutate caso per caso, per capire se il paziente sia in grado di affrontarle e quando. È lui che, con un buon lavoro analitico, percorrerà la strada per la costruzione di una nuova narrazione della propria storia e potrà dar vita a una nuova storia personale, al di là della genetica, che si sostituirà a quella ereditata».

La trasmissione come risorsa
L’eredità emotiva, tuttavia, non è fatta solo di eventi traumatici, ma anche di ciò che i nostri antenati hanno imparato dalle loro esperienze. «Questo è un aspetto centrale dal punto di vista evolutivo, perché possiamo apprendere la risposta che in passato è stata data agli eventi stressanti, il modo in cui altri hanno reagito, e farla nostra» spiega la dottoressa Balerci.
«Le generazioni precedenti, così, fungono da modelli di apprendimento di strategie positive e ci aiutano a sviluppare le modalità per affrontare le sfide del quotidiano. Alla base della resilienza umana, del resto, c’è proprio la capacità di rispondere agli ostacoli che la vita ci mette davanti, superando i traumi e sviluppando meccanismi utili alle generazioni future. Una vera e propria risorsa psicologica, da costruire in base alle proprie capacità, per modificare gli effetti biologici del trauma e spezzare il ciclo 

Riprogrammare ciò che ci è stato trasmesso
Nel corso della vita possiamo riprogrammare ciò che ci è stato trasmesso, rimodellarlo, grazie alla neuroplasticità, che consente al cervello di modificarsi in base all’esperienza». Nulla, in fondo, è davvero scritto. Il verbo “destinare” del resto, significa anche “volere”, “decidere” e, come ricorda la dottoressa Iannitelli, per gli antichi, «l’eroe è colui che combatte contro il suo destino, non colui che lo subisce». Anche noi possiamo, senza nessuna scusa.

«La crisi che viviamo è occasione di rinascita transgenerazionale»
«Ci troviamo dentro un tempo di stress cronico, delicatissimo per tutti» constata Angela Iannitelli, psichiatra e psicanalista della Spi. «Il fatto di essere costretti a continue operazioni di adattamento potrebbe rappresentare un importante opportunità, se venisse ben sfruttata la necessità di cambiare abitudini che spinge a una maggiore “plasticità cerebrale”». Potremmo anche noi passare da comportamenti più aggressivi ad altri più affiliativi, come nell’esperimento con le volpi di Belyaev, protagoniste di uno studio condotto in Unione Sovietica negli anni ‘50 e ’60 che mirava mediante modificazioni fisiologiche a trasformare le volpi in cani (al centro di Come addomesticare una volpe di Lee Alan Dugatkin e Trut Lyudmila, Adelphi)? «Mi piace pensare a un’assimilazione genetica di comportamenti costruttivi e condivisi» continua Iannitelli. «Serve una rete di sostegno reciproco, sentire che l’impegno personale è per tutti gli altri, tornare a essere una comunità. Tutte cose che la pandemia ci ha insegnato e presto abbiamo dimenticate, ma presenti ancora in parte della popolazione, forse già assimilate geneticamente».

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